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I Tre Moschettieri – D’artagnan

aprile 19, 2023 by Marco Rubboli Nessun commento
Ho visto “I Tre Moschettieri – D’artagnan”, una produzione francese che promette di tenerci incollati al mondo di Dumas per diversi film.
Prima di tutto la cosa che mi ha colpito di più: per una volta devo parlare molto bene di una sceneggiatura! Il punto principale è questo: il film è essenzialmente fedele alla trama del romanzo ma quasi ogni scena e accadimento è diverso e inatteso, dal Franc Meunier in poi. L’effetto è, oserei dire, geniale, e per niente facile da ottenere: aderenza al romanzo e al tempo stesso sorpresa continua per chi lo conosce.
Vincent Cassel, fascinoso ma con una faccia da arrogante pendaglio da forca, non lo avrei visto nei panni del nobile Athos, e invece se la cava benissimo. Splendida Eva Green, una delle più torbide e affascinanti Milady mai viste, e in generale bravi anche gli altri attori.
Ora, passando al lato “tecnico” delle scene d’azione voglio rimarcare subito che la scherma di questo periodo storico è davvero difficile da mettere in scena: armi molto lunghe e appuntite da usare con assoluta prevalenza della pericolosissima punta, in azioni che iniziano a misura stretta spesso da un legamento, senza alcun tipo di armatura che protegga il corpo e la testa… un vero incubo dal punto di vista della sicurezza! Sono reduce dallo studio per il seminario su Capoferro (un importante maestro e trattatista proprio di quel periodo) che ho tenuto a Gradara alla mostra di Schiaminossi, per cui ho ben presenti le azioni tipiche del tempo. Meglio 10 film Fantasy o sul Medioevo che uno sui Moschettieri, per il maestro d’armi responsabile. Infatti, comprensibilmente, quel che si vede è altro: i grandi colpi di taglio prevalgono sulle stoccate. Tuttavia, a parte qualche schivata poco credibile, le azioni sono godibili, crude e – finalmente! – non da supereroi Marvel. Bisogna poi considerare che i Moschettieri erano militari, e le spade militari sono sempre rimaste con la lama mediamente più larga di quelle civili, più adatta anche ai colpi di taglio che sono utili per tenere a bada più avversari alla volta, quindi un uso più incentrato sul taglio rispetto alla scherma civile da parte di militari in azione non è inverosimile.
Nel famoso scontro con le guardie del Cardinale che rimanda alle calende greche i tre duelli dei Moschettieri con D’Artagnan, segnalo che Athos, ferito in precedenza alla spalla destra, dovrebbe combattere con la sinistra per tutto il tempo. Nel mio racconto su quella fase della vicenda (dove però l’intrigo è diverso) ne ho approfittato per fargli fare un’inquartata mancina, una chicca che ha messo a dura prova le mie capacità di spiegazione, le doti diplomatiche dell’ottimo curatore Giorgio Smojver e la pazienza del bravissimo illustratore Riccardo D’ariano (ma il risultato è eccellente, come vedete nell’immagine sotto). Invece nel film l’esperto moschettiere si toglie subito la fasciatura e tira quasi sempre con la destra, a parte qualche colpo sporadico. Sinceramente, tuttavia, non mi sento di rimproverare il povero Cassel per il fatto di non essere ambidestro e di usare la destra in una situazione già piuttosto rischiosa.
Altro aspetto positivo: l’unica, minima concessione al politically correct è un Porthos bisessuale che, a prescindere da quel che ne avrebbe pensato Dumas e non potremo mai sapere, calza abbastanza con un personaggio ingordo di ogni cosa: dal vino al cibo alla lotta e all’avventura… fino, nel film, alle avventure con persone di ambo i sessi! Non abbiamo moschettieri “afro-americani” nella Francia del primo Seicento.
In generale, voto molto positivo. Dirò di più: secondo me la principale “mission” del cinema europeo (senza trascurare tutto il resto, commedia, nuovi romanzi ecc., ovvio) dovrebbe essere riportare sullo schermo i grandi capolavori della letteratura d’avventura e non solo, anzi delle varie letterature che possiamo vantare in questo continente. Bravi i francesi… e gli altri? La butto lì: un film su “I Promessi Sposi”, che è così pieno d’azione? Un bel gotico cupo su “Malombra”, o una produzione anglo-italana su “Il Castello di Otranto” con tutti i suoi spettri, fughe e duelli (il primo romanzo gotico, inglese ma basato su uno pseudo-manoscritto italiano e ambientato nel nostro Sud)? E quanti altri ne abbiamo? Realismo e neorealismo ne abbiamo ruminato parecchio in questo paese, magari passiamo anche ad altro per favore.
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I TRE MOSCHETTIERI

novembre 18, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

 

Non sarò certo io a fare una recensione de “I tre moschettieri” di Dumas: sinceramente mi pare abbastanza ridicolo che qualcuno si senta in diritto di mettere su Amazon o altri siti la sua personale recensione di classici come l’Iliade (magari “troppi combattimenti, eccessivamente violento”), l’Orlando Furioso (“storia confusa e con troppi personaggi”) o Moby Dick (“un eccesso di nomenclatura di navi e cetacei che spegne l’afflato epico”, e simili scempiaggini). C’è un divertente video del mio acuto concittadino Roberto Mercadini in proposito, guardatelo se avete voglia di farvi una risata.

Quindi, lungi dal voler “recensire” Dumas, volevo parlarvi brevemente del mio rapporto con questo romanzo fondamentale per l’avventura classica e la letteratura in genere, di cui sono stato sempre appassionato. Ciò più a livello personale che come studioso di scherma storica, giacché il mio interesse a livello marziale è più incentrato sulla scherma “di punta e taglio” dei secoli precedenti, e il 1625 è già oltre la soglia del mio periodo di studio preferito, sia pure non di molto. Dumas poi, che pure tirava di scherma, non ha mai approfondito lo studio di come si combattesse in quegli anni ed è sempre abbastanza vago sulla dinamica dei combattimenti. Ma tutto ciò, come dicevo, è marginale.

Come potete vedere dalla foto, fra l’altro, ho letto il libro anche in francese, anzi è stato il primo libro che ho letto in quella bella lingua, contemporaneamente a “La communication politique aujourd’hui” che era il testo previsto dall’esame di francese alla Facoltà di Scienze Politiche in quei tempi lontani. L’avevo già letto in italiano, ovviamente, molti anni prima di allora, nell’età in cui continuavo abusivamente fino a tarda notte all’insaputa dei genitori le mie letture di Salgari, Verne, Dumas appunto, e altri ancora.

Infine l’ho riletto ancora una volta con grande gusto al momento di accingermi alla scrittura di “Il contagio di Meung”, romanzo breve ora in uscita che inaugura una mia personale versione delle avventure dei moschettieri (che si tinge di fantasy e horror a causa di un episodio di “sliding doors” che ha a che fare con certe leggende mediterranee), senza tradire – spero – lo spirito dell’originale e soprattutto dei suoi immortali personaggi. Ho cercato di avvicinarmi al mondo di Dumas con tanto affetto e tanto rispetto, e quel pizzico di ironia e spensieratezza che non è affatto alieno ai romanzi originali.

D’altro canto cosa si può desiderare di più che lavorare su icone come D’Artagnan, il giovane provinciale povero, promettente e spericolato per eccellenza, in cerca di fortuna e che aspira a entrare nei moschettieri? Fra l’altro è per questo, per chi non lo sapesse, che il romanzo si chiama “I tre moschettieri” anche se i protagonisti sono quattro: D’Artagnan è solo una recluta! Anche gli altri tre, i veri moschettieri, sono splendidi archetipi. Porthos incarna alla perfezione il “guerriero orso” del mito indoeuropeo: grosso e forzuto, gran mangiatore, generoso e sempre allegro. Aramis è invece l’elegante seduttore nato, agile e sempre affascinante, nel suo caso l’archetipo è reso più interessante e contraddittorio da una fede religiosa combattuta ma profonda che lo farà aderire addirittura al sacerdozio. Infine Athos, il più esperto del gruppo, il più nobile e “adulto”: un’anima tormentata piena di dignità, dal passato misterioso, su cui gli altri si appoggiano e a cui si ispirano.

Dall’altra parte, troviamo degli antagonisti del tutto all’altezza: il mefistofelico Cardinale Richelieu, l’arrogante spadaccino Rochefort e soprattutto il personaggio più pieno di ambiguo fascino: l’incantatrice e insidiosa Milady, che accomuna in sé l’attrazione pure della bellezza e l’attrattiva repulsione del pericolo.

Al di là dei duelli, delle fughe mirabolanti, degli intrighi di corte, che forniscono il loro essenziale pizzico di pepe, quel che davvero resta a fine lettura è la nostalgia platonica per l’allegria incosciente dei quattro protagonisti (i moschettieri si trovano sempre a corto di denari ma se qualcuno di loro si trova a disporre di una qualsiasi somma subito si sente in dovere di spenderla in banchetti per tutto il gruppo), e ancora di più per l’amicizia e la fedeltà adamantina che li lega tra loro al di là di ogni causa per cui combattere, al di là di ogni contingenza della vita e del destino, e che è la gemma più preziosa che ha donato Dumas all’umanità con questo grande romanzo. Quindi, ancora una volta, che risuoni il grido di battaglia dei tre baldi moschettieri più un cadetto di Guascogna:

“Uno per tutti, tutti per uno!”

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