I RACCONTI DI MALIA
Nessuno riuscì a dormire un granché quella notte, a Selenia.
Ben prima dell’alba Felitia e gli altri furono schierati di nuovo sulle mura. Da lì poterono vedere l’esercito nemico schierato in bell’ordine davanti alla città. Appena il sole si affacciò all’orizzonte se ne staccò un contingente di cavalleria pesante. Dovevano essere almeno trecento, la guardia scelta del Principe. Erano tutti nobili Dosthan, ossia pecorai capitribù, ad occhi Mitoien. Però portavano armature da catafratti simili a quelle delle analoghe truppe Imperiali: scaglie di metallo dal collo ai piedi, ed elmi robusti.
Le porte si aprirono davanti a loro. Il momento era cruciale.
“Se questi si mettono in mezzo e iniziano a combattere chi li schioda di lì?” si chiese Drakos.
“Noi.” rispose Edurne.
“Sì, ma non prima che arrivino tutti gli altri dei loro, e poi siamo fritti.”
“Io gli passo sotto la pancia dei cavalli e glieli sbudello tutti. Mi dispiace per i cavalli ma ne va della pelle di tutta la gente di Selenia.” disse Felitia, decisa.
“Buona idea, preziosa!” esclamò Edurne “E’ così che faremo se si arriverà a combattere.”
Invece i cavalieri entrarono in città pacificamente. Le porte rimasero aperte dietro di loro, in mano alla milizia cittadina, e il resto dell’armata del Principe rimase disciplinatamente immobile.
Drakos sospirò di sollievo.
“Pare che sia andata.”
“Sì, uccello del malaugurio che non sei altro. Se gli Dei lo vorranno è possibile che la scampiamo.” lo rampognò scherzosamente Vitreus.
“Coraggio, muoversi! Dobbiamo andare!” il decanus li spinse con poca grazia giù per la scalinata che portava in basso, e poi li guidò a passi svelti fino al decumanus.
Lì presero posizione mettendosi tra la folla e la via dove doveva passare Theodor con i suoi guerrieri.
La gente gettava fiori al passaggio dei barbari.
“Ipocriti!” sussurrò Drakos fra i denti, alla volta dei cittadini di Selenia.
“Almeno ci sono capitati i meno barbari, fra i barbari.” lo consolò Vitreus, sfoderando il suo candido sorriso.
I visi pallidi e concentrati dei cavalieri stranieri erano segnati dalla stanchezza e dalle intemperie, le loro armi ammaccate per gli scontri con le Legioni Imperiali e rugginose per la pioggia. Tutto ciò non dava loro un’aria di trasandatezza, però, ma di ancor maggiore minaccia e pericolo. Felitia sapeva di possedere maggior perizia nell’uso delle armi della maggior parte di loro, eppure era sollevata perché non era costretta a combatterli. Forse non dominavano le sottigliezze schermistiche di un gladiatore ma sembrava gente con cui era meglio non scherzare troppo. I nonni e i ragazzetti della milizia cittadina di Selenia non avrebbero resistito un’ora contro quei veterani.