I RACCONTI DI MALIA

Anno 2860 dalla Fondazione di Fortia-che-fu, 11 ottobre.

Foresta di Lorien, Isola delle Brine.

Turlogh, Dux Bellorum, osservò il campo nemico dall’alto. I vessilli degli Imperiali garrivano al vento teso dell’Isola delle Brine: la minacciosa aquila dei Dosthan e – sotto di essa – i mille blasoni colorati dei Gallessani a loro sottomessi. Lo stesso vento umido e forte che spingeva al galoppo i nuvoloni neri sulle montagne. Rade goccioline di pioggia scendevano dai cieli per rigargli il viso, simili a lacrime, per cadere poi sull’armatura dove, lo sapeva, si sarebbero trasformate in sottili strisce di ruggine dure da mandar via. Strinse gli occhi. Le lacrime erano quanto di più lontano si potesse immaginare dal suo stato d’animo di oggi. Oggi era il gran giorno, il giorno della battaglia, ed era furia repressa, incandescente, che correva per le sue vene. Quel giorno avrebbe scacciato gli invasori dalla sua isola, o sarebbe morto. Si girò verso Slane, il capo degli esploratori, fissandolo con aria interrogativa. Slane, un uomo alto e magro, dal viso che sembrava sempre triste ma gli occhi grigi come l’acciaio, non disse niente. Però annuì. Sembrava sicuro del fatto suo. Turlogh, che pure credeva con tutto se stesso al piano che avevano ordito, invidiava la sua calma e la sua sicurezza. Intorno a loro i guerrieri dell’Isola delle Brine. Erano venuti fin da ogni più remoto recesso delle foreste, da ogni lago del Nord, da ogni collina del verde Ovest, e attendevano il momento. I temibili arcieri con le loro lunghe armi di legno di tasso, armigeri con spade tozze e brocchieri di legno, alabardieri, molti cavalieri in cotta di maglia ma ben pochi nobili dotati di armature di piastre alla maniera continentale. Le tende dell’armata erano sparse per il bosco, parevano enormi funghi sorti dalla terra umida e nera. La terra di una patria che era stata invasa, minacciata da un potere straniero molto al di sopra delle sue forze. Ma erano venuti, erano lì, accompagnando l’uno o l’altro degli infiniti piccoli Rix che, per una volta, non si battevano tra loro ma tutti uniti contro i Dosthan.

Al contrario, il campo degli avversari era vasto e perfettamente quadrato, con le tende a padiglione colorate geometricamente disposte a scacchiera. Avevano scavato un fosso ed eretto un terrapieno, e disboscato attorno in ogni direzione un tratto sufficiente per il tiro dei balestrieri, alla maniera degli antichi conquistatori Mitoien. Ma quelli non erano Mitoien, niente affatto. Non avrebbero mescolato il loro sangue a quello dei nobili locali e stretto alleanze familiari con i Rix come avevano fatto secoli fa quegli antichi conquistatori. I Dosthan non avrebbero portato gli uomini dell’Isola delle Brine a diventare Senatori nelle aule di Fortia-che-fu. Non si poteva scendere a patti, non c’era alternativa alla guerra che non fosse l’asservimento.

Turlogh guardò di nuovo Slane. L’esploratore non faceva una piega. Ma le gocce di pioggia che scendevano restavano rade.

“Fra poco si muoveranno.” mormorò Turlogh.

Slane annuì.

“Possiamo ancora spostarci, ma se non ci muoviamo ora, se aspettiamo ancora, tra poco ci saranno addosso. E’ l’alba e sono maledettamente vicini.”

Slane si massaggiò la mascella e finalmente fece udire la sua voce bassa e roca:

“Come volevamo.”

“Si, ma sei sicuro che succederà?” insistette Turlogh.

“Lo dice anche lui.”

Turlogh non fece in tempo ad aprire bocca per chiedere chi diavolo fosse quel “lui”, quando con la coda dell’occhio vide alle sue spalle lo svolazzare di un lungo abito bianco.

Il Sommo Druido si avvicinava a grandi passi, i lunghi capelli bianchi che cadevano intorno alla tonsura centrale scompigliati dal vento. Un grande corvo nero gli stava appollaiato sulla spalla, gli occhi inespressivi come pozzi di tenebra. Un tetro messaggero di Morrigan, la Dea della guerra.

“Buongiorno, Dux Bellorum!” esclamò il vecchio raggiungendo Turlogh. Sembrava galvanizzato.

“Buongiorno a voi, Pontifex.”

“Oggi è il gran giorno, dunque. I soldati sono pronti?”

“Sono pronti. Ma non sono abbastanza.”

“Oh, sì che lo sono. Gli Dei combattono al nostro fianco, oggi.”

Io non li ho visti, però, pensò Turlogh. Ma non lo disse, per rispetto del Druido. Tuttavia la sua espressione aveva parlato per lui, perché quello rise e gli mise una mano sulla spalla.

“E io ti dico che Taranis combatterà per noi. Li hai sentiti i tuoni, questa notte?”

“Sì, ma erano fiochi e remoti.”

Il Druido fece spallucce: “Non serve che siano proprio qui, Comandante. Basta che ci siano.”

“Sì ma guarda, quasi non piove!”

Fu il suono di mille corni Dosthan e buccine Gallessane a far vibrare l’aria e interrompere la loro conversazione.

Il Druido pazientò lasciando che il coro degli strumenti nemici cessasse, poi riprese:

“Preparatevi, perché occorrerà accodarsi alla carica degli Dei per finire il lavoro.”

Turlogh abbassò il capo fulvo in segno di obbedienza e si girò per ruggire ordini ai vari contingenti intorno. Inviò messaggeri a quelli più lontani sparpagliati per la foresta.

Il nemico si stava muovendo. Ancora, come ormai da molti, troppi giorni. Ma questa volta i figli dell’Isola delle Brine non si sarebbero ritirati davanti agli Imperiali.

La flotta Dosthan, in realtà composta in gran parte da vascelli dei Gallessani sottomessi dall’Impero pochi anni prima, era apparsa un giorno davanti al porto di Bae Llydan come una tempesta inattesa. Avevano preso la città d’assalto, sbarcando direttamente nel porto incuranti del tiro delle catapulte, e contemporaneamente a Nord e a Sud della città, assalendo le mura. Il Rix era caduto combattendo tra i moli, impotente a fermare quell’ondata senza fine di uomini venuti da oltre il mare.

Da lì l’invasione si era propagata come un’epidemia, abbattendo uno dopo l’altro i domini dei piccoli Signori dell’isola. Non un giorno troppo presto i Druidi avevano riunito tutti i Rix sotto la loro ombra, convincendoli a unire le forze sotto un capo militare il cui potere sarebbe durato solo per periodo della guerra. I Druidi stessi, interrogati gli Dei, avrebbero designato il Dux Bellorum. Ogni nobile dell’isola era andato all’appuntamento già con tutti gli uomini che aveva potuto radunare, vuoi per essere pronto a fronteggiare gli stranieri, vuoi perché ognuno temeva una trappola degli altri Rix.

Turlogh era il primo ad essere stupito della loro scelta, e tutto il peso di quel fardello gli era calato addosso inaspettato. Il regno di suo padre era piccolo, sperduto in mezzo alle verdi colline del remoto Occidente, non il più ricco e certo ben lontano dall’essere il più potente. Turlogh prima di allora aveva guidato alla vittoria il suo piccolo esercito diverse volte contro i Rix vicini, e con poche perdite, ma non aveva l’esperienza necessaria per combattere un esercito come quello Imperiale. Anche se, a dire il vero, nessuno aveva una tale esperienza sull’Isola delle Brine. Tranne, forse, Slane, il suo capo degli esploratori: lui era stato a lungo un mercenario ingaggiato dai Gallessani e aveva combattuto con loro ai tempi della disastrosa sconfitta che avevano subito dai Dosthan. L’esploratore aveva vissuto la sconfitta contro l’Impero, ma aveva imparato a conoscerlo. E conosceva i Gallessani che componevano la maggior parte dell’armata che ora loro si trovavano a fronteggiare. Ma Slane non era né un Rix né il figlio di un Rix. Turlogh aveva il dubbio, in effetti, che i Druidi ascoltassero più l’opinione di Slane che la sua. Ad ogni modo lui aveva radunato tutte le forze disponibili e si era presentato davanti al nemico… per poi ritirarsi. Molti Rix e molti giovani Principi avevano criticato quella scelta, desiderosi di combattere e pieni di vergogna all’idea di cedere il passo agli invasori. Ma lui e Slane avevano un piano. Così avevano giocato a quel gioco pericoloso, facendosi dare la caccia dai Dosthan come una fanciulla che provochi un garzone a inseguirla nei boschi. Rare volte avevano attaccato il nemico con le frecce e ancor più di rado avevano incrociato le spade, limitandosi sempre a scaramucce senza importanza. E nei boschi alla fine si erano addentrati, attirando il nemico verso Ovest tra le verdi distese della foresta di Lorien, e poi risalendo i colli lungo il fiume Afon Fradwrus verso i monti del Ben Eira. Il giorno prima avevano lasciato il grande fiume per un suo affluente che si inerpicava su per una valle laterale.

La stagione ormai volgeva al peggio, e gli Imperiali erano proprio dove lui e Slane li volevano.

Ma ora ogni dubbio notturno tornava a tormentare la mente di Turlogh, ogni ombra di incertezza veniva ad avvoltolarsi intorno al suo capo foriera di sventura.

Vedeva come le forze nemiche uscivano dal campo dalle tre porte rivolte a monte e ai lati in tre fulgidi serpenti di carne e acciaio, mentre anche gli ultimi padiglioni venivano smontati in fretta e riposti sui carri. File ordinate di cavalieri in armature di piastre, fiancheggiati da legioni di alabardieri, palvesari e balestrieri,si disponevano in ordine di battaglia. Ormai non era più possibile fuggire: in un modo o nell’altro si sarebbe combattuto, anche se gli Dei non si fossero mostrati. Ma bisognava confidare nell’esperienza di Slane e nelle promesse del Druido. Le truppe dell’Isola delle Brine iniziarono a spostarsi a valle da ogni lato, lentamente, tenendosi fra gli alberi alla larga dal fiume, in alto sui pendii. Si muovevano al cupo rimbombo dei tamburi e il lamento di qualche corno alle ali, mentre gli altri musici tacevano. La posizione dell’esercito di Turlogh era vantaggiosa ma il nemico avanzava orgoglioso e sicuro, perché la sproporzione di forze e di armi era schiacciante.

Il Dux Bellorum tormentò l’impugnatura della spada, poi si decise e balzò a cavallo, portandosi avanti alla testa della sua guardia personale, formata dai cavalieri della sua avita Cae Isel.

Slane gli rivolse un cenno di saluto, provò la corda dell’arco con le dita e si cacciò fra gli alberi seguito dagli esploratori.

Il Druido invece restava dov’era, intento ad annusare l’aria come un segugio.

Ed ecco. Un fulmine azzurro spaccò il cielo a metà e subito dopo un poderoso tuono squarciò l’aria piovigginosa.

Turlogh si girò. Il Sommo Druido aveva le braccia alzate verso il cielo, gli occhi stralunati, e urlava con tutta la voce:

“Taranis! Taranis!”

Il corvo si era levato in volo e si librava fra gli alberi e le nuvole.

Davvero pareva che il dio Taranis avesse lanciato il suo grido di guerra.

Ma il tuono non accennava a tacere, solo la sua voce era mutata, si era fatta più bassa e profonda, e… non pareva più provenire dall’alto!

In un istante di panico e di gioia Turlogh comprese.

“Via! Via! Salite in alto, mettetevi in salvo!”

Puntò con la spada i suonatori di cornamusa, e quelli si misero a soffiare come demoni venuti dall’Averno. I soldati e i cavalieri partirono di corsa portandosi su per i pendii, più in alto possibile. Il boato invece che scemare crebbe, divenne assordante e sovrastò perfino le stridule grida delle cornamuse. Turlogh spinse il suo destriero su per il bosco, preoccupato. Non sapeva fino a dove le acque sarebbero arrivate.

Poi la fiumana irruppe, travolgendo tutto. Alberi grossi come torri venivano gettati avanti come fuscelli davanti a quell’ira della natura, quel grande verme fangoso e mugghiante che ribolliva di luride spume.

Pochi uomini dell’Isola delle Brine, quelli che si erano avventurati più avanti e più in basso, furono travolti e scomparvero tra i flutti. Le acque si rovesciarono sul centro dello schieramento Imperiale spazzando via cavalieri e fanti come se non avessero peso né consistenza. Il fosso scomparve all’istante e il terrapieno che proteggeva il campo fu sovrastato, le salmerie inondate, le guardie e i serventi dell’accampamento annegati, ogni cosa sprofondata e gettata avanti, infranta. Poi l’acqua giunse anche da dietro, alzandosi come dal nulla a coprire i piedi, le caviglie e su fino alle cosce dei combattenti. Anche il grande fiume Afon Fradwrus, lontano alle spalle degli Imperiali, aveva tracimato e stava allagando prati e foreste.

I cavalieri Dosthan sopravvissuti, ai lati, spinsero i loro destrieri verso le colline, per togliersi da quella specie di lago che gli era spuntato sotto, solo per essere accolti da scariche di frecce. I balestrieri risposero al tiro, all’ala destra come a quella sinistra, mentre anche gli alabardieri e le altre truppe straniere tentavano di portarsi dove il livello del fango era più basso. Ma i soldati di Turlogh li accolsero sulle punte delle lance e delle lochaber. Il Dux Bellorum individuò un punto dove i fanti e i cavalieri Imperiali si stavano facendo largo con le armi verso la riva, estrasse la spada e con un urlo si lanciò alla carica. Li investì su un fianco sbucando dagli alberi. Turlogh non riuscì a sferrare alcun colpo, tanto i suoi lo proteggevano ai fianchi e davanti, ma l’assembramento nemico fu respinto e disperso. Mentre l’onda di fiumana si allontanava a valle, il suono lancinante e battagliero delle cornamuse tornò a farsi udire sopra ogni altro, sopra il clangore delle armi e le grida dei feriti. A destra le Guerriere Sacre di Gwenhyfar la Rossa si lanciavano dai dirupi sui Dosthan mezzo affogati mulinando le loro lame ricurve, seguite dai selvaggi soldati della penisola di Tara e di Caledon, a sinistra gli uomini d’arme e i mercenari dei Rix del Sud e dell’Est infierivano sui Gallessani. Tutto il centro del campo di battaglia era diventato un grande fiume tumultuoso, e il campo nemico non esisteva più.

Da quella parte resistevano fianco a fianco gli stendardi di Lyonesse e di Torre Vianan, e un lupo nero in campo rosso, difesi dal valore della migliore cavalleria del Sud di Gallesse. Ma non c’era contesa. Ormai erano pochi e circondati. I vessilli Gallessani resistettero ancora un po’ e poi a uno a uno caddero nel fango, senza più mani vigorose a sostenerli.

Turlogh fece girare il cavallo tirando le redini e vide là in alto, su una sporgenza rocciosa al di sopra della mischia, il Pontifex, il Sommo Druido. Rideva come un pazzo, in preda all’estasi mistica, e rivolto a lui gridava: “Come pioveva, come pioveva… non qui Turlogh, non qui: molto più su, a monte! Lassù sul Ben Eira! Il ruggito di Taranis colpisce anche da lontano!”

Turlogh non fece prigionieri in quella battaglia. Nessuno doveva tornare indietro. l’Impero doveva pensare che la sua grande armata fosse stata inghiottita per magia dalle tenebrose foreste dell’Isola delle Brine e dai suoi demoni arcani.

 

 

I fuochi da campo costellavano le alture boscose come sanguinose e corrusche stelle nel firmamento, quasi un riflesso sanguigno, terreno, di quelle che splendevano algide lassù. I soldati ridevano, cantavano e bevevano, si litigavano le spoglie dei nemici caduti. La maggior parte però erano perdute nel fango, portate dal fiume chissà dove o distrutte dalla furia divina che aveva spazzato via gli invasori e i loro propositi di egemonia e di conquista. Meglio così, in fondo. I Rix avevano già troppe armi pronte all’uso per le loro guerre tribali, uno contro l’altro. Il potere assoluto di Turlogh come Dux Bellorum era finito con quella battaglia, e lui non ne era affatto dispiaciuto. In realtà non vedeva l’ora di tornare a casa.

Un lembo della tenda si sollevò ed entrò Slane, guardingo.

“C’è il Pontifex qui fuori, signore, con uno straniero.”

Turlogh si riavviò i capelli e alzò un sopracciglio. Uno straniero? Non sapeva che ci fosse alcun superstite.

Slane indovinò i suoi pensieri e aggiunse:

“Uno tutto elegantone, signore, non certo un Imperiale sfuggito ai nostri soldati. E non pare affatto un Dosthan.”

Il Principe esitò un momento poi alzò le spalle.

“Bene, falli entrare, vediamo cosa vogliono. Ad ogni modo qualunque sia la faccenda da discutere io da questa sera sono di nuovo solo il Principe di Cae Isel.”

Slane gli sorrise, quasi paterno, e uscì.

Al seguito del Druido c’era un uomo dai capelli bruni, brizzolati alle tempie, di portamento elegante e vestito di tessuti preziosi.

Il Druido non parlò subito, ma prima fisso Turlogh con un’aria strana, contento e sornione.

“Buona serata, messeri…” esordì Turlogh per rompere il silenzio.

“Buonasera a te, Dux Bellorum.” rispose il Druido interrompendolo.

“Io non…” Non proseguì perché il vecchio lo zittì con un gesto.

“Non è vero! Fino all’alba di domani, come la legge e la tradizione vogliono, hai potere assoluto su tutta l’isola. E c’è ancora una cosa che puoi fare per la tua patria, prima di tornare a ubriacarti e fornicare nel tuo piccolo Regno sperduto.”

Turlogh si schiarì la voce. Se lo diceva il Druido doveva essere così: aveva ancora qualche ora da spendere come Dux Bellorum. Quindi si sarebbe comportato come tale.

“Ditemi allora.”

Il vecchio annuì e sorrise.

“Costui è Augusto Carrieri, un grande mercante venuto da Malia su mia richiesta, un uomo molto, molto ricco.”

Il Maliano chinò leggermente la testa in segno di omaggio e saluto.

“Per servirvi, mio signore.”

Turlogh ebbe come l’impressione che quei due lo stessero leggermente prendendo per il sedere. All’alba di domani quel Carrieri sarebbe stato infinitamente più potente e prospero di lui, e mancavano solo poche ore a quel momento.

Il mercante proseguì:

“Sarei infinitamente lieto di poter aprire una nuova rotta commerciale con l’Isola delle Brine, mio signore. Parlo non solo per la mia Casa, ma anche per il Re di Malia, che sa della mia missione, e a nome di tutti i mercanti del Regno. Come forse saprete, ovviamente noi Maliani non abbiamo mai visto di buon occhio l’esclusiva concessa ai Gallessani per venire a fare commerci sulla vostra isola, e già in passato ci sono stati tentativi…”

“Contrabbando, volete dire.”

Il Maliano sorrise.

“Leggi restrittive incentivano le pratiche illegali, mio signore. D’altro canto i mercanti Gallessani hanno sempre tratto enormi guadagni costringendovi a pagare cifre esorbitanti non solo per i prodotti del loro paese, ma anche per quelli del nostro. Eppure ora Gallesse fa parte dell’Impero Dosthan, e sono Gallessani molti dei guerrieri che oggi avete così abilmente debellato. Noi, d’altro canto, siamo più lontani dal vostro territorio e mai ci sogneremmo di tentare una conquista o di imporvi il nostro dominio. Saremmo invece onorati se…”

Turlogh alzò una mano a chiedere silenzio e Augusto Carrieri si interruppe. Riflettendo, in effetti concludere un trattato di commercio con Malia poteva essere molto vantaggioso, soprattutto ora che sarebbe diventato più difficile rifornirsi presso i mercati dell’Impero. D’altro canto non vedeva alcun motivo per legarsi mani e piedi ai Maliani come fino a poco tempo prima era stato per i Gallessani.

Si massaggiò la mascella, su cui iniziava a crescere una mala barba.

“Se ne può parlare. Ma non credo che sarebbe una buona idea concedervi quanto era stato concesso ai Gallessani. Esistono anche altri Regni oltre a Malia che potrebbero commerciare con noi: Hesperos, Dartessos…”

Carrieri lo anticipò:

“Non abbiamo nulla in contrario. Ci basta avere il permesso di attraccare ai vostri porti. Se voi o qualunque altro Rix vorrete in futuro concedere l’approdo anche agli Hesperiani o chi altri volete ci sta bene. Ce la giocheremo ai banchi, e che vinca il mercante più bravo.”

Per il Maliano però trattare direttamente con il Dux Bellorum era un vantaggio non da poco: altrimenti sarebbe dovuto andare di persona a giocare quella partita con ogni singolo Rix i cui domini si affacciassero sul mare, e fare la corte a tutti uno per uno, convincendo, comprando, facendo concessioni e corrompendo per poi ricominciare da capo nella città successiva.

Ma anche per lui ci sarebbero stati dei vantaggi, come il Maliano gli fece capire battendo con una mano su una grande borsa che teneva a tracolla.

Turlogh tossicchiò e chiamò:

“Slane!”

Il suo fedele accorse subito. Come se fosse al corrente di tutto. Probabilmente lo era, anzi.

“Slane tu sei qui come secondo testimone di quanto sto per ordinare, il primo sarà il Pontifex.”

Si alzò con tutta la dignità che gli fu possibile e alzò una mano, mettendosi l’altra sul cuore.

“Io, Dux Bellorum dell’Isola delle Brine, concedo a tutti i mercanti del Regno di Malia quattro scali franchi sull’Isola delle Brine per sopperire ai bisogni di merce straniera che stringono il nostro popolo: Harbwr Glas a Sud, Bae Llydan a Sud-Est, Caisteal Ìosal a Est e Caer-Klassi a Nord-Est. Qui le vostre navi potranno attraccare e potrete smerciare liberamente le vostre mercanzie, protetti dalla legge umana del posto e da quella divina dei Druidi. Nessuna esclusiva vi è garantita, e uguale diritto potrà essere concesso ad altri da qualunque Rix dell’isola, nei limiti dei suoi poteri. Così stabilisco e ordino, io Turlogh di Cae Isel, Dux Bellorum. Così ho detto, e che sia legge per tutti.”

“E così noi testimonieremo.” conclusero in coro il Druido e Slane.

Tutti si strinsero la destra, come era in uso in questi casi fin dai tempi remoti dei Mitoien, poi il Maliano con gesto noncurante – ma sorridendo – poggiò la borsa in un angolo.

Augusto Carrieri stava per andarsene però poi ci ripensò e si girò:

“Mio Signore, uno dei porti che ci avete concesso, Bae Llydan, è ancora oggi in mano ai Dosthan. E’ da lì che è partito il tentativo di invasione, se non erro.”

Turlogh annuì:

“Non sbagliate, ma questo non sarà un problema.”

Il Druido estrasse una fiala da sotto il mantello e sogghignò.

“Abbiamo fatto versare questa pozione in tutti i pozzi della città, e i Druidi locali hanno fatto bere l’antidoto agli abitanti. La guarnigione Imperiale lasciata laggiù ormai è buona solo per i corvi.”

Il Maliano, soddisfatto, si inchinò e si accomiatò, seguito a ruota dal Pontifex. Turlogh si chiese cosa il mercante Maliano avesse offerto al vecchio.

Anche Slane fece per andarsene, ma lui lo fermò.

“Avremo fatto una cosa giusta, Slane?”

L’ex mercenario fece spallucce.

“Io credo di sì, ma solo il futuro potrà dirlo. E forse gli Dei, se esistono.”

“Oggi ne abbiamo avuto dimostrazione. Quanto meno per Taranis, direi.”

“Forse, chissà.”

Turlogh trasse un sospiro profondo.

“Comunque è fatta. Non so, forse sotto l’Impero il nostro popolo sarebbe divenuto più ricco, l’Isola delle Brine poteva diventare prospera e avanzata come le terre Dosthan o Gallesse.”

Slane sputò per terra.

“E forse invece staremo meglio commerciando coi Maliani. Ma questo conta poco. Meglio poveri ma liberi, Principe, credetemi. Io ci sono stato là, so cosa è successo ai Gallessani quando sono caduti sotto il giogo Dosthan. Non vorrei la stessa cosa per il mio popolo, per niente al mondo.”

Il Principe scosse la testa.

“Non voglio pensarci più, ormai mi fa male la testa a forza di preoccuparmi e di pensare. Il tempo che ancora mi resta come Dux Bellorum lo voglio trascorrere a bere birra, e voglio berne tanta da finire steso sotto al tavolo. E questa è l’ultima decisione in qualità di Dux Bellorum di Turlogh di Cae Isel, figlio di Cormac, vincitore delle armate Imperiali.”

 

 

Isola delle Brine

Impero Dosthan: terre Dosthan

Impero Dosthan: terre di Gallesse

 

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