«Hai vinto» ammise Vindice, intento nel suo lavoro. «E per quanto riguarda Orso, è ancora con il Re» concluse alzando la spada e osservandone con attenzione il filo.
La lama lucente, perfetta simmetria di bellezza e di morte, brillava rinnovata tra i suoi occhi fissi e ipnotizzati.
Quanta bellezza, quanto orrore in un pezzo di metallo.
Quella era la vera magia, senza alcun dubbio. Ne aveva sentito il tocco gelido in passato, nella carne, quando era stato ferito durante la campagna degli Ampioporto e degli altri Duchi ribelli contro gli Alesiadi.
Quasi non si sentiva, all’inizio: solo un brivido di orrore che gelava la schiena e le viscere. Poi il bruciore, feroce, e il pulsare. Come tamburi di fuoco senza fine, per notti insonni tormentate in cui l’alba pareva non giungere mai.

 

 

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