di Marco Rubboli

LE CRONACHE DEI PRETORIANI NERI

VOLUMEN I

Dopo la vittoria di Teutoburgo l’espansione dell’Impero non ebbe più limiti: con Germanico e gli Imperatori successivi il “limes” raggiunse gradualmente i monti Urali. Usammo poi i cavalieri germani per conquistare il regno dei Parti e ci spingemmo fino all’Arabia Felix e a Sud dell’Egitto. La guerra più dura che dovemmo affrontare tuttavia venne dall’interno: ai tempi dell’Insurrezione le Tenebre si sollevarono e reclamarono il dominio del mondo. I figli delle Tenebre non prevalsero, ma il prezzo da pagare fu alto. Oggi l’Impero si estende dall’India all’Hibernia, dagli altopiani d’Etiopia fino ai fiordi dell’Ultima Thule, però oltre i confini della sacra Italia il potere dell’Imperatore è limitato. A Lui restano poche armi per influenzare i Re che governano in suo nome: il denaro delle decime, le parole alate del Culto Imperiale, le coorti dei Pretoriani Aurei pronte a soccorrere i Regni minacciati. E noi, i Pretoriani Neri. Noi siamo l’Inquisizione, la mano sinistra dell’Imperatore, la lama nascosta degli Dei, la sentinella all’erta nel buio. Siamo i guardiani dei cancelli degli Inferi.”

Aurelius, XI Console Nero.

 

Vallo di Adriano, Regno di Britannia, Impero Romano

Anno 2243 ad Urbe Condita

Il drago nero atterrò sulla sommità della torre più alta. Il vento sollevato dalle grandi ali funeree mi costrinse a stringere gli occhi. Il possente animale poggiò le zampe a terra e il Legato si lasciò scivolare giù lungo il collo gigante della bestia. Mi sorrise mentre mi raggiungeva, rughe attorno agli occhi chiari.

“Benvenuto a Caer Flammarum, Legato.” gli dissi, porgendogli la destra.

“Non credevo che ci rivedessimo così presto, Lucrezio.” mi rispose “Dopo l’ultima avventura speravo di essermi liberato di te e dei tuoi compari, almeno per un po’.”

Scherzava, naturalmente. Musonio Rufo era quasi un secondo padre ormai per me.

Gli risposi a tono, strizzandogli un occhio.

“Il sentimento è reciproco, Legato.”

“Dimmi: com’è la situazione?”

“Dire critica sarebbe un eufemismo, Signore. Disperata forse sarebbe più adeguato.”

L’alto ufficiale dell’Inquisizione ignorò miei compagni, schierati a qualche distanza, e si voltò verso le altre personalità che lo attendevano sulla torre.

C’era il comandante della fortezza e gli ufficiali dei pochi contingenti che era stato possibile radunare in tutta fretta per la difesa.

E poi c’era lei, la Regina spodestata di Caledonia, una matura bellezza locale dalla lunga chioma nera a striature bianche, lo sguardo deciso e la mascella serrata. Aggrappato alle sue vesti, lo spaesato erede al trono di quelle terre gelide e inospitali. Un bambino qualunque, dallo sguardo tenero e spaventato. In pochi giorni aveva perso il padre, la corona e quasi la vita. Tutto per colpa di suo zio, il Re della Notte. Che nome pretenzioso, quasi ridicolo! Più adatto a un istrione dedito alla vita notturna che a un pericoloso necromante.

L’orda con la quale costui stava per spazzarci via tutti, d’altro canto, non era per niente ridicola né divertente. Non odio i non-morti camminatori quanto i vampiri – e di sicuro non come i bambini vampiro – ma per gli Dei se non ne avete mai incontrati non potete sapere quanto sia spiacevole combatterli. Puzzano come la morte (letteralmente) e per abbatterli bisogna spaccare loro il cranio. Quindi sperate di non trovarvi davanti un camminatore che sia stato rianimato quando indossava un elmo bello robusto, perché vi assicuro che è una situazione davvero difficile. Lo dico per esperienza.

Il Legato salutò la Regina e la rassicurò: l’Imperatore non avrebbe mai riconosciuto come legittimo Re il fratello di suo marito. Rianimando quell’esercito di morti l’usurpatore si era legato da solo mani e piedi e si era consegnato all’Inquisizione. Belle parole. L’unico problema era che il Re della Notte non era nelle nostre mani, ma era lui che stava venendo a prenderci, alla testa di migliaia di schiavi puzzolenti e quasi invulnerabili.

 

“Andiamo, i convenevoli sono finiti.” ordinai.

Un largo sorriso apparve sul volto di Suenus il Geata.

“Bene, è quasi ora di farsi una bella birra. Ci sta prima di cena, no, Tribuno?”

Tentai di fare una faccia severa.

“Suenus, non è ancora metà pomeriggio e ci attende una battaglia dalla quale non so se usciremo vivi. Un po’ più tardi, una sola. E piccola.”

Il nordico sbuffò.

“Quanto sei noioso, Tribuno. Se devo morire preferisco farlo con qualche birra nella pancia!”

“Una. Non qualche. Una.”

“E piccola… ho capito, ho capito, per Thorr! Dannazione!”

Mi girai verso Occhiverdi, e la vidi seccata. Dopo anni di relazione clandestina lo capisco subito, quando è incazzata. E non era perché stavamo rischiando la pelle: quello è normale, per i Pretoriani Neri, fa parte del gioco che abbiamo scelto di giocare. Dove ci sono pericolo, magia nera, esseri mostruosi, noi ci fiondiamo. E’ il nostro compito. Ovviamente non si vive molto a lungo, date queste premesse. Anzi, direi che io e lei siamo già fortunati a essere arrivati fin qui, e lo sappiamo entrambi.

No, la mia bella ex-gladiatrice aveva altro per la testa.

La tirai da parte e la guardai con espressione interrogativa. Non ci fu bisogno di domande.

“ È bella, eroica e affascinante. E vedova.”

Non compresi subito. Avevo in mente il Re della Notte, e la descrizione non calzava. Macché. Occhiverdi era gelosa della Regina.

“E con ciò?”

“E con ciò niente. Ho visto che la guardavi, prima. Senza badare a nascondere l’ammirazione. E hai anche commentato ad alta voce con il Centurione.”

La Regina era una bella donna, e ammirevole, sì, ma per me era un po’ attempata.

“Boh… ma prima quando, Maevis? Cosa stai dicendo?”

Poi capii. Tornai col pensiero a quando mi ero fermato con l’Ispanico – il Centurione al mio comando da anni – a guardare la Regina che si prendeva cura del suo drago. E avevamo parlato… ma sì, certo! Scoppiai a ridere.

“Ma no, Occhiverdi! Il magnifico animale da battaglia era il drago! Io e l’Ispanico parlavamo del suo drago, non della Regina!”

La gladiatrice rimase interdetta. Adesso avevo un vantaggio tattico, e potevo andare all’attacco.

“Chiedilo al Centurione, se vuoi. È così, te lo giuro. La colpa a volte non è nella lingua che parla ma nell’orecchio che ascolta.”

Maevis scosse la testa.

“Inutile chiederlo a lui: a parte la solita disgustosa solidarietà maschile, l’Ispanico a te ti sosterrebbe sempre e comunque.”

“Comunque le cose stanno così, non hai motivi di essere gelosa. Io la Regina piuttosto la vedrei bene con Musonio Rufo.”

“Bah!” esclamò lei, sconfitta ma non domata.

Si strinse nelle spalle.

“ È che questa gente non la sopporto. Britanni, Pitti… tutti nemici di noialtri popolo d’Hibernia! Io non ci volevo venire, qui. Invece mi sa tanto che mi tocca pure morirci, e magari dopo perfino andarmene in giro ciondolando in cerca di carne umana… al servizio di un necromante, un Pitta per di più!”

Stavo per ribattere con qualche parola di incoraggiamento quando un soldato mi tirò per una manica.

“Signore, la vostra presenza è richiesta al consiglio di guerra. Lo ha chiesto espressamente la Regina.”

Ma porca… Non osai girarmi di nuovo verso Maevis, ma mentre seguivo il soldato mi sentivo sulle spalle uno sguardo più bruciante della fiamma di un drago.

 

 

Quando uscii dal consiglio lei era là, ad attendermi. Con la schiena appoggiata alla parete, le braccia incrociate.

“Allora tutto bene? Lei è stata soddisfatta?” insinuò.

La ignorai e passai oltre. Sentii i suoi passi affrettati dietro di me.

“Allora, non mi parli nemmeno, adesso?”

“Maevis, sai com’è la situazione, e non vorrei passare le ultime ore a litigare con te per questa storia assurda. Perciò piantala.”

Mi fermò mettendomi una mano sulla spalla.

“E come vorresti passarle?”

Mi girai e la presi fra le braccia. La baciai, e non resistette molto.

In quel momento uscirono sul corridoio anche la Regina e il Legato.

Lasciai andare la gladiatrice e rimanemmo immobili.

La nobildonna Pitta fece finta di nulla e si allontanò dall’altra parte, stupefatta. Per fortuna Musonio Rufo la seguì. Le avrebbe spiegato lui. A noi Pretoriani Neri non è permesso innamorarsi. Nessuno ci dice niente se vogliamo divertirci un po’, ma non sono ammessi legami. Io e Maevis siamo un’eccezione, ignorati e tollerati per meriti sul campo. E perché ormai è provato che il nostro apporto alla Coorte non risente della nostra relazione.

“Ma sarai stupido? Smettila con queste smancerie in pubblico, una buona volta. Lo vuoi capire che non si può?”

Lo sguardo dei suoi occhi felini però smentiva le sue parole.

Risposi con un’alzata di spalle.

“Quindi? Cosa vi siete detti là dentro? Di che morte dobbiamo morire?” indagò.

“La più degna. Armi in pugno. Ma ce la giocheremo fino alla fine, con tutti i mezzi, e chissà…”

Mi avevano voluto nel consiglio di guerra non solo come comandante dell’unico drappello dell’Inquisizione presente ma anche per il mio passato di Tribuno nelle truppe regolari dei Pretoriani Aurei Imperiali. Avevo servito in Battriana, Etiopia e Urali prima di passare ai Pretoriani Neri, e scusate se è poco.

Insieme avevamo ripassato e migliorato i piani del comandante della fortezza Britanna, un tale Arctorius. Secoli fa il controllo del Vallo di Adriano era passato dall’Imperatore al Re di Britannia, che lo usava per controllare la frontiera con la Caledonia e scoraggiare incursioni di quelle teste calde che abitano al di là. Anche loro sono vassalli di Roma da secoli, ma non ci si può mai fidare: senza il Vallo i Pitti sarebbero capaci di ubriacarsi alla taverna e decidere lì su due piedi di andare a bruciare un villaggio oltre confine. Non che i connazionali di Occhiverdi siano tanto diversi.

 

 

Ora è bene però che vi spieghi come eravamo arrivati a quel punto. La missione della mia squadra era di investigare sul fratello del Re di Caledonia, su cui gravavano sospetti di necromanzia. Una nave volante della Coorte ci aveva portato rapidamente fino a Londinium, poi da lì avevamo deciso di proseguire un po’ per mare e un po’ terra in incognito, per non destare sospetti. I Figli delle Tenebre non sono stupidi, o almeno non tutti, e hanno spesso delle spie. L’arrivo di una nave volante dell’Inquisizione in quelle terre desolate così a Nord avrebbe attirato troppo l’attenzione. Però mentre eravamo in viaggio la situazione oltre il Vallo era precipitata, e la nostra indagine era divenuta superflua: il Re della Notte aveva ammazzato il vero Re di Caledonia, impadronendosi della capitale e del suo drago.

La Regina si era messa a capo dell’esercito e lo aveva attaccato. La battaglia era stata una vera carneficina, in cui le due schiere si erano massacrate a vicenda. Alla fine l’usurpatore si era visto perduto e aveva gettato la maschera. Aveva risvegliato tutti i caduti di una parte e dell’altra, e grazie a loro si era facilmente disfatto dei superstiti. Poi aveva reso pure quelli schiavi non-morti. La Regina si era messa in salvo con suo figlio dandosi alla fuga in sella al suo drago, poi con pochi fedeli si era mossa velocemente verso Sud inseguita dall’orda crescente del bravo cognatino. Per fortuna non sono molti i necromanti così potenti, di solito al massimo fanno alzare un cadavere alla volta… ed è pure troppo per i miei gusti. Anzi, per i miei gusti dovrebbero bruciare tutti come zolfanelli. Bene, sì, lo ammetto, non ho nessuna simpatia nemmeno per i necromanti, oltre che per i vampiri e i non-morti di ogni sorta. Perché, voi ne avete? In questo caso forse dovrei investigare un po’ su di voi.

Comunque, bando alle ciance. Alla fine la Regina e i suoi sono arrivati al Vallo e i Britanni hanno avuto la cortesia di farli passare, il che non era affatto scontato. Per fortuna c’era da queste parti un manipolo di Pretoriani Aurei. I guerrieri italici sorvegliano il confine per impedire che due Regni vassalli dell’Impero (ma non proprio amici fra loro) si facciano guerra. È stato proprio il Tribuno degli Aurei che ha convinto il comandante Arctorius a far passare gli uomini della Regina e i profughi. Questa era la situazione quando siamo arrivati noi. Sette spade dei Pretoriani Neri per la difesa di Caer Flammarum. Per ultimo, era giunto Musonio Rufo in tutta fretta da Londinium a cavallo del suo drago. La nave volante con una centuria dei nostri era parecchio più indietro, a causa dei venti contrari.

Siro, l’arciere della squadra, entrò nella sala. Si guardò intorno smarrito.

“Proprio così, Siro, sei l’ultimo, aspettavamo solo te.” lo rampognò il Centurione.

“Mi… mi dispiace, io…”

“Non ce ne frega niente. Siediti e ascolta.”

L’arciere orientale obbedì.

Io smisi di giocherellare con la daga e la piantai nel tavolo.

“Bene, adesso che ci siamo tutti aprite bene le orecchie, perché non lo ripeterò una seconda volta. Vi faccio il quadro completo e poi vi spiego cosa dovremo fare noi, ognuno di noi.”

Li fissai uno a uno.

“Allora, le nostre forze sono queste: abbiamo duemila guerrieri Pitti e circa il doppio di Britanni. Tutta gente che vale quello che vale: sono valorosi ma armati come si può, soprattutto i Pitti. Poi abbiamo un migliaio di cavalieri mercenari Sarmati, al servizio dei Britanni. Questi sono duri e addestrati bene, una buona cavalleria, ma non sono catafratti. Armature leggere, lance e spade, qualche arco e giavellotti. Poi c’è un manipolo di Pretoriani Aurei, guerrieri italici di prim’ordine ben inquadrati, ma sono solo quattrocento. Ancora, abbiamo il drago della Regina e soprattutto quello del Legato, un essere che mai al mondo vorrei trovarmi ad affrontare. Infine, ci siamo noi sette.”

“Certo, e siamo noi a fare la differenza, vero?” commentò amaramente il Centurione, noto per il suo ottimismo.

“Chissà…” risposi, insinuando un dubbio “Anzi, mi correggo: ci siete voi sei, perché io sarò altrove.”

“E dove, se si può sapere?” chiese subito Occhiverdi, ancora sospettosa.

“A comandare le truppe insieme agli altri comandanti. Mi è stato richiesto di farlo e non mi tirerò indietro. Considerate che si deve fermare un’orda di camminatori che gli esploratori valutano fra i venti e i trentamila, per cui avrò il mio da fare. Invece a voi affiderò un compito diverso.”

“E sarebbe?” chiese Suenus masticando lo stinco di qualche animale, che non aveva voluto smettere di divorare.

“Sospettiamo che se – e dico se – riuscissimo a fermare l’assalto dell’orda, allora il Re della Notte potrebbe tentare di assalire il Principe.”

“Principe?” continuò a ruminare il gigante nordico.

“Quel bambinetto che sta sempre attaccato alle sottane della Regina, no?”

“Ah. Va bene.”

“Tu, Ispanico, sarai al comando della squadra naturalmente.”

Il Centurione mi squadrò poco convinto.

“Non è che lo fai per tenerci lontano dallo scontro, vero?”

Fui quasi assalito da un brivido. Non c’era nessun posto sicuro, in quella fortezza.

“Non credo affatto che sarete al sicuro. Se il Re della Notte verrà a cercare il Principe, e se non è un cretino, verrà a cavallo del suo drago. Siete pronti ad affrontarlo?”

“Nemmeno per sogno!” rispose Suenus strabuzzando gli occhi.

“Ma siamo pronti a provarci.” aggiunse l’Ispanico.

Feci cenno alla squadra di alzarsi.

“Andiamo sul posto. Ho qualche idea per organizzare un comitato di benvenuto. Lui sarà pure il Re della Notte ma anche noi sappiamo preparare un baccanale come si deve.”

 

 

Gli esploratori Sarmati andavano e venivano, spronando i loro agili cavalli. Tenevano d’occhio il nemico da giorni, a distanza. Poco oltre la fortezza di Caer Flammarum bruciavano ancora i resti dei cadaveri che Arctorius aveva fatto tirare fuori dalle cripte e dai cimiteri. Qualcuno aveva provato a protestare ma era stato zittito con pochi complimenti. Non c’erano profughi dentro le mura: quelli che erano arrivati fin lì erano stati tutti spediti più a Sud con la massima celerità. Altri avevano percorso strade diverse: via mare, a Est, a Ovest, insomma erano stati indirizzati verso qualunque luogo che non fosse sulla via dell’orda di defunti ambulanti. Anche la maggior parte della popolazione civile della cittadella era stata mandata via. Infatti non si poteva escludere un lungo assedio, ed era meglio che le provviste disponibili fossero interamente a disposizione dei soldati. Solo ad alcuni artigiani e servi indispensabili era stato permesso di rimanere: fabbri, carpentieri, stallieri.

L’intera guarnigione e le truppe di rinforzo, compresi i cavalieri mercenari (e perfino il sottoscritto, quando non era intento a dare disposizioni) era impegnata a scavare fossati e trappole, erigere trincee e preparare il terreno.

Mi detersi la fronte dal sudore e sollevai il viso verso l’esploratore.

“Signore, sono molto vicini, ma hanno rallentato ancora il ritmo di marcia. Sono quasi fermi.”

Mi scambiai un’occhiata col Legato. Musonio Rufo ultimamente non scendeva quasi più dal suo drago, per timore che il necromante attaccasse di sorpresa in sella al suo.

Entrambi sapevamo cosa ciò significava.

“Vuole arrivare qui quando è già buio. Vuole una battaglia notturna.”

I camminatori non hanno paura. Per forza: sono già morti. Per loro ormai la frittata è fatta. Sono i soldati umani che temono i morti ritornanti. Anche di giorno, figuriamoci poi nelle tenebre.

Musonio Rufo sospirò.

“Me l’aspettavo.”

Alzai le spalle. Pure io. Ripresi a scavare.

 

 

Quando il sole si abbassò sull’orizzonte, gli esploratori riferirono che l’orda adesso si faceva avanti veloce. Ordinammo a tutti di rientrare nella fortezza.

Io mi appostai sul torrione al centro della muraglia che dava a settentrione, sopra la porta principale in direzione della Caledonia. Il grande globo rosso andava nascondendosi a poco a poco dietro le colline colorate di ombra. Quella era l’unica zona di sereno, il resto del cielo appariva coperto da nuvole foriere di tempesta. Quando anche l’ultima falce ardente fu fagocitata, un brivido mi risalì lungo la schiena fino alla nuca, fino a farmi rizzare i capelli dentro l’elmo.

Allora l’aria si mosse, e la sagoma imperiosa di Phobos, il drago di Musonio Rufo, mi si posò accanto.

“Ci siamo, Lucrezio. Prego gli Dei che ci permettano di vedere l’alba di domani.”

Gli sorrisi. Non poteva vedermi, ma l’avrebbe intuito.

“Il sole sorgerà comunque. Cerchiamo di essere ancora in piedi quando accadrà.”

 

 

Uno a uno, vennero accesi tutti i roghi che avevamo disseminato nella piana. Gli esploratori sapevano di doverlo fare quando il nemico fosse arrivato abbastanza vicino.

Un tuono risuonò lontano, un sommesso brontolio che preannuncia il risveglio di una furia temibile. Un rombo rispose da un altro canto della volta celeste, ancora più forte.

Allora il Legato si rivolse alle truppe radunate sulle mura e nel cortile, con voce stentorea.

“Soldati, figli dell’Impero, uomini di Caledonia e di Britannia, cavalieri di Sarmatia e Pretoriani giunti dalle sacre terre d’Italia… un’orda senza pietà viene verso di noi, spinta dalla volontà oscura dell’usurpatore che si fa chiamare il Re della Notte. Se il nemico non ha paura mostriamogli che nemmeno noi ne abbiamo, se non ha pietà non riserviamone a lui, se si fa avanti ricacciamolo indietro. Perché i Figli delle Tenebre non trionferanno! Alla fine la luce dell’Impero torna a splendere ogni volta svelando le loro vergogne e la loro debolezza, i loro piani nefasti si ritorcono contro di loro e i loro crimini vengono purificati col fuoco.”

Un fulmine percorse il cielo da Sud a Nord, e ne seguì un tuono fortissimo.

Fu allora che, all’avanzare dell’orda, i primi dei nostri falò disseminati per la pianura iniziarono a spegnersi.

Il Legato alzò un braccio al cielo

“Vedete i nembi nel cielo, vedete le folgori di Giove venute a salutare la gloriosa impresa che ci attende? Il Tonante ci guarda da lassù: mostriamogli cosa sanno fare i suoi figli!”

Urlai insieme a migliaia di altre voci, alzai la spada insieme a migliaia di altre spade. La battaglia aveva inizio.

 

 

VOLUMEN II

Vi sono molti modi per combattere i Figli delle Tenebre, e non uno solo di questi è sconosciuto all’Inquisizione. I Pretoriani Neri sanno raccogliere prove e testimonianze per inchiodare alle loro nefandezze i maghi davanti a tutti nel Foro, davanti ai pubblici magistrati, affinché subiscano il giusto castigo del rogo, ma sanno anche assassinare nell’ombra i necromanti prima che agiscano, se occorre, sanno trovare il sacello del vampiro nei più reconditi nascondigli per tagliargli la testa o spaccargli il cuore mentre riposa nel suo sonno innaturale, sanno riconoscere il licantropo, intrappolarlo con l’astuzia ed eliminarlo con la forza. Ma a volte, quando la situazione è tanto grave che l’onda oscura del male rischia di sommergere intere regioni, quando l’ombra maledetta dell’Insurrezione torna ad affacciarsi sul mondo che gli Dei hanno affidato alle cure di Roma, allora i Pretoriani Neri agiscono come un vero esercito e ogni forza leale all’Imperatore deve a loro obbedienza, allora i Consacrati affrontano i Figli delle Tenebre in campo aperto usando ogni arma e ogni artificio di cui l’Impero ha imparato a servirsi durante i secoli. Allora le fondamenta stesse dell’ecumene tremano, e perfino gli Dei trattengono il respiro.”

Balarus, X Console Nero

Maevis coprì il piccolo Principe con una cappa, alzando il cappuccio a nasconderne il viso, e guardò fuori dalla finestra della torre. I soldati alzavano le loro grida di guerra prima della battaglia, e i tuoni facevano loro eco. La provocatrix controllò che la daga fosse ben allentata nel fodero che aveva allacciato alla cintura del bambino.

“Non la tirare fuori” si raccomandò ancora una volta “a meno che non te lo dica io. In quel caso vuol dire che siamo nella m… che siamo in pericolo. Allora estraila, stai attento a non tagliarti e tienila nascosta nella cappa fino a che tuo zio non ti arriva vicino. Allora ficcagliela nello stomaco e poi fai così, guarda: la spingi in alto, fino a che non buca il cuore. Te ne accorgi perché lui smette di gridare e crolla per terra. Tutto chiaro?”

Il bambino annuì, serio.

Occhiverdi lesse nel suo sguardo che non gli sarebbe dispiaciuto affatto, e ciò quasi la spaventò. Era così piccolo! Ma, d’altro canto, suo zio gli aveva appena ammazzato il padre, si era impadronito del regno e ora dava la caccia a lui e a sua madre alla testa di una schiera di cadaveri.

“Ora vai di là.” gli ordinò.

Lo spinse nella stanza accanto. Era solo una specie di pianerottolo attorno a una scala a chiocciola, ma era l’unica che aveva trovato del tutto senza finestre e con muri belli robusti. Per arrivare fin lì il necromante avrebbe dovuto lasciare il drago e venire a piedi.

“Vieni, vieni, bello. Te la do io la notte.”

In quella si affacciò Achillea, l’altra provocatrix della squadra: una donna spartana e atletica, straordinariamente alta.

“Allora, cosa fanno i ragazzi?”

Achillea alzò le spalle.

“Scavano.”

“Ancora?”

“Sì, che palle!”

“Hanno i loro motivi.”

“Come no? Certo. Ma preferirei stare dall’altra parte, in mezzo alla baraonda. Va bene, vado a giocare un po’ con la terra anch’io, così magari ci sbrighiamo. Sarebbe stato meglio essere pronti prima, ma si fa quel che si può. E io che pensavo che sarebbe stata una missione facile e divertente: smascheri un nobilastro che gioca a svegliare i cadaveri, lo pizzichi e te lo fai allo spiedo, o alla brace se preferisci. Invece guarda qua che macello!”

“Non sempre le cose vanno come si vorrebbe. Giochiamo con le carte che abbiamo.”

“Per forza, bellezza. A dopo.”

 

 

L’orda pareva un’onda nera che travolgesse uno alla volta i falò che avevamo costruito. Parevano stelle nell’ultimo giorno, quando una a una si spegneranno. Uno spettacolo triste e inquietante. In quel modo, almeno, sapevamo sempre esattamente dov’era il nemico. Anche i nostri esploratori a cavallo, armati di torce, percorrevano il campo stando sempre a una distanza di tutta sicurezza dai mostri. Loro, al contrario, non sapevano molto delle nostre difese. Al momento stabilito segnalai che avanzassero gli arcieri, i balestrieri e i soldati della Caledonia. Era per la loro terra che si combatteva, ed era giusto che rischiassero un po’ di più degli altri. Non troppo, però. Se da una parte i camminatori che riuscivamo a bruciare o a cui spaccavamo o tagliavamo la testa non si sarebbero più rialzati, dall’altra ogni nostro caduto si sarebbe unito alla schiera dei morti. Quindi dovevamo evitare o almeno ritardare il più possibile le perdite. Non si poteva sprecare un singolo uomo. Bene, non si può mai, è chiaro: si tratta sempre di una vita umana, un essere che respira, gioisce, piange, ama, è il figlio e magari il padre di qualcuno. Ma quel giorno ciò valeva anche di più, per la ragione oscura che ho appena detto: ogni soldato in meno per noi era anche un soldato in più per il Re della Notte. Per questo fuori dalle mura avevamo tenuto solo gli esploratori a cavallo e i Sarmati, questi ultimi divisi in due schiere e nascosti dietro alla fortezza, ai due angoli meridionali.

Ma eccoli! I cadaveri erano entrati nel raggio di azione dei nostri più grandi trabucchi. Diedi ordine di tirare, e una scarica di pietre, palle incendiarie e fuoco greco si scaraventò sul nemico. Lanciai un razzo di segnalazione, un’invenzione del remoto Celeste Impero per cui Roma non lo ringrazierà mai abbastanza. Allora gli esploratori gettarono torce sulla prima trincea. Anche gli arcieri gettarono una pioggia di frecce incendiarie. Il legno, intriso di pece e olio nero, prese fuoco subito. Una linea di fiamme si parò davanti all’avanzata dell’armata delle tenebre, fermandola. Allora riuscii anche a intuire la sagoma del drago che volteggiava sopra l’esercito dei morti.

Lo indicai al Legato.

“L’ho visto anch’io, Lucrezio, lo tengo d’occhio.”

Il drago nero cornuto di Musonio Rufo teneva il muso proteso verso quel suo simile che sapeva di dover affrontare. Santi Dei, ero contento di non essere io l’avversario a cui quegli sguardi erano diretti. Il respiro dell’enorme animale pareva il mantice di un fabbro: agognava il combattimento.

A una certa distanza, anche Ogmé, il drago della Regina di Caledonia, stava posato sulle nostre mura. Era più piccolo sia di Phobos che di Lugus, il drago del Re di cui si era impossessato l’usurpatore, ma ugualmente feroce. I soldati là sotto, una schiera ridotta, parevano stare al riparo di quelle due bestie immani. Se non ci fossero stati loro il necromante avrebbe potuto attaccarli col suo soffio, sia pure rischiando di essere colpito dalle nostre macchine da guerra. Queste invece tiravano senza posa dalle mura sull’orda impossibilitata a proseguire. Mi consolava pensare che ogni cadavere schiacciato o bruciato da quei lanci non me lo sarei trovato poi davanti, da abbattere a colpi di spada. Gli arcieri, superando le altre barriere concentriche che avevamo predisposto, avanzarono fino a portarsi in gittata e iniziarono a scoccare. Le frecce erano incendiarie, altrimenti poche sarebbero riuscite a penetrare proprio nel cranio di un camminatore. Invece il non-morto brucia bene, tutti lo sanno. Inoltre alla trincea in fiamme si aggiungevano tanti piccoli focolai. Era bellissimo a vedersi dalle mura, uno spettacolo. Ma sapevo bene che già da dove stavano gli arcieri si doveva percepire il lezzo di carne morta bruciata, e grazie alla luce rossastra che illuminava il buio si doveva percepire anche ogni singolo essere immondo che si dibatteva nella sua seconda agonia. Nessuno sapeva per certo se quei cosi serbassero qualche ricordo di quando erano stati persone vere. Quella riflessione mi riportò con la mente al passato, a chi avevo perduto in un modo simile, e orribile. Rabbrividii. Se era così, preferivo non saperlo.

Prima o poi sarebbero passati, in qualche modo: era cruciale abbatterne il più possibile prima che lo facessero. Ed ecco infatti che iniziarono ad avanzare incuranti di ogni cosa. Il loro Oscuro Signore doveva averlo ordinato. Morirono a decine, ma presto si creò qualche varco. Gli arcieri abbatterono i primi, rallentando l’avanzata. Mi rivolsi al Legato:

“Ora?”

“Ora!” confermò.

Altri segnali fecero arretrare gli arcieri – senza mai smettere di scoccare fino a che potevano – dietro ai soldati di Caledonia Poi tutti quanti si portarono al riparo della trincea successiva. Al contempo l’ala destra di cavalleria si lanciò in una carica.

 

 

Alanus, condottiero dei mercenari Sarmati, estrasse la spada e alzò il suo grido di guerra. Lo stendardo del drago rosso non era che un’ombra più scura nella notte nera. Cinquecento gole ripresero il suo grido, accompagnate dal sordo rimbombo degli zoccoli sul terreno. Il Tonante rispondeva da lassù, ancora più assordante. Alanus condusse la carica dei suoi guerrieri lungo il confine di fuoco, dalla parte interna. I camminatori iniziavano a passare, a uno a uno oppure a piccoli gruppi. Non era una massa fitta e compatta, come quella contro cui si era ben guardato dal lanciarsi, ma poche forze sparute e disperse. I Sarmati li investirono come un uragano. Alanus colpì la testa scarnificata di quello che doveva essere stato un contadino Pitta. Non ci mise forza: la massa del cavallo al galoppo bastava e avanzava, se avesse anche impresso potenza al colpo col braccio avrebbe rischiato che la spada gli fosse strappata di mano, o anche di cadere di sella. Sentì le ossa cedere di schianto, e metà della calotta cranica volò indietro in mezzo alla trincea incendiata. Alanus ululò di trionfo. Intorno a lui i Sarmati stavano facendo una strage, lanciando frecce e giavellotti o falciando i morti al loro passaggio con le spade. Alcuni ne avevano infilzato con le lance come spiedini, e se li portavano dietro tenendoli sollevati. Quando stava per finire il percorso, vide che l’altra turma si era già lanciata nel senso opposto. Alzò la spada per salutare il suo luogotenente e quello rispose con un ghigno stampato in viso. Uno spasso! Un passaggio per uno, non di più, aveva ordinato il Legato. Peccato, ma gli ordini sono ordini. Quello poi era un alto ufficiale dell’Inquisizione, e cavalcava un dannato drago nero cornuto sputafuoco. Non era certo Alanus che avrebbe messo in discussione i suoi comandi.

 

 

Una goccia d’acqua, sottile, precipitò dalle nubi e venne a schiantarsi sulla mia mano, che tenevo poggiata su un merlo delle mura.

“Dannazione!” imprecai. Quello non ci voleva. Il fuoco era la nostra arma principale. Mi stavano bene fulmini e tuoni, ma la pioggia poteva essere un problema.

“Cosa c’è, Lucrezio?” chiese la voce del Legato, che proveniva dalla massa nera incombente sopra il torrione.

“Piove, Signore. Speriamo che non venga giù forte.”

Silenzio.

“Abbiamo cosparso tutto di pece e olio nero, dovrebbe funzionare lo stesso.”

Alzai le spalle.

“Sì… fino a un certo punto. Dipende. E comunque avrà meno forza.”

“Ci dovremo accontentare. E lavorare di più col ferro.”

Col ferro e col fuoco. Come sempre.

 

 

I Sarmati lasciarono il terreno costellato di cadaveri… bene, cadaveri lo erano anche prima, volevo dire: cadaveri che non si muovono, stesi a terra.

Dopo il loro passaggio, come quando l’onda si ritrae e un po’ alla volta la sabbia si asciuga, ricominciarono a passare. Non intendevamo contendere loro quel terreno: sarebbe stato uno spreco inutile di vite preziose. Ma la zona era disseminata di trappole. Più che altro erano le usuali trappole da orsi: buche il cui fondo era irto di pali di legno acuminati. Tutte quelle che avevamo scavato sortirono il loro effetto, tanta era la calca. Il Re della Notte sapeva che sarebbe successo qualcosa di simile, per questo aveva abbondato nel creare il suo esercito di morti che camminano. Noi puntavamo a falcidiare le sue schiere, lui dal canto suo– che non era uno stupido e aveva intuito la nostra tattica – si era procurato il numero più alto possibile di servitori puzzolenti. Io so che tu sai che io so. Ma era nervoso lo stesso, lo potevo intuire da come sorvolava l’orda in cerchi sempre più stretti, sempre più basso. Come un avvoltoio che si avvicina cautamente alla preda. I suonatori di corno e di buccine e i vessilliferi segnalarono alle truppe di passare alla fase successiva.

Gli arcieri Pitti continuarono a scoccare, ritirandosi al contempo al di là del secondo vallo. Dalle mura ora tiravano pure le macchine guerra più piccole: onagri e scorpioni. La distanza era stata calcolata apposta, mica a caso. Chi lascia le cose al caso in guerra non dura molto. Ora gli unici con armi da getto ancora inoperosi erano gli arcieri e balestrieri Britanni sulle mura. Purtroppo, non avrebbero dovuto attendere a lungo.

I Pitti incendiarono la seconda trincea e si fecero indietro, presso la terza, senza mai smettere di tirare.

Mi sorpresi a mangiarmi le unghie. Non era piacevole vedere l’orda che un po’ alla volta si approssimava, sia pure lasciando un gran numero dei suoi membri sul terreno. Merda, sembravano non finire mai. Chissà come se la stava passando Occhiverdi, rinchiusa nella torre come una Principessa… almeno era insieme a un Principe che era di gran lunga troppo piccolo per darmi pensiero.

 

 

Brannus, generale dell’armata di Caledonia – o, per meglio dire, di quel che ne restava – continuò a indietreggiare senza mai dare le spalle al nemico.

Avrebbe voluto usarla contro quei poveri corpi martoriati tenuti in piedi da una volontà esterna malevola, quella spada sguainata che si portava dietro fin dal’inizio dello scontro. Invece il suo acciaio era ancora immacolato. Sarebbe venuto il suo momento, pensò. Mentre spingeva i suoi uomini a passare oltre la terza trincea afferrò una faretra piena di quadrelli che era stata lasciata lì e la lanciò a uno dei suoi balestrieri.

“Prendi!”

L’uomo la afferrò al volo e annuì. In precedenza, su consiglio dei Pretoriani Aurei, erano state lasciate vicino a tutte le trincee concentriche parecchie faretre sia per gli arcieri che per i balestrieri. Era stata una buona idea: quelle che molti avevano alla cintura infatti erano ormai vuote. Brannus si augurò che ci fosse un camminatore in meno per ognuno dei dardi che mancavano.

Passò oltre anche lui, per ultimo, infilandosi tra i pali acuminati e le cataste di legna intrisa di pece. Poi si assicurò che tutti i suoi si fossero spostati al di là, e si fossero allontanati abbastanza. Le prime squadre di morti stavano passando la seconda trincea in quel momento.

Iniziava a piovere ma per fortuna non veniva giù forte. La furia delle fiamme non ne sarebbe stata diminuita più di tanto. A meno che non aumentasse.

Brannus udì delle grida selvagge e si voltò a guardare. Erano i Sarmati. Erano ripartiti. Al galoppo, e stavano per spazzare via le avanguardie nemiche un’altra volta, prima in una direzione e poi nell’altra.

“Divertitevi, ragazzi.”

 

 

Quando i Sarmati ebbero finito di spazzare due volte lo spazio oltre la seconda trincea, i morti si fecero avanti riempiendo a poco a poco lo spazio al di là, sempre sotto una pioggia di massi, frecce e fuoco greco, Ora si udivano solo i fischi delle nostre armi da lancio. Stavamo tirando con tutto quello che avevamo, ma non riuscivamo a fermare quella marea montante che avanzava incurante di tutto senza fiatare. Qualunque esercito umano sarebbe stato già in rotta, urlante, ma quelli non facevano una piega. Dopo interminabili istanti il Legato parlò.

“Tocca a me. Prendi tu il comando delle mura, Lucrezio.”

“Sissignore.” risposi.

Il grande drago mosse le ali e si lanciò nel vuoto, ruggendo..

Istintivamente abbassai la testa, come tutti quelli che erano sugli spalti.

Musonio Rufo andò dritto verso la terza trincea, passando sopra le teste dei Pitti in ritirata.

Anche la Regina si mosse, lanciando la sua bestia lungo le mura. Si tenne a metà strada fra la terza trincea e la fortezza, in modo da poter aiutare il Legato se serviva, ma anche tornare velocemente alla base se il Re della Notte si fosse mosso a sua volta. Però il necromante, al contrario, si fece indietro. Temeva di affrontare uno scontro aereo uno contro due: se anche fosse riuscito a battere il Legato, cosa a cui facevo fatica a credere, nel frattempo la Regina ne avrebbe approfittato per cuocerlo a puntino.

Infido e astuto, come un fottuto necromante deve essere per sopravvivere… a noi.

Il nostro comandante fece un passaggio sopra la terza trincea e il suo drago lanciò una fiammata lunga e continua accendendola tutta. Dato che continuavano a cadere rade gocce di pioggia non aveva voluto lasciare nulla al caso. In quel modo non c’era dubbio che tutta la legna avrebbe preso, pece o non pece. E infatti, prima che i cadaveri arrivassero alla trincea essa era già tutta in fiamme, una muraglia invalicabile. Come ho detto prima, il non-morto brucia che è un piacere e, dato che non muore subito, se ne va anche un po’ in giro a casaccio appiccando le fiamme ai suoi compari.

Ma non solo: avevamo preparato anche un’altra sorpresa. Infatti il fuoco non si fermò alla trincea ma andò oltre, divampando tra i piedi dei camminatori fin quasi alla seconda trincea. Il terreno era stato cosparso ampiamente di paglia, tutta intrisa di olio nero. Credo che si potessero contare a migliaia, quelli che abbiamo abbrustolito in quel modo. Il puzzo di carne putrida bruciata raggiunse rapidamente le mura. Roba da dare allo stomaco. E in effetti più d’uno vomitò. Il che non va affatto bene, perché in battaglia non si dura molto a pancia vuota. La pioggia aumentò. Musonio Rufo faceva del suo meglio per mantenere tutto lo spazio in fiamme passando e ripassando soprattutto a ridosso della seconda trincea dove non avevamo sparso paglia, per non correre il rischio che le fiamme si propagassero da lì e noi ci giocassimo tutti i Pitti di Brannus.

Non andava oltre, però, perché in quel modo avrebbe sfidato a combattere il Re della Notte. E Musonio Rufo non aveva intenzione di ingaggiare una spettacolare ma incerta singolar tenzone fra cavalcatori di draghi, rinunciando all’aiuto della Regina. D’altra parte lei non poteva allontanarsi dalla fortezza senza esporci tutti a un rischio mortale: un solo passaggio del necromante su di noi e pochi fra i difensori che gremivano le mura sarebbero scampati.

In quel momento mi raggiunse Arctorius, il comandante di Caer Flammarum.

“La pioggia cresce d’intensità.” commentò, con un muso lungo che potete immaginare.

“Ho visto. Per ora il fuoco tiene.”

“Per ora.”

Chissà perché il Britanno mi ricordava il mio Centurione: anche lui vedeva sempre il lato più roseo delle cose!

Cambiai argomento.

“Sai niente della mia squadra?”

“Nascosti nel cortile o barricati nella torre col Principe. Come d’accordo. Al momento sono al sicuro.”

Fui tentato di rispondergli “Al momento.”, ma lo graziai. Sospettavo che prima o poi avrei dovuto lasciare a lui il comando delle mura e precipitarmi laggiù. Non avrei lasciato che l’Ispanico, Occhiverdi e gli altri affrontassero da soli il Re della Notte.

 

 

Alanus galoppava immerso nelle tenebre seguito dal rimbombo e dalla massa scura dei suoi cavalieri mercenari, gli occhi fissi sui roghi che divampavano davanti a lui. Non c’erano ululati e grida di battaglia, questa volta. Questa volta venivano in silenzio come assassini nella notte. Per quel che era possibile per cinquecento uomini a cavallo.

Gli era stato proibito anche in questa occasione di caricare in profondità penetrando nelle linee nemiche (se di linee si poteva parlare per quei cosi ciondolanti). Lui stesso, comunque, non l’avrebbe mai fatto. Solo un perfetto idiota avrebbe lanciato una cavalleria leggera come la sua contro una massa compatta di fanti, e per di più senza l’appoggio della fanteria e contro avversari che non potevano essere presi dal panico. Il panico che poteva colpire la fanteria avversaria era il più grande alleato dei cavalieri, quel timore gelido che ti paralizza le membra e poi ti costringe a voltarti e fuggire. Fuggi anche se sai benissimo che così non ingannerai la morte, ma essa ti coglierà invece alla schiena, inerme e senza alcuna possibilità di reagire. I cadaveri che Alanus doveva affrontare però non avevano paura di nulla, erano solo delle cose, animate dalla volontà di qualcun altro. Perciò attaccarli a fondo era fra le cose più stupide che un comandante di cavalleria potesse fare… quasi come caricare frontalmente degli elefanti! Eccoli. I suoi Sarmati stavano arrivando vicino alle ultime file dell’orda. Li avrebbero presi alle spalle. Alanus deviò a destra e i suoi scaricarono frecce e giavellotti sulle nuche dei morti. Travolsero quelli che erano rimasti indietro, isolati, falciandoli con le spade. Poi fecero un ampio giro e tornarono a scagliare dardi. Non molti nemici cadevano, molti continuavano a procedere con le aste dei dardi infitte nel corpo. Ma l’importante era che nessuno dei suoi cavalieri ci lasciasse la pelle, in quel modo, nessuno si univa alla lugubre schiera dei morti che camminano.

 

 

Musonio Rufo passò a volo radente sopra i morti, lanciò il suo grido di guerra e Phobos, il suo fido drago, vomitò magma incandescente sopra l’orda.

“Basta così.” si disse. Non poteva esaurire tutto il soffio e lasciar Phobos spompato. Al contrario, doveva fare in modo che il drago riposasse. Aveva già dato tanto, e doveva essere pronto allo scontro con il Re della Notte e il suo Lugus.

Poi era sempre più difficile mantenere in fiamme tutto il campo, con la pioggia che si era fatta battente, e l’esercito dei camminatori pareva non avere mai fine. Si chiese quanti sudditi restassero ancora in vita per servire un giorno Morrigana e suo figlio. Sempre che fossero riusciti a passare la nottata, chiaro. La Regina di Caledonia si era già posata sulle mura, in attesa.

Il Legato sentiva i radi capelli bianchi intrisi di sudore, che gli colava anche sulle tempie e negli occhi. Il calore era intenso, difficile da sopportare anche per uno che ci era abituato come lui, e con gli abiti e l’armatura appositi che indossava.

“Siamo stanchi tutti e due, è ora di andare.”

Tirò le redini suonando il corno, e Phobos ubbidì: si girò verso la fortezza battendo le ali possenti. In quel momento il Re della Notte attaccò. L’ombra di Lugus si allungò sopra il Legato, che reagì immediatamente. Si gettò in basso a destra. Un getto di fuoco passò poco sopra la schiena di Phobos. Musonio Rufo sentì i crini del pennacchio dell’elmo che si contorcevano. Fece avvitare il suo drago, dirigendolo indietro e in alto. Per un attimo pensò di essere riuscito ad andargli in coda, e si preparò a ordinare il soffio. Ma il Re della Notte virò e fu di nuovo in vantaggio. Volteggiarono con alte strida uno attorno all’altro, ormai vicinissimi. L’Inquisitore non riusciva a trovare una finestra di opportunità per colpire. Al contrario, era costretto sulla difensiva: a mala pena riusciva a evitare di finire in fiamme, lui e il suo Phobos. In quel momento Morrigana spiccò il volo dalle mura, gettandosi nella lizza.

 

 

La pioggia cadeva fitta sulle mummie in fiamme. I cadaveri avanzavano senza posa, incuranti di ogni cosa. Quelli che arrivavano adesso dalle retrovie erano già zuppi e facevano più fatica ad accendersi, il loro numero soffocava il fuoco a poco a poco sotto i calzari consunti e madidi. Pregai Giove che smettesse di inondarci, ma le gocce gelide scivolavano lungo l’elmo e mi colavano dentro la veste fin sulla schiena. Gli Dei, di solito, non si curano di noi e non ci ascoltano. Sono fatti così, bisogna farci l’abitudine e rimboccarsi le maniche. Poi, qualche volta, un aiuto giunge quando meno te lo aspetti.

Ma non quella notte.

Quella notte sembravano stare dalla parte del necromante.

Diedi ordine di aprire le porte e far rientrare i Pitti nella fortezza. Dopo qualche istante i primi morti riuscirono a passare. Gli arcieri li abbatterono, ma altri seguivano. I guerrieri della Caledonia armati di spada e scudo si disposero a difesa degli arcieri, mentre si ritiravano in tutta fretta. Dalle mura noi coprivamo la ritirata scagliando addosso all’orda tutto quel che avevamo. Dopo gli arcieri rientrarono anche gli altri soldati. Pochi di loro furono costretti a usare le armi. Le porte furono chiuse solo dopo che anche gli ultimi Pitti furono in salvo. Un piccolo drappello di non-morti riuscì a introdursi all’interno di Caer Flammarum, ma ai lati dell’ingresso c’erano due file compatte di Pretoriani Aurei, che li spacciarono in fretta a fendenti.

Adesso quei cosi avrebbero assalito le mura. Non avevano scale, torri o altre macchine da assedio. Ma di certo il loro Oscuro Signore aveva qualcosa in mente, non li aveva portati fino ai confini della Britannia per farli distruggere in modo insensato senza che avessero modo di conquistare la piazzaforte. Ma quale modo? Quasi avrei preferito che fossero dotati di tutti i mezzi usuali per un assalto, piuttosto che restare in quell’incertezza. Ad ogni modo fra poco avremmo saputo le loro intenzioni.

Sciamarono verso di noi, si muovevano fitti laggiù in basso. Appena arrivarono sotto le mura, ai quadrelli e alle frecce si unirono le pietre lanciate dall’altro. Le teste si schiantavano che era un piacere, i corpi crollavano al suolo e venivano calpestati dagli altri.

“Fuoco?’” mi chiese Arctorius.

Annuii.

“Fuoco!” ordinò.

I soldati che guarnivano i camminamenti lanciarono giù l’olio nero che sorge spontaneo in Oriente e mille anforette di pece, seguite da torce in abbondanza. Ancora una volta i morti divamparono. Si agitavano sotto i nostri occhi, contagiando di rossa distruzione i loro orridi simili. Per lunghissimi istanti nessuno di loro riuscì a rimanere in piedi a lungo vicino alle mura: appena si facevano sotto cadevano.

“Non violeranno mai la mia fortezza venendo a morire qui sotto. È un attacco insensato.” mi gridò nelle orecchie il comandante Britanno, sovrastando il rumore della battaglia.

Venivano avanti e cadevano. E venivano avanti. Senza tregua, senza paura, senza fine. Ma ecco che si accalcavano, si accumulavano. Alcuni poggiavano le mani alle pietre del muro e restavano in posizione, altri si arrampicavano si di loro e si mettevano nella stessa posizione, e altri ancora salivano su questi. Venivano su allargando la base sempre di più, ammassandosi e spingendo, come le piramidi umane degli acrobati

“Dannazione.” mugugnai.

Li mostrai ad Arctorius, che spalancò gli occhi e restò incerto, paralizzato.

“Colpite là! Buttatemeli giù!” ordinai “Pietre, voglio una pioggia di pietre!”

La piramide crollò su se stessa, poi lentamente prese a riprendere forma e vigore con l’affluire di altri putridi combattenti. Anche altrove avveniva lo stesso, lungo tutta la linea di difesa.

Raddoppiammo gli sforzi, anch’io presi a bombardare il nemico con le mie mani, e lo stesso Arctorius si unì alla carneficina.

Morrigana spronò il suo drago e prese il volo. Ottima idea: quel che ci voleva in quel momento era un bel passaggio di Ogmé sotto le mura, soffiando a più non posso. Qualche scarica prolungata e potente avrebbe spazzato via tutto quel lerciume. Ora l’ondata di morti ribolliva, come le onde schiumose di un mare lurido quando si accumulano contro una barriera. Ma la Regina avrebbe posto fine all’assalto con il suo intervento, e almeno per qualche istante avremmo potuto respirare, prima che ne arrivassero altri.

Invece Morrigana non deviò il suo volo, ma si allontanò decisa da Caer Flammarum.

“Dove va quella cretina?” gridò Arctorius “Non ci si può fidare dei Pitti!”

Ma io temevo di sapere cosa stava succedendo.

 

 

“I rumori si avvicinano” disse Achillea.

Dalla finestrella della torre si vedeva solo l’oscurità che avvolgeva il cortile, dove i nostri compagni stavano nascosti in agguato. Ma il cielo era tinto di bagliori sinistri.

Occhiverdi le sorrise e le poggiò una mano sulla spalla.

“Sei pronta?”

“A morire? Sempre, da anni. Siamo nei Pretoriani Neri, sorella.”

“E prima eravamo gladiatrici: la morte è sempre stata parte del gioco. Ma no: ti chiedevo se sei pronta a combattere. Oggi forse moriremo e forse no, ma di certo combattiamo. Io, per quel che conta, punto tutto su di noi.”

Lo disse per se stessa e per la sua amica, ma soprattutto per il piccolo Principe dei Pitti che occhieggiava spaurito da sotto il cappuccio della cappa. Stava sulla soglia del suo rifugio, pronto a rintanarsi sul pianerottolo senza finestre ma attento a cogliere tutto quello che le due provocatrici si dicevano.

“Io scendo.” annunciò Achillea “Vado dai ragazzi e cerco di capire come stanno le cose. I morti sono sotto le mura adesso, per quel che riesco a capire. Ma mi chiedo dove si troverà l’usurpatore. Non al suo posto, temo. Intendo un bel palo piantato su una pira. Poi vengo a riferirti.”

Maevis esitò, poi si decise a chiedere:

“Vedi anche se riesci a sapere qualcosa di Lucrezio.”

 

 

Phobos ruggì di rabbia e frustrazione. Il drago del Legato era un po’ più grosso e potente di quello del necromante, ma non riusciva a superare la situazione di svantaggio in cui si era venuto a trovare all’inizio dello scontro. Il Re della Notte dava loro la caccia e non aveva tempo e modo di riprendere l’iniziativa. Per quanto l’uomo e il drago cornuto si divincolassero in volo e manovrassero, erano sempre sotto scacco, a malapena riuscivano a sfuggire al soffio del nemico che li incalzava. Fu allora che una furia blu come la notte irruppe sullo scontro, accompagnata dal grido di guerra di un’amazzone Pitta. Il Re della Notte deviò il suo volo e schivò una fiammata rombante. Musonio Rufo ne approfittò per disimpegnarsi, salì in verticale allontanandosi, fece voltare Phobos su se stesso e tornò alla carica. Ora non aveva più il nemico alle spalle, ora poteva affrontarlo di fronte, muso contro muso. Nel frattempo la Regina faceva fronte al cognato, con tutta la furia di una vedova Pitta vendicatrice. I due grandi serpenti alati ascendevano quasi intrecciati, graffiandosi e tentando di trovare il modo di mordere o soffiare. Il Legato volteggiava col suo drago attorno ai due contendenti, cercando un modo per intervenire. Col soffio no di certo: li avrebbe bruciati entrambi, e friggere Morrigana era fuori questione. D’altro canto i due erano così vicini nella loro lotta che avvicinandosi temeva di urtarla.

Alla fine Lugus e Ogmé si sganciarono, appena un po’. Musonio Rufo vide una possibilità di attaccare Lugus sul fianco e si lanciò nella mischia. Ma l’usurpatore lo schivò e Phobos si trovò proiettato oltre. L’Inquisitore tirò le redini. Il drago obbedì docile, curvando più stretto che poteva. Tornò indietro. Ma il funereo Lugus fu più veloce e riuscì a trovare con le fauci l’ala sinistra del drago di Morrigana. Si udì il rumore delle ossa mastodontiche che si spezzavano sotto zanne crudeli. Poi Phobos investì in pieno il Re della Notte. Lugus iniziò a cadere, ma si riprese e fuggì. Musonio Rufo gli fu alle calcagna. Le parti si erano invertite.

Morrigana manovrò disperatamente, ma il suo drago stava precipitando avvitandosi su se stesso. Riuscì a fargli distendere l’ala ancora integra, ma non era sufficiente a raddrizzarsi né a rallentare a sufficienza la caduta. Stavano per schiantarsi al suolo, correvano verso la morte.

Poi qualcosa sostenne la donna e la bestia. Phobos stringeva il corpo di Ogmé con gli artigli, con tutta la scarsa delicatezza di cui era capace, e frenava la discesa battendo le ali. Un po’ caddero e un po’ planarono, fino a impattare al suolo. Il Legato urtò qualcosa con la testa e perse i sensi per un istante. Riaprì gli occhi quasi subito, come riemergendo da acque gelide e scure. Il Re della Notte era scomparso, Morrigana giaceva al suolo ai piedi del suo Ogmé, probabilmente ancora viva. Ma da ogni lato i morti si avvicinavano, circondandoli.

 

 

Noi, sulle mura, eravamo nelle peste. I morti si avvicinavano sempre più alla merlatura arrampicandosi gli uni sugli altri. Ormai riuscivamo a guardare in quei buchi neri che avevano al posto degli occhi, prima di schiantargli il cranio con un masso o di scaricare loro addosso una balestra. Ma avevano formato una tale massa brulicante che anche quelli esanimi non cadevano più sul fondo ma andavano a formare parte di quella specie di oscena costruzione, e aiutavano quelli che ancora si muovevano a venire ancora più su.

Tutti si davano da fare. Arcieri e balestrieri tiravano con le loro armi e gli altri soldati, mischiati a loro per poterli proteggere al momento opportuno, gettavano giù qualsiasi cosa si trovassero fra le mani, pietra o fiamma che fosse.

Mi feci prestare una lancia da un Britanno e riuscii a piantarla nell’occhio di un non-morto. Dannazione, erano quasi arrivati.

Mi girai verso Arctorius e gridai per richiamare la sua attenzione. Gli misi davanti al naso la punta lorda di sangue marcio e cervella.

“Ci siamo, Arctorius! E’ il momento! Sennò fra un istante ce li troviamo sui camminamenti.”

Il comandante diede il segnale, i vessilli si agitarono e le buccine suonarono. I soldati sparsero pece e olio sui merli, soprattutto negli spazi fra un merlo e l’altro, accostarono le torce al materiale infiammabile e iniziarono a ritirarsi scendendo di corsa le scale. Gli arcieri per primi, ovviamente. La barriera infuocata avrebbe trattenuto l’orda per un po’, il tempo necessario per fuggire dalle mura. Era inutile ingaggiare una mischia per difenderle: avrebbe significato solo perdite per noi e nuove reclute per il nemico. Mandai via Arctorius. Lui era più utile di me, conosceva meglio ogni anfratto della fortezza e aveva chiaro come difendere ogni strada. Io dal canto mio avevo intenzione di restare sulle mura fino all’ultimo per assicurarmi che tutti fossero in salvo, prima di scappare. Mi feci indietro, respinto dal calore, imbracciai lo scudo e impugnai la spada. I camminamenti si svuotavano in fretta, fra gli incitamenti dei centurioni.

Un teschio fiammeggiante mi apparve davanti, nello spazio fra un merlo e l’altro. Il primo a scalare le mura. Se fosse stato ancora un essere umano avrebbe avuto in premio una delle onorificenze più ambite: una corona muraria. Invece la sua ricompensa fu poter tornare tra le nebbie dell’Ade, che non avrebbe dovuto mai lasciare. Ci pensò la mia spada, spaccandogli la fronte. Dopo di lui ne veniva un altro. Lo urtai con lo scudo e lo buttai giù.

Ormai la folla di soldati finiva di defluire, restavano solo alcuni decani a coprire la ritirata eliminando i primi assalitori.

“Via, via! Andiamo!” gridai, e presi ad arretrare. Qualcuno aveva lasciato un giavellotto poggiato a terra. Lo afferrai e lo scagliai contro il mio avversario successivo, inchiodandolo a quello che veniva dietro di lui. Poi scesi le scale di corsa.

I nostri si erano già tutti rinchiusi all’interno degli edifici nei posti assegnati, seguendo il piano prestabilito. Pesanti porte sbarrate e finestre con scuroni e inferriate ai piani bassi, senza eccezioni. Era una fortezza, no? Era stata costruita pensando che un giorno il nemico avrebbe potuto introdursi entro le mura. Di solito in quel momento in cui gli assalitori subivano ancora più perdite. E difatti le finestre dei pian alti erano tutte aperte, gremite di soldati e di arcieri. Da lì i nostri già da subito avevano preso di mira i cadaveri che si arrampicavano e sciamavano sui camminamenti.

Mi lanciai verso un edificio. Era quello che dava accesso al cortiletto dove si trovava la torre con il Principe e la mia squadra. Era l’unico posto dove si vedesse della gente in strada: una schiera compatta di Pretoriani Aurei che sbarrava del tutto la via.

Raggiunsi il Tribuno al comando di corsa, ansimando.

“Svetonio, ci siamo, tocca a voi.”

“Ho visto. Di qui non devono passare, non devono arrivare al Principe. Pretoriani! Plus…”

Il grido di quattrocento gole gli rispose.

“Ultra!”

Mi disposi accanto al mio collega, lui risplendente d’oro e io nero come la notte. I Pretoriani Aurei difendono i confini dai barbari e mantengono la pace fra i numerosi Regni soggetti – almeno di nome – all’Imperatore. Noi invece eliminiamo con la maggiore celerità e discrezione possibile le minacce che vengono da ogni sorta di Figli delle Tenebre: vampiri, necromanti, maghi e altre schifezze. La mano destra e la mano sinistra dell’Impero per una volta stavano in campo fianco a fianco.

L’orda intanto non riusciva a scendere dalle mura dal lato interno: i nostri concentravano tutto il tiro sul ridotto spazio delle scalette e facevano strage. I non-morti, ormai morti del tutto, si accumulavano sui gradini uno sull’altro. Poi alcuni si gettarono nel vuoto, schiantandosi sulle dure pietre del selciato. Una tattica suicida… ma già: cos’avevano da perdere? Si formò uno strato di cadaveri spiaccicati. Poi altri vi si gettarono sopra… e si rialzarono. Ora atterravano sul morbido. Per la barba di Giove, così non vale però!

Cominciarono a sparpagliarsi per le vie, cercando un accesso agli edifici. Ma non era facile trovarne. E iniziarono a piovere loro in testa dall’alto le prime pietre e le prime tegole. Le tegole non sono da sottovalutare: hanno ammazzato dei Re, durante gli assedi.

Alcuni vennero dalla nostra parte. Uno di loro vide della gente in strada e lanciò un urlo disumano, attirando i suoi compari. Ma prima di arrivare a noi dovevano percorrere una strada stretta passando sotto a un gran numero di finestre gremite di tiratori. Ad ogni modo si radunarono e riempirono la via, fitti fitti, senza badare a quelli che restavano sul terreno. Nel frattempo la pioggia aveva preso a cadere più rada, con gocce più sottili. Ringraziai Giove per l’aiuto che ci concedeva. Quel che ci voleva era meno acqua in giro.

Quando i morti furono nel punto stabilito un Pretoriano diede fuoco alla strada, cosparsa di olio nero. Ancora fiamme, ancora e ancora! Bruciate, larve!

 

 

Occhiverdi si sporse e vide divampare la via di accesso al cortile, al di là dell’edificio che chiudeva quel lato. Il Principe stava sulla soglia e la fissava inquieto. La gladiatrice si allontanò dalla finestra e prese la sua mano fra le proprie.

“Sono vicini, ma non ti preoccupare. C’è il fior fiore della milizia Romana tra noi e loro: i Pretoriani Aurei. Tua madre e il Legato si occuperanno di tuo zio, e tutto finirà bene. Qui siamo ancora al sicuro.”

Il bambino scosse la testa, il corpo in preda ai brividi.

 

 

I morti si avvicinavano da ogni lato. Morrigana spinse il suo Ogmé a soffiare loro addosso la sua furia impotente, e ne bruciò a decine. Ma era a centinaia che si facevano sotto. Il drago della Regina soffriva e ansimava, non riusciva a muoversi se non trascinandosi lento, pesantemente. Musonio Rufo fece muovere Phobos intorno. Il lugubre drago del Legato soffiò e spazzò via quegli abomini a colpi di coda, ma non poteva essere dovunque. Anche Phobos era stanco, e avrebbe faticato a volare via, ma poteva farcela.

“Morrigana! Andiamo! Non puoi salvarlo, andiamo via!”

La Regina rivolse all’Inquisitore uno sguardo smarrito, poi la sua espressione si fece di nuovo decisa.

“Non lascio Ogmé a morire. Vai tu. Salvati, e vai a proteggere mio figlio. Io li terrò a bada.”

Musonio Rufo esitò. Prese tempo dedicandosi a schiacciare un assembramento di nemici. Phobos li schiantava con gli artigli, li mordeva spezzandogli le ossa e poi li sputava. Pessimo sapore, probabilmente. L’Inquisitore poteva salvare il figlio oppure la madre, non tutti e due. Fece la sua scelta.

“Non ti preoccupare per il Principe, ci sono Lucrezio e la sua squadra a pensare a lui, i migliori. Io non ti abbandono.”

 

 

Eh, certo, c’è Lucrezio, lui se la cava sempre, come no?

Corpi accesi si precipitarono addosso a noi. Erano agli ultimi spasimi quando arrivavano fino a noi, e li finivamo facilmente. I Pretoriani si facevano avanti a riceverlo facendo impeto e li urtavano coi bordi dei lunghi scuta, li finivano con le spade uno dopo l’altro. Se qualcuno si trovava in difficoltà subito era soccorso dai commilitoni ai suoi fianchi e dietro di lui. Io stavo a un estremo della formazione perché disponevo solo della mia parma, uno scudo rotondo di medie dimensioni, quindi avrei costituito un buco nello schieramento. Invece lì mi muovevo con maggiore velocità e agilità, ed ero utile a coprire i fianchi. Dalle finestre, i tiratori continuavano a fare il loro dovere.

Ficcai la spada nel cervello di un non-morto, la liberai sferrandogli un calcio che lo spinse indietro e tagliai la testa a quello successivo. Dietro di lui veniva un camminatore con l’elmo: doveva essere uno dei soldati caduti nella battaglia fra la Regina e l’usurpatore. Lo presi con una stoccata di sotto in su, che passò salendo da sotto la mandibola fino a sfondargli la sommità del cranio. La spada si fermò contro l’interno dell’elmo. La estrassi e mi preparai ad accogliere il successivo. Non sarebbero passati facilmente.

Fu allora che l’ombra titanica ci passò sopra, oscurando il cielo. Sorvolò l’edificio fortificato alle nostre spalle e atterrò nel cortile.

“Merda, è lui!” gridai “Svetonio, io vado.”

“Vai, vai pure, qui ci pensiamo noi.”

Mi sganciai lasciando i camminatori alle cure dei Pretoriani Aurei e mi precipitai verso la porta, che un soldato mi aveva già aperto. Attraversai stanze e corridoi senza nemmeno vederli e sbucai dalla parte opposta. Il possente Lugus si posava sul cortile in quel momento preciso, e in sella c’era il Re della Notte.

 

 

La provocatrix rimase abbagliata dal fulmine e arretrò. Subito dopo un tuono assordante riempì l’aria, già percossa dal battito delle ali del drago che atterrava.

“Cosa succede, Maevis?” chiese il Principe, ansioso.

“E’ arrivato tuo zio. È qui col suo drago.”

“E noi cosa facciamo?”

“Combattiamo, bello, combattiamo.”

“Contro un drago?”

“Anche contro la Dea Ecate in persona.”

Su quelle parole la mia bella Occhiverdi estrasse la spada e imbracciò lo scudo.

 

 

Appena le zampe di Lugus toccarono il suolo… il suolo sparì. Il drago non era pronto. Raggiunta un’altezza prossima al terreno aveva smesso di battere le ali e le aveva ripiegate. Andò giù fino a raggiungere il terreno solido quattro cubiti più sotto, e lanciò un grido che mi fece abbassare la testa. I pali acuminati che avevamo piantato sul fondo grazie alla spinta del suo stesso corpo immane gli si erano conficcati nella parte meno protetta: il ventre. Là le scaglie erano più piccole e meno dure, là era dove bisognava colpirlo. Buona parte della superficie del cortile era stata trasformata in una grande trappola da orsi su scala molto più grande. E aveva funzionato. Da ogni angolo apparvero i membri della nostra squadra, armati di balestre pesanti. C’erano Suenus, il mio buon gigante nordico, Alara il Nubiano, grande pugile e guerriero, l’amazzone Achillea e il Centurione. Quadrelli grossi come giavellotti trafissero la bestia alla gola, alla schiena e al petto, da tutti i lati. Quanto a Siro, l’arciere apparve a una finestra manovrando una balestra da mura, la cui falarica centrò il drago presso al cuore. Lugus si scosse in preda al furore, preso da spasimi, e la figura alta e pallida del necromante fu costretta ad aggrapparsi alle sella e alle redini per non cadere. Parecchie altre masse scure, invece, caddero qua e là dalla schiena dell’animale. Anche il Re della Notte aveva una sorpresa per noi: un nutrito contingente di non-morti che doveva aver raccattato da qualche parte prima di piombare nel cortile. Ora c’erano cadaveri armati sparsi ovunque, e quelli che non erano rimasti trafitti dai pali si stavano rialzando.

L’usurpatore balzò a terra brandendo una lancia e una spada.

I miei Pretoriani Neri – tutti appartenenti all’elite dei Consacrati – sguainarono le armi. Si aprì una porticina e apparve anche Maevis, armata e con lo sguardo truce che ha quando deve uccidere. Qualcuno da dentro sbarrò la porta dietro di lei. Il Principe. Non era una buona idea lasciarlo solo, ma la gladiatrice non intendeva rinunciare alla mischia. C’era un motivo per cui le avevo affidato il Principe, riservandole l’ultima difesa, ma come al solito lei boicottava ogni mio tentativo di tenerla relativamente al sicuro.

Però era un’altra la cosa che mi preoccupava di più.

Lugus stava morendo, ma… non ancora. Al contrario, si preparava al suo ultimo soffio.

“Al riparo!” gridai.

Contraddicendo il mio stesso ordine corsi verso l’animale, che stava gonfiando il petto pronto a sputare fiamme. Lo raggiunsi appena in tempo, afferrai la spada a due mani e passai oltre tagliandogli la gola. Mi gettai a terra e rotolai lontano, mentre una specie di lava incandescente colava dalla ferita. Dalle fauci uscì poca roba, un getto corto e sottile che si perse in aria.

Il grande drago crollò esanime, la testa enorme fece crollare un’altra parte della trappola e pali appuntiti gli entrarono nel collo e sotto la mandibola. Dalla fossa uscirono lezzo e calore, e fumo quando il legno iniziò ad ardere.

Mi rialzai, e dovetti difendermi dall’assalto del Re della Notte in persona. Suenus, Siro, Achillea e l’Ispanico tenevano a bada un numero esorbitante di morti, invece Alara e Maevis tentavano di farsi strada combattendo verso di me.

Schivai un colpo di lancia, ne parai un secondo con lo scudo e al contempo tentai di tranciargli la mano con la spada. Lui fermò il mio colpo con la spada e tentò di rispondere. Mi feci indietro. Il necromante era un Pitta alto e pallido, con una corta barbetta castana e lo sguardo allucinato dei mangiatori di loto.

Era chiaro che voleva sbarazzarsi in fretta di me per raggiungere suo nipote. La battaglia non era andata come si era augurato: aveva creduto di avere a che fare solo con la Regina, i rimasugli delle schiere dei Pitti e la guarnigione Britanna di stanza. Invece aveva trovato sulla sua strada i Pretoriani: la crema dei guerrieri della sacra Italia da una parte, e dall’altra noi, l’Inquisizione. Un pugno di pazzi votati alla morte pur di cancellare dalla faccia della terra quelli come lui. E un drago più grosso del suo. A proposito, e Musonio Rufo?

 

 

Il Legato staccò la testa a un non-morto che si era arrampicato su Phobos. L’Inquisitore continuava a spingere il drago a impazzare con artigliate, colpi di coda e soffi ardenti su tutto il terreno attorno alla Regina. Ogmé, con l’ala a pezzi, faceva quel che poteva ma era molto limitato nei movimenti. I non-morti avevano preso ad arrampicarsi sui rettili alati come formiche su grandi insetti feriti, costringendo sia Musonio Rufo che Morrigana a estrarre le armi e difendersi a suon di fendenti. Il Pretoriano si era preoccupato per lei e aveva costretto il povero Phobos a masticare un po’ di cadaveri che le si stavano avvicinando. Ma poi aveva visto che la Pitta maneggiava la spada come una furia, facendo a pezzi i malcapitati camminatori – che in quel frangente si sarebbe dovuto chiamare piuttosto scalatori.

Adesso però le cose si mettevano male.

Musonio Rufo percepiva la stanchezza di Phobos nei suoi movimenti sempre più lenti e scoordinati. Bastava che il drago si fermasse un attimo e sarebbero stati tutti perduti, sommersi dai morti. Attorno a loro c’era solo una frazione dell’orda, ma era più che sufficiente per non lasciare alcuno scampo a uomini e draghi. Il Legato spacciò un altro assalitore e prese fiato, girando la testa in cerca di una via di scampo per sé e per la Regina. Un ululato squassò l’aria. Mille gole Sarmate ne erano la fonte. I cavalieri girarono sul fianco scaricando tutto quello che era rimasto nelle loro faretre, poi passarono alle spade e colpirono, senza smettere di galoppare attorno allo sciame di cadaveri.

 

 

Il nuovo assalto del Re della Notte mi investì, furioso. Spostai lo scudo a destra per parare il colpo di lancia e andai in affondo con la gamba sinistra, passando la spada sopra la testa in un rapido mulinello che doveva colpirlo di roverso alla testa. Lui portò la spada in parata e fermò il mio colpo. Bravo. Ma non era il momento per fargli i complimenti né andarci di fino. Non quando avevo l’occasione di ammazzarlo e finirla lì prima che ci fossero altre vittime.

Spinsi lo scudo contro di lui con violenza, bloccandogli il braccio destro e facendogli perdere la lancia. Poi riportai indietro la spada e, sempre continuando a spingere, riuscii a trovare un buco e lo trafissi al ventre. La mia lama gli entrò profondamente nelle viscere.

Muori, cane.

E invece… non morì affatto. Dal suo ventre non uscì nemmeno una goccia di sangue. Dovevo avere un’espressione divertente, dal suo punto di vista, perché si mise a ridere, afferrò il mio scudo e mi lanciò via come un pupazzo. Mentre atterravo sul fianco mi stavo già chiedendo che in che razza di essere si potesse essere trasformato, in che modo avrei potuto ucciderlo. Nemmeno l’argento, presente nella lega della mia lama misto all’acciaio, pareva averlo danneggiato in alcun modo. In quel momento il Nubiano Alara si liberò dell’ultimo cadavere sulla sua strada e balzò alle spalle del necromante. Lo trafisse alla schiena senza tante storie. Vidi uscire la punta della spada del mio amico dal petto del Re della Notte.

“Attento!” gridai “Non è umano…”

Quella cosa si girò, strappando via la spada dalle mani del Pretoriano, e lo afferrò per la gola. Alara in un lampo estrasse la daga e gliela ficcò nel ventre, più volte. L’usurpatore non fece una piega, e strinse. Ma l’africano non era una preda facile: capita l’antifona smise di colpire e passò il gomito destro a sinistra e poi sopra a quello che lo soffocava, avvolgendolo. Poi spinse in basso all’esterno, liberandosi dalla morsa. Al tempo stesso con la sinistra gli sferrò un pugno a martello dei suoi, proprio alla base del collo. Un colpo che avrebbe ammazzato un toro. Non sarebbe stata la prima volta che Alara uccideva qualcuno con un pugno. Quello però si mosse appena. Il Nubiano cadde per terra aspirando avidamente aria coi polmoni. Aveva solo un istante prima che il Re della Notte lo afferrasse di nuovo: indietreggiò scalciando. Ma non era solo: io avevo approfittato della tregua per rialzarmi. La caviglia mi faceva male ma ignorai il dolore e mi lanciai contro quel dannato Figlio delle Tenebre. Lui intuì la minaccia, passò la spada nella destra e si girò tirando un roverso. Mi abbassai, schivandolo, frapposi lo scudo tra la sua lama e il mio corpo e tirai una stoccata con tutta la mia forza. Il cuore, forse il cuore… sono certo che gli ruppi il cuore nel petto: lo sentii cedere alla pressione della punta. Ma la risposta non era il cuore. Maledizione, perfino i fottuti vampiri muoiono se gli spacchi il cuore, che diamine era quell’essere? La sua spada risonò cupamente sul mio scudo. Portò avanti il piede per spazzare il mio e farmi cadere, ma lo schivai alzando la gamba. Risposi spaccandogli il labbro con il bordo dello scudo e tirai un mandritto al collo. Se ti taglio la testa cosa fai, vai avanti lo stesso? Ma no, riuscì a parare. Ed eravamo maledettamente vicini. Alara gli saltò sulla schiena e prese a pugnalarlo ovunque, anche in un occhio, ma lui si piegò e lo proiettò su di me. Che botta! Alara non è leggero: dopo Suenus il Geata è il più grosso fra noi. Rotolammo via e ci rialzammo puntandogli le armi contro per tenerlo lontano. Per quel che contavano le lame con quella cosa, forse avremmo potuto anche risparmiarcelo, ma l’addestramento ti scolpisce in un modo e poi così rimani.

In quella arrivò anche Maevis. Lo attaccò di lato, ricevette il suo colpo sullo scudo, si abbassò e gli tagliò i legamenti dietro il ginocchio, con un grido di furia e trionfo.

Il Re della Notte si piegò sulla gamba ferita. Puoi anche essere immortale, ma se i tendini non tirano più le ossa non c’è niente da fare. Brava, Occhiverdi, ottima idea. La continuazione del suo assalto non fu altrettanto fortunata: Maevis gli piantò la spada nella gola, e lui riuscì ad afferrarla al petto. La alzò come se avesse il peso di una bambolina di pezza e portò in basso la spada per trafiggerla. La mia bella non era come lui: una sola stoccata e sarei rimasto senza di lei. Scattai, ma Alara fu più veloce: afferrò la spada a due mani e tagliò il braccio del necromante sotto il gomito. Di netto. Maevis cadde, Poi io investii il nemico come un toro, urtandolo con lo scudo. Cademmo a terra, gli bloccai il braccio destro schiacciandolo con un ginocchio e lo trafissi non so quante volte. Parecchie. Alla fine mi lanciò via. Maevis e Alara si misero in mezzo, coprendomi mentre mi alzavo. Riprendemmo fiato.

Tutti gli altri erano ancora impegnati a proteggerci dai non-morti. Vedevo il gigantesco e biondobarbuto Suenus che lottava come un leone abbattendo cadaveri, l’Ispanico non era da meno e Siro guardava le spalle a entrambi eliminando più nemici di tutti con frecce rapide e precise. Dall’altro lato Achillea di Temiskyra se la cavava benissimo anche da sola.

Fronteggiammo il Figlio delle Tenebre in tre, fianco a fianco.

“E come lo ammazziamo, questo qui?” chiesi.

Alara alzò le spalle.

“Sembra che non ci sia modo.”

Il mostro guardò verso la torre. Suo nipote. Ma certo, ci eravamo quasi dimenticati il motivo per cui era lì: voleva arrivare fino al legittimo erede per farlo fuori. Ci spostammo, mettendoci in mezzo.

“Di qui non si va. Ci siamo noi, e dovresti passarci sopra.”

Allora per la prima volta il Re della Notte parlò, con voce cavernosa:

“Uccidervi e aggiungervi al mio esercito sarà un vero piacere, Pretoriani.”

“Tagliamogli la testa.” propose Maevis “La mettiamo in un sacco, almeno così se non muore non ci vedrà più. Spero.”

“E poi tutto il resto, tagliamo tutto.” aggiunse Alara “Un mucchietto di membra sparse non dovrebbe poter nuocere più di tanto.”

Quello fece un ghigno e avanzò, brandendo la spada.

“Via! Fate largo!”

Era la voce di Musonio Rufo. Il Legato stava in sella a Phobos, a mezz’aria alle nostre spalle. E il drago aveva il petto gonfio, una luce di maligna rivalsa negli occhi smisurati. Ci buttammo indietro, lunghi distesi a terra. Il soffio infuocato investì il Re della Notte in pieno, a lungo. Credo di non aver mai visto un soffio di drago così prolungato. Rimanemmo faccia a terra per un pezzo, il calore che ci abbrustoliva la schiena.

Poi fu finita. Se non era morto così non avrei saputo davvero cosa farci… se non seguire l’idea di Alara: tagliarlo a pezzettini da tenere separati in posti diversi.

Non ce ne fu bisogno.

Davanti a noi c’era solo un mucchietto di qualcosa di indistinto, quasi una specie di melma. I non-morti cadevano inanimati a terra uno dopo l’altro. Non potei evitare di notare lo sguardo di Suenus il Geata, un bambino deluso, quando il cranio che stava per spaccare si staccò da solo davanti ai suoi occhi e gli rotolò fra i piedi.

Le ultime gocce di pioggia caddero, lievi, poi fu la pace.

 

 

EPILOGVS

Le cinque dita sanguinanti stampate sul collo di Alarus non erano un problema, aveva detto il medicus Britanno di stanza a Caer Flammarum: gli aveva dato una crema da apporvi sopra. La mia caviglia… non valeva nemmeno la pena guardarla. Una semplice storta. Il dottore aveva cauterizzato in fretta qualche graffio sulla pelle di ognuno di noi, senza nemmeno prima darci qualcosa di stordente da bere. Pareva seccato di dover perdere tempo con noi: nel cortile di Caer Flammarum lo attendevano molti altri feriti, parecchi dei quali gravi. Ma il Legato aveva dato ordine di dare a noi la precedenza quasi assoluta: solo il drago della Regina era stato curato prima. Il possente animale aveva un’ala ingessata. Frattura multipla scomposta. Sarebbe guarito, col tempo. Phobos stava bene, invece, ma era esausto e stava dormendo. Di solito Musonio Rufo non faceva così, non ci faceva passare davanti agli altri militi in quel modo. Preferivo non immaginare nemmeno quale fosse la ragione di questo trattamento di favore.

Uscendo alla luce del mattino, in cortile, incontrammo la Regina, suo figlio e Musonio Rufo.

Morrigana ci sorrise e ci volle stringere la mano uno a uno, chiedendo i nostri nomi e rivolgendo parole gentili a tutti. Mostrò di conoscere esattamente cosa avevamo fatto durante lo scontro con quel che suo cognato era diventato, qualunque cosa fosse. Sorrideva, a noi e al Legato. Sbirciai Musonio Rufo con un’ombra di sospetto. La Regina era sì vedova da poco, ma il suo era stato un matrimonio politico: si diceva che fra lei e il marito ci fosse più che altro una salda alleanza. Il Legato, dal canto suo, era come noialtri un Consacrato, e gli era proibito mantenere relazioni stabili che potessero distrarlo dai suoi doveri. Ma niente gli vietava qualche avventura. Vabbè, fatti suoi. Io, poi, ero davvero l’ultimo a poter giudicare. Vero, Occhiverdi?, pensai. Ma anche la gladiatrice stava fissando il nostro Legato con un sorrisetto ambiguo. Allora non ero il solo a pensarlo. Anche il Principe strinse la mano a tutti noi con grande dignità e compunzione. Aveva passato dei brutti momenti, ma forse questo lo avrebbe reso un giorno un sovrano migliore. Quando fu la volta di Maevis, però, il bambino non resistette e la strinse in un abbraccio.

“Grazie, grazie, Maevis. Io… avevo paura e tu mi hai dato coraggio.”

Lei gli spettinò i capelli.

“Sei tu che sei coraggioso. Tutti abbiamo paura quando siamo davanti a quelle… cose. Ma c’è chi alla paura si arrende e chi la combatte. Tu appartieni al secondo gruppo, come noi Pretoriani Neri. Noi siamo di quelli che rispondono colpo su colpo.”

“A proposito…” esordì il Legato.

Eccolo. Adesso arriva la bastonata.

“Approfittate di questi due giorni di riposo che avete davanti per riprendervi.”

Due?

“Presto una nave volante della Coorte sarà qui per prelevarvi. Mi dispiace di non darvi più tempo fra una missione e l’altra, ma d’altro canto anch’io sarò presto in partenza, e per lo stesso luogo. Qui manderò una squadra investigativa, per capirci di più in tutta questa faccenda, ma noi siamo attesi altrove con urgenza.”

Sospirai. Una pausa non mi sarebbe dispiaciuta, ma questa è la vita che abbiamo scelto.

“E altrove sarebbe?”

“C’è una richiesta di mandare gente in incognito nelle zone interne della Dacia. Si parla di sospetti di vampirismo.”

Come no? Vampiri, i miei preferiti. Tastai il terreno con il piede. La caviglia non andava poi così male, in un paio di giorni sarebbe stata a posto. Più o meno.

“Saremo pronti, Legato. Come sempre. Però venite tutti con me adesso, vi offro qualche meritata birra.”

Il sorriso di Suenus mi ricompensò a sufficienza dell’esborso a cui mi ero esposto, e che non sarebbe stato lieve.

Presi Occhiverdi sottobraccio e mi avviai verso la taverna.

Mentre camminavo misi il piede su qualcosa di strano, tra l’appiccicoso e il polveroso.

“No, per gli Dei!”

“Cosa c’è?”

“Ragazzi, che schifo! Ho pestato il Re della Notte.”

 

POSTFAZIONE

Lo ammetto. Sono stato preso da rabbia e sconforto dopo la visione di “The Long Night”, la puntata con la battaglia che tutti attendevamo nell’ultima, famigerata stagione di Game of Thrones. Scene visivamente molto belle e suggestive, ma in ogni scelta dei condottieri mancava la minima traccia di buon senso. D’accordo, gli sceneggiatori non sono storici militari, la serie deve intrattenere e non insegnare tattica, ma oltre certi livelli la sospensione dell’incredulità non funziona più e si scade nel ridicolo. Non si pretende che i personaggi siano degni di Annibale o di Alessandro il Grande, ma almeno che si comportino come feudatari di intelligenza media o almeno mediocre. Invece se si fossero fatte disporre le truppe da una scimmia in modo causale, statisticamente il risultato sarebbe stato migliore. In preda alla frustrazione, non ho resistito e ho buttato giù di getto uno spiegone di due o tre pagine evidenziando tutto quello che c’era di assurdo e cosa avrebbe fatto un condottiero normale. Poi mi sono chiesto: a che serve? A chi interessa? Infine, ho visto che anche altri avevano fatto osservazioni simili alle mie, in vari video su youtube, commenti su FB ecc.  Se vi interessa vedere comunque il mio “spiegone” tattico per esteso lo trovate qui:

https://www.lacoronadacciaio.it/uncategorized/the-long-night/

Comunque, allora mi è balenata in testa l’idea di scriverci sopra un racconto. Non potevo usare l’ambientazione di “Per la Corona d’Acciaio”, dato non si presta all’esistenza di eserciti di zombi. Ma potevo usare invece altri personaggi, di più recente invenzione, mettendoli in una situazione simile a quella dei protagonisti di GoT. Così – senza annoiare i lettori con un trattatello tecnico! – posso mostrare cosa avrebbero fatto dei comandanti almeno degni di questo nome. Da una parte e dall’altra, si intende, perché pure il temuto Re della Notte (quello di GoT, intendo) ha rivelato un encefalogramma quasi piatto come quello dei suoi avversari… ma forse a lui si può perdonare, dato che era morto fin dall’inizio! Un’altra cosa che ho cercato di dimostrare è che non occorre fare per forza cose stupide per creare scene epiche e suggestive.

Se poi i miei Pretoriani Neri e il loro mondo vi piacciono… stay tuned!

 

 

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