I RACCONTI DI MALIA
“Gli oceani si abbattono sulle lunghe coste frastagliate, dimora di draghi,
Esplodendo sotto la luna cremisi con spruzzi ardenti,
E castelli di ferro aprono le loro porte,
E donne serpente mi allettano con l’arpa, e con me giacciono,
Le onde vaporose vibrano sotto i rami spettrali.
Non mi cercate: navigo incontro al giorno.”
(R. E. Howard)
Mario uscì infuriato dal vecchio portone di legno che lo aveva visto passare centinaia di volte.
“Stronzi.” pensò, mentre si avviava di buon passo.
Non c’era niente da fare, non poteva continuare più così. Percorse a gran velocità gli antichi portici anneriti di Selenia, scese e salì gradini consunti senza badare alle variopinte botteghe che attiravano l’attenzione dell’altra gente. Ormai aveva deciso, avrebbe mandato tutto alla malora. S’immise in una delle vie principali e finalmente poté vedere una fetta di cielo. Grigio, e c’era anche la nebbia. Cercò di sgusciare nel lento flusso della folla ma non riuscì ad avanzare più rapidamente degli altri. Dall’alto della sua statura maledisse le malferme vecchiette di gamba corta che intralciavano la strada. Finalmente svoltò in una viuzza. Lì c’era l’edificio in cui viveva. Salì a due a due le scale che, evitando il piano nobile in cui viveva il proprietario, portavano alla sua dimessa stanza. Si chiuse la porta alle spalle e si guardò intorno. Camera fredda e poco confortevole, arredata in modo umile a basso costo. Il porto di partenza di tanti viaggi immaginari, tutto colmo dell’energia dei momenti di esaltazione e dell’amaro aroma dell’insoddisfazione. Salì su una sedia e rimosse un pezzo di asse dal soffitto, tirando giù la bisaccia dal suo nascondiglio. Subito si sentì in colpa: lì dentro c’erano i soldi che i suoi genitori gli avevano inviato per vivere ancora otto mesi in città e terminare gli studi. Come ogni anno avevano fatto dei sacrifici per raccoglierli. Esitò e rimase fermo come un allocco, in piedi sopra la sedia con la bisaccia in mano, perso nei suoi pensieri. Intanto la luce già scarsa calò ancora, tingendo di grigio le pareti chiare della camera. In fondo non erano tanto i suoi genitori ad aver stretto la cinghia per raccogliere quei soldi, ma i contadini del loro podere. Al diavolo i contadini! I suoi avrebbero sofferto… ma quanto aveva sofferto lui durante tutti quegli anni? L’avevano fatto studiare, avevano sognato un futuro per lui, erano perfino riusciti a convincerlo che quel sogno fosse anche il suo. Ci erano quasi riusciti. Anni, passati a riverire professoroni barbosi, a chinare il capo davanti ad acide zitelle, a sforzare la mente su formule legali e a imparare a memoria leggi emanate da antichi tiranni come se fossero state l’essenza della giustizia. Basta! Prese una parte dei soldi, nascose il resto sotto il pagliericcio e uscì chiudendo a chiave la porta.
“Tempo di spese!” si disse sogghignando. Poi si rituffò nella fiumana di gente. In breve fu davanti a una delle botteghe che fino a quel momento aveva ammirato senza speranza dall’esterno. Entrò senza esitare.
“Buonasera. Vorrei quelli.” disse al commesso indicando il paio di stivali più belli e robusti. Tra i più costosi, ovvio. Erano splendidi, alti fino al polpaccio, di solida pelle lucida, suole adatte tanto alle staffe quanto a percorrere a piedi i sentieri più ripidi. Per gli Dei se ci aveva sbavato dietro! Mario se li provò dopo aver dismesso le sue scarpe basse da città. Si alzò e fece qualche passo. La misura era perfetta. Si guardò in uno specchio e si girò di fianco, ammirandosi. “Addio, Mario lo studente di legge, e salve a te, Mario l’avventuriero!”
Si girò verso il commesso con aria soddisfatta.
“Molto bene, li prendo.”
Ora bisognava armarlo, questo avventuriero.
Sapeva cosa gli serviva, e dove trovarlo.