Per la Corona d'Acciaio - Per la Corona d'Acciaio
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I TRE MOSCHETTIERI

novembre 18, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

 

Non sarò certo io a fare una recensione de “I tre moschettieri” di Dumas: sinceramente mi pare abbastanza ridicolo che qualcuno si senta in diritto di mettere su Amazon o altri siti la sua personale recensione di classici come l’Iliade (magari “troppi combattimenti, eccessivamente violento”), l’Orlando Furioso (“storia confusa e con troppi personaggi”) o Moby Dick (“un eccesso di nomenclatura di navi e cetacei che spegne l’afflato epico”, e simili scempiaggini). C’è un divertente video del mio acuto concittadino Roberto Mercadini in proposito, guardatelo se avete voglia di farvi una risata.

Quindi, lungi dal voler “recensire” Dumas, volevo parlarvi brevemente del mio rapporto con questo romanzo fondamentale per l’avventura classica e la letteratura in genere, di cui sono stato sempre appassionato. Ciò più a livello personale che come studioso di scherma storica, giacché il mio interesse a livello marziale è più incentrato sulla scherma “di punta e taglio” dei secoli precedenti, e il 1625 è già oltre la soglia del mio periodo di studio preferito, sia pure non di molto. Dumas poi, che pure tirava di scherma, non ha mai approfondito lo studio di come si combattesse in quegli anni ed è sempre abbastanza vago sulla dinamica dei combattimenti. Ma tutto ciò, come dicevo, è marginale.

Come potete vedere dalla foto, fra l’altro, ho letto il libro anche in francese, anzi è stato il primo libro che ho letto in quella bella lingua, contemporaneamente a “La communication politique aujourd’hui” che era il testo previsto dall’esame di francese alla Facoltà di Scienze Politiche in quei tempi lontani. L’avevo già letto in italiano, ovviamente, molti anni prima di allora, nell’età in cui continuavo abusivamente fino a tarda notte all’insaputa dei genitori le mie letture di Salgari, Verne, Dumas appunto, e altri ancora.

Infine l’ho riletto ancora una volta con grande gusto al momento di accingermi alla scrittura di “Il contagio di Meung”, romanzo breve ora in uscita che inaugura una mia personale versione delle avventure dei moschettieri (che si tinge di fantasy e horror a causa di un episodio di “sliding doors” che ha a che fare con certe leggende mediterranee), senza tradire – spero – lo spirito dell’originale e soprattutto dei suoi immortali personaggi. Ho cercato di avvicinarmi al mondo di Dumas con tanto affetto e tanto rispetto, e quel pizzico di ironia e spensieratezza che non è affatto alieno ai romanzi originali.

D’altro canto cosa si può desiderare di più che lavorare su icone come D’Artagnan, il giovane provinciale povero, promettente e spericolato per eccellenza, in cerca di fortuna e che aspira a entrare nei moschettieri? Fra l’altro è per questo, per chi non lo sapesse, che il romanzo si chiama “I tre moschettieri” anche se i protagonisti sono quattro: D’Artagnan è solo una recluta! Anche gli altri tre, i veri moschettieri, sono splendidi archetipi. Porthos incarna alla perfezione il “guerriero orso” del mito indoeuropeo: grosso e forzuto, gran mangiatore, generoso e sempre allegro. Aramis è invece l’elegante seduttore nato, agile e sempre affascinante, nel suo caso l’archetipo è reso più interessante e contraddittorio da una fede religiosa combattuta ma profonda che lo farà aderire addirittura al sacerdozio. Infine Athos, il più esperto del gruppo, il più nobile e “adulto”: un’anima tormentata piena di dignità, dal passato misterioso, su cui gli altri si appoggiano e a cui si ispirano.

Dall’altra parte, troviamo degli antagonisti del tutto all’altezza: il mefistofelico Cardinale Richelieu, l’arrogante spadaccino Rochefort e soprattutto il personaggio più pieno di ambiguo fascino: l’incantatrice e insidiosa Milady, che accomuna in sé l’attrazione pure della bellezza e l’attrattiva repulsione del pericolo.

Al di là dei duelli, delle fughe mirabolanti, degli intrighi di corte, che forniscono il loro essenziale pizzico di pepe, quel che davvero resta a fine lettura è la nostalgia platonica per l’allegria incosciente dei quattro protagonisti (i moschettieri si trovano sempre a corto di denari ma se qualcuno di loro si trova a disporre di una qualsiasi somma subito si sente in dovere di spenderla in banchetti per tutto il gruppo), e ancora di più per l’amicizia e la fedeltà adamantina che li lega tra loro al di là di ogni causa per cui combattere, al di là di ogni contingenza della vita e del destino, e che è la gemma più preziosa che ha donato Dumas all’umanità con questo grande romanzo. Quindi, ancora una volta, che risuoni il grido di battaglia dei tre baldi moschettieri più un cadetto di Guascogna:

“Uno per tutti, tutti per uno!”

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“PER LA CORONA D’ACCIAIO”: UN ROMANZO STORICO?

maggio 2, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

 

Ringrazio di cuore un lettore che ha recensito il mio romanzo, manifestando una certa delusione per la mancanza di magia, e per una scarsità di azione nei capitoli centrali. Se si aspettava, come pare, un tipico romanzo “di genere” tutto e solo azione, fantasia e magia, questo lettore non ha trovato ovviamente quel che cercava. Intendiamoci, io adoro l’azione, ma essa non è il “cuore” di questo romanzo, che pure ne è pieno. Essa è piuttosto una gradita ancella di temi più profondi, e un’esca per convincere il lettore a specchiarsi nella vicenda. In altre storie, come quelle dei Pretoriani Neri, mi diverto a giocare con l’azione, e anche con la magia, con draghi e grifoni e navi volanti. Tuttavia non ritengo la magia un fattore indispensabile della letteratura fantastica. Un nume del Fantasy come Joe Abercrombie, pare pensarla come me su questo tema: indicatemi che magia si possa mai trovare, per esempio, nella “Trilogia del Mare Infranto”, di cui di recente ho consigliato la lettura.

“Per la Corona d’Acciaio” è qualcosa di diverso. Essere qualificato come “una sorta di Bernand Cornwell in un un contesto inventato”, come scrive questo lettore, è per me un grande complimento. In questa saga in effetti mi rifaccio non tanto al genere Fantasy, ma piuttosto a scrittori di avventura classica e di romanzi storici come appunto Cornwell, Perez Reverte, fino ai classici di Dumas, Salgari, London, Kipling, Conrad. Ma anche a scrittori “alti” (e forse più “noiosi”, da un punto di vista “di genere”) come Ernst Junger e Julien Gracq. Prosegue il lettore “non dovendo essere fedele alla storia reale, poteva evitare certe parti noiose, spesso necessarie in romanzi storici per essere fedeli, ma che qui potevano essere sostituite…” In effetti, come il lettore ha in parte intuito, “Per la Corona d’Acciaio” è assolutamente un romanzo storico, in essenza. Con tutte le esigenze di analisi storica e realismo che ciò comporta, e con l’unica differenza che tratta di una storia che avviene non nel nostro mondo ma in uno simile e parallelo. Come in Junger e Gracq, il contesto inventato è una scusa per poter variare gli avvenimenti liberamente servendo a uno scopo, nel mio caso parlare di fatti dell’anima e di leggi storiche che riguardano noi, il nostro mondo e la nostra condizione di esseri umani. La vicenda segue tutte le regole politiche, sociologiche ed economiche che condizionano la Storia, le dinamiche del potere e forse anche quelle del Fato, che i lettori scopriranno un po’ alla volta e che sono poi le stesse del mondo reale, non meno stringenti. Ecco perché era necessario un “rallentamento” dell’azione nella parte centrale, per poter dedicare spazio a un’analisi della situazione del regno di Malia e alle soluzioni (anche legislative e perfino fiscali) che i protagonisti adottano. Essi devono, infatti rimediare ai fattori che hanno portato alla caduta che essi si sono trovati a dover vivere, e porre in alto la “svolta” che la situazione politica richiede. Ugualmente c’era bisogno, in precedenza, di lasciare un po’ di spazio al sorgere nelle loro menti delle soluzioni che poi adotteranno: proprio come deve avvenire in un romanzo storico che funziona bene, se i protagonisti sono personaggi reali dotati di poteri decisionali, e realizzano appunto una svolta storica. La parte centrale del romanzo che tratta questi temi è stata particolarmente apprezzata da altri lettori, per aver affrontato il tema di come, una volta conquistato il potere, lo si vada a gestire, cosa che molti Fantasy (a volte con una visione un po’ più superficiale) trascurano. Quel che mi frustra nel romanzo storico vero e proprio è invece che il lettore possa già conoscere come la vicenda finirà, mentre a Malia le praterie del futuro sono aperte e la tensione è maggiore: qualunque cosa può accadere… e ne accadranno di ogni tipo! Tornando a noi, quindi, una critica dettata da aspettative “di genere” è “iuxta sua propria principia”, per me invece essa costituisce un grande complimento: con questa saga non voglio fare “letteratura di genere”, voglio fare letteratura! E credo che il genere Fantasy si presti a questo alto scopo (perdonatemi l’ambizione), quanto e più di altri.

Marco Rubboli

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GIANO “IL BIDONE”

aprile 22, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

Giano, un bravaccio della Casa Tagliaferro tanto grasso quanto forte, è detto “Bidone”, e non a caso. L’unico dubbio è se il nomignolo si riferisca alla sua stazza – decisamente importante, ma che non limita la sua rapidità in combattimento – o alle sue altrettanto indubbie qualità di baro. Che tu giochi a carte, a dadi, a giochi di scacchiera, che tu scommetta su corse di cavalli o incontri di lotta, se accetti di giocare con Giano hai una sola certezza: tornerai a casa con le tasche vuote, e senza sapere bene il perché. Ma Giano non è abile solo a truccare la partita, lo è anche a giocare secondo le regole: in realtà bara solo… quando gli serve per vincere! Essere il “Bidone” è diventato una parte essenziale della sua identità a tal punto che nessuno ricorda il suo vero cognome. Fedelissimo della nota Casata di lenoni di Alesia, ricca ma famigerata, e in particolare di Rinaldo, appare solo come comparsa in “Per la Corona d’Acciaio”, senza che ne venga fatto il nome… perché Luce Selenides (è lei a incontrarlo) non lo conosce. Chi ricorda in quale occasione l’assassina si è imbattuta in un grosso sgherro pelato dei Tagliaferro? In “Contro Due Imperi” conosceremo Giano molto meglio. Attenti, però, a non scommettere mai contro di lui!

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ARRUOLATO!

aprile 12, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

I RACCONTI DI MALIA

Ai piedi dell’Altopiano Centrale, il Feudo di Campofiorito si estendeva davanti ai loro occhi cosparso di querceti, castagneti e di macchie di agrifoglio e rosaspina, con piccoli borghi turriti e antichi manieri che sorgevano in cima ai poggi. Branchi di cavalli correvano liberi su vasti prati e nugoli di lepri correvano a nascondersi nei roveti di more che serpeggiavano a fondovalle, all’approssimarsi della carovana di muli del mercante Piero Briganti.

“Qui presto imperverserà la guerra: al di là di quei colli si trova il passo verso le Colline Occidentali. Non credo che i Duchi e le Città trovino un accordo con il Re: entrambi i bandi sono costretti dalle circostanze a dimostrarsi forti e inflessibili. Ci conviene muoverci in fretta.”

Nessuno, né Piero Briganti né il Griso, il bravaccio che comandava le guardie, trovò alcunché da obiettare o da aggiungere alle parole di Alberto, l’anziano capo dei mulattieri.

Come a rimarcare le loro preoccupazioni poterono avvistare di frequente, da lungi, gruppi di esploratori a cavallo. Molti portavano armature sulle quali il sole si rifletteva da lontano. Era cavalleria pesante, quindi, forse addirittura nobili.

Procedettero perciò di buon passo diretti verso la cittadella Ducale, senza perdere nella locanda che trovarono sulla strada più tempo di quello strettamente necessario a cenare e trascorrervi la notte.

Durante la mattinata del secondo giorno la via smise di snodarsi fra colli sempre più bassi e prima di mezzogiorno divenne una strada dritta in un paesaggio piatto, fra campi coltivai e pascoli. Lì i villaggi erano più grandi e fitti, cinti da mura di mattoni. Il sole aveva preso ad abbassarsi e tingersi del color delle arance quando, da una leggera foschia che si era alzata dalla terra, si riuscì a intravedere la cittadella. Un’alta muraglia di mattoni rossicci racchiudeva un grosso borgo. Svettavano oltre l’altezza delle mura svariate case-torri di importanti Baroni, e su tutto si alzava il bianco castello del Duca.

“E’ tutto fatto di pietra bianca portata dalle colline.” spiegò Piero “La Casa Ducale non si poteva abbassare a costruire usando i mattoni come tutti gli altri. Il denaro non gli è mai mancato, ai Duchi, e così hanno fatto questa follia. E’ stato ai tempi del nonno di Invitto, il Feudatario attuale.”

“Invitto di nome e di fatto!” esclamò il Griso, tutto gongolante.

All’occhiata interrogativa di Mario il mulattiere Alberto spiegò: “Il Duca è uno dei migliori giostratori del Regno, e ha vinto parecchi tornei. Però non è vero che non sia mai stato sconfitto: qualche volta anche lui si è trovato col culo per terra.”

“Bah, molto raramente.” interloquì il Griso.

“Poche volte.” concesse Alberto.

Piero non partecipava più alla conversazione. I suoi occhi, bramosi e preoccupati al tempo stesso, erano fissi sulla cittadella dove doveva smerciare le sue mercanzie. Era teso come un segugio nel momento cruciale della caccia.

Alle porte furono fermati dalla guardie.

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LA GIOSTRA DI FLORA – III

gennaio 27, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

I RACCONTI DI MALIA

Parte Terza

Parte Terza

L’ultimo giorno la giostra non si svolgeva sulla piana fuori le mura come le fasi iniziali, ma nell’antico Teatro della città che si ergeva a metà strada fra il paese e l’Acropoli, scavato nel fianco della collina rocciosa di Ertapietra. Mi avevano riferito che il Teatro risaliva agli antichi Isolani che avevano colonizzato Tiria molto secoli or sono. Lo usavano per mettere in scena le loro tragedie. Poi con i Mitoien le gradinate più basse erano state rimosse e il Teatro era stato adibito anche ai giochi gladiatori e alle venazioni di belve feroci.

Galeazzo e io ci eravamo accodati ai Gallessani, così risalimmo le ripide vie della cittadella e ci arrampicammo sul sentiero sassoso che conduceva al Teatro, sempre seguendo la tetra testa di lupo in campo rosso dei Maravoy. Dietro di noi avanzavano gli alfieri dei Campofiorito, drappeggiati nelle loro vesti e bandiere bianche e rosse.

Poi mentre i contendenti entravano dalla porta principale che dava sulla scena con i loro paggi e scudieri, noi e tutti gli altri accompagnatori salimmo gli scalini sulla destra e prendemmo posto sulle gradinate.

Le enormi colonne della scena da lassù parevano svelte e snelle; fra l’una e l’altra si intravedeva il mare d’un blu scurissimo. Laggiù galleggiavano alla rada le galee dei nobili convenuti, circondate dalle barche dei pescatori quasi come imponenti cigni attorno a cui si accalchino degli anatroccoli. Dall’altro lato si poteva ammirare l’alto vulcano innevato che si innalzava a non troppa distanza, e che alcuni dei signori presenti al torneo avevano visitato a cavallo nei giorni precedenti la disfida, accompagnando le loro dame.

“Si dice in giro” mi informò Galeazzo “che in quell’occasione Lyonel Maravoy abbia potuto parlare a lungo con Demetra di Mykenes, e che sia lì che è scattato qualcosa fra i due. Qualcosa che però, a quanto pare, il padre della damigella Isolana non approva del tutto. Lyonel è un magnifico signore, un ottimo partito anche per una Principessa delle Isole. Però fra gli Isolani la distinzione fra nobili e popolani è molto più sfumata che da noi, figurarsi in confronto a quegli altezzosi Gallessani. Forse l’Autarca teme che la figlia possa essere considerata di rango inferiore dai nobilastri di Gallesse, e quindi disprezzata.”

Lo spazio disponibile per i cavalieri in lizza non era tanto vasto quanto nella piana, quindi avrebbero dovuto partire subito lanciati alla massima velocità: non c’era tempo per accelerare gradualmente, né per rimediare a un errore.

Per primo gareggiò Lyonel Maravoy contro un Principe Isolano: il figlio dell’Autocrate di Zakinthos. Si colpirono a vicenda sullo scudo, spezzando entrambe le lance, ma nessuno dei due cadde. Allora sguainarono le spade e presero a tempestarsi di colpi girandosi intorno. Ognuno tentava di mettersi in posizione di vantaggio, cercando il lato sinistro dell’avversario. Gli zoccoli dei destrieri tormentavano l’arena del campo, gli scudi si riempivano di ammaccature. A un certo punto Lyonel colpì l’Isolano al petto con lo scudo, precipitandolo giù di sella. Cavallerescamente l’Erede di Castelbrun scese anche lui e attese che l’altro si alzasse. Si affrontarono a piedi. La lotta non fu breve: entrambi erano giovani, abili e forti, e nessuno voleva cedere. Ma, preso dalla foga, il nobile di Zakinthos scoprì la mano tirando un mandritto. Maravoy fece scattare la sua lama, e gli inchiodò il palmo della destra. L’Isolano lasciò cadere la spada e alzò le braccia in segno di resa. Lyonel rinfoderò la sua lama e fu il primo a soccorrerlo. Non c’era sangue, ma il Principe di Zakinthos faceva fatica a chiudere le dita per il dolore della botta. Prima che il ferito fosse portato via il Gallessano andò ad abbracciarlo. Nessun rancore, erano entrambi gentiluomini e ognuno aveva potuto avere un assaggio del valore dell’altro.

Ancora una volta Lyonel prima di lasciare il campo camminò fino alla zona dove stavano i signori di Mykenes e rese omaggio alla damigella del suo cuore.

“Bello!” disse Galeazzo, quasi stendendosi sul marmo del sedile “Hai visto che ha imitato quello che hai fatto tu prima a Claudi? Sarà un ottimo allievo.”

“Io non ho tirato una punta, ma un colpo di filo falso.” puntualizzai.

“Bah, cambia poco, l’azione era quella.” rispose il mio amico con un gesto come a scacciare delle mosche fastidiose.

Fu la volta di altri combattenti, e poi toccò a Claudi de Naute-riu.

“Se vince, poi dovrà combattere col suo signore.” osservò Galeazzo.

Alzai un sopracciglio.

“Davvero? Non mi sembra una bella cosa. Non potevano smistarli in modo diverso?”

Lui fece spallucce.

“La scelta degli scontri è casuale: un sacerdote estrae a caso le sorti di ognuno.”

“I sacerdoti sono dei vecchi marpioni abili di occhio e di mano, e per lo più corrotti.” risposi, insinuando un dubbio sulla correttezza della scelta. Ne sapevo qualcosa, io, dei trucchi di Stregoni e sacerdoti.

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