Un intrigo ai più alti livelli politici porta all’esecuzione pubblica di un nobile guerriero, appartenente a un’importante Casata. La figlia è costretta ad assistere impotente all’uccisione del famoso padre, poi sfugge alla cattura nascondendosi nei bassifondi. La ragazzina finirà oltremare, presso la più letale scuola di assassini al mondo, in cerca di vendetta. Si chiama… no, non Arya Stark! Abbiamo corvi, non metalupi sullo stemma, ma la trama della storia di Mia Corvere è molto (troppo) simile. Eppure, il primo volume di questa trilogia non mi è affatto dispiaciuto, pur irritandomi un po’ a tratti, per le ragioni che spiegherò, Mi aveva parlato di Nevernight un’allieva alla BSMT, chiedendomi se avesse senso affrontare un avversario munito di spada con due pugnali. Le ho rapidamente mostrato che no, non ha senso. Tutto è possibile, ma ti metti in grave svantaggio. Certo, lo svantaggio diminuisce se puoi incollare l’avversario al suolo comandando la sua ombra, ma la misura più lunga garantita da una spada resta un fattore determinante, anche se non la puoi conservare indietreggiando. La mia allieva mi aveva anche detto che l’ambientazione era italiana, pur trattandosi di un autore straniero, e la cosa mi aveva incuriosito. Così, quando un paio di settimane fa mi sono trovato a dover prendere un aereo senza essermi ricordato di prendere con me il libro che stavo leggendo, mi sono imbattuto in libreria nel primo volume della saga e l’ho acquistato.
La trama, come dicevo, non è il massimo dell’originalità, ma ci sono un paio di colpi di scena niente male (soprattutto verso la fine), i personaggi sono piuttosto curati e non si può non simpatizzare con la protagonista. Devo dire che però la setta a cui lei si vota invece ispira ben poca simpatia e che spesso nonostante gli sforzi dell’autore mi sono trovato a empatizzare più coi “cattivi” che con la Chiesa Rossa, Mia compresa. Questo è dovuto a due fattori: in primis il padre della protagonista e i suoi compari volevano abbattere la Repubblica incoronando un generale, cosa per me abominevole e che a mio modo di vedere gli ha fatto pienamente meritare l’impiccagione. In secondo luogo, per lo più abbiamo legionari ben addestrati, ma che restano comunque normali esseri umani, che affrontano una protagonista dotata di ampi superpoteri magici di matrice oscura, il che mi porta a parteggiare per loro nonostante tutto. Troppo facile così. Chi conosce i miei Pretoriani Neri lo sa e capirà. Abbastanza irrilevante invece per le mie simpatie il fatto che lei si affidi alla Dea delle tenebre e della morte (sì, proprio come gli assassini senza volto di GoT) mentre i suoi nemici difendono una chiesa della Luce (fanatica e corrotta, però).
Un aspetto un po’ confuso del romanzo è la voce narrante, che si dice sia quella di un personaggio ancora non svelato che è stato innamorato di Mia, ma pare alquanto onnisciente, e per lo più in realtà il pov è quello di Mia, e restiamo quasi sempre nella testa della giovane assassina.
L’aspetto veramente bello del romanzo è l’ambientazione, il cosiddetto “world building”: siamo in una Repubblica Romana-Veneziana che domina a vario titolo tutte le altre terre. Abbiamo legionari, gladiatori, bravi (anzi, braavi), gondole, carceri famigerate, ponti e canali dalle oscure leggende, l’inquisizione e le cattedrali, le feste in maschera, vini raffinati, scuole di scherma e pittura (eccezionale lo stile “Caravaggio” a due spade) ecc. Insomma tutta la panoplia del fascino “esotico” dell’Italia, sia dell’antichità romana che del nostro Rinascimento, mescolata e ben shakerata. Gli “spiegoni” – con una soluzione originale – sono stati relegati alle note a pie’ di pagina (quindi ci sono, ma i critici criticoni non li possono criticare), e sono di gran lunga la parte più gustosa del libro: quindi non saltate le note, o vi perdete il sale e le spezie del romanzo. La capitale, una città di ponti, canali e ossa, si chiama Godsgrave, ed è formata dallo scheletro titanico di una divinità decapitata e caduta dal cielo: i quartieri nobili sono stati ricavati nelle costole mentre i “bassifondi” si trovano, giustamente, nelle “parti basse”. Non mi addentro nella teologia, fondamentale per la vicenda ma non troppo complessa, però sembra abbastanza ovvio di chi sia il cadavere su cui è stata costruita la nostra Roma-Venezia alternativa.
Se leggerò gli altri due volumi e completerò la trilogia, cosa che farò senz’altro ma non trattenete il respiro nell’attesa, sarà quindi più che altro per questo: per frequentare ancora Godsgrave e la Repubblica Itreyana.
In definitiva, un plauso per il world building godibilissimo a Jay Kristoff, e una domanda aperta per i nostri grandi editori: ma perché un autore straniero può dare a una storia un’ambientazione fanta-italiana e finire in tutte le librerie e quando invece lo fa un autore italiano (non necessariamente il sottoscritto, ci sono tanti altri validi scrittori nostrani che fanno lo stesso) non ci si guarda nemmeno perché l’Italia nel Fantasy “non funziona”? Se funziona per Nevernight…

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