«Ogni attività del mercato era sospesa. Congelata. Come l’acqua di una cascata in inverno.
Vindice strinse le briglie e fissò il suo popolo a testa alta, con un sorriso. Lo attorniavano in cerchio, ammirati e increduli. Un bambino interruppe quel silenzio acutissimo scoppiando a piangere, in qualche punto di quel mare umano, ma fu subito zittito. Allora Vindice fece avanzare Violante, lentamente, e la ressa si aprì per cedergli il passo.
Come in un sogno, la marea di facce arretrò e lui poté farsi largo tra la folla su una linea retta, così perfetta da immaginare quasi di poter arrivare fino al palazzo.
Fino al trono.
Ma quante spie dei Cinquecolli erano mescolate tra le due ali di folla? E cosa aspettavano? Forse non avevano ricevuto ordini al riguardo e non sapevano che cosa fare. O forse una mano insospettabile stava già correndo a un pugnale o a una balestra.
Una mano tra diecimila e la morte gli sarebbe entrata fra le costole.»
Vindice Maravoy è destinato a diventare un fiero Conte del regno di Gallesse. È destinato a ereditare il segreto millenario custodito dalla sua casata sotto le mura di Castelbrun. Non avrà proprio un bel niente. I Maravoy hanno tentato di ribellarsi all’impero Dosthan e hanno fallito, perdendo tutto: non hanno più terre, non hanno più un titolo. Ora Vindice è in esilio a Malia, e milita come mercenario nella compagnia del padre.
Vindice ama Malia, una terra antica e bellissima, erede della più grande civiltà che il mondo abbia conosciuto, ma la penisola è dilaniata da guerre intestine, oppressa da una monarchia debole e corrotta. Una nuova invasione da parte dello stesso impero che gli ha portato via tutto incombe dal Nord. Il crollo di Malia sembra inevitabile. Ma Vindice è pronto a tutto per evitare che la sua patria d’adozione venga conquistata. Perfino a mettere da parte i valori che gli sono stati insegnati.
«Tra pochi minuti tutta l’ambizione e tutto il potere del Regno sarebbero stati lì, in quelle sale.
E quello era il posto di Vindice, il posto dove agire, il momento per trasformare in realtà tutti i suoi sogni e i suoi incubi. Ora non si trattava più di pianificare in camere buie e senz’aria o in militaresche tende da campo, di esaminare e inventare strategie.
Quella era la realtà, la stanza del tesoro, il covo del serpente. E ciò che accadeva in quel mondo vacuo e colorato era la più vera delle verità.
Uno sguardo, un movimento, un impulso di desiderio o di antipatia: la causa.
Guerra, pace, accordi, omicidi: l’effetto.
Facili ascese e facili cadute.
Gloria, potere, denaro, veleno.
Un brivido di eccitazione e di conquista gli serrò le viscere. La sera calava dolcemente, incurante, e miriadi di luci si accendevano nei saloni scintillanti. La carrozza superò i cancelli della reggia e le guardie sgargianti.»
«La carica: l’istante supremo di terrore e coraggio in cui si è sospesi tra la vita e la morte, e l’eccitazione della corsa e della caccia si mescola con il panico cieco della preda. Il destino dipende dalla mira del nemico, dal vento, da una zolla di terra, forse da un bruscolo in un occhio del balestriere o del fante nemico.
Il momento sfrenato del riso e del pianto, della verità su te stesso, quando sei solo eppure fai parte di tante volontà identiche tese nello stesso sforzo, prigioniere esultanti della stessa follia.»
“Poco prima che gli Imperiali arrivassero alla distanza di un tiro di balestra, la flotta di Castelbrun ammainò tutte le vele: facendo affidamento sui tre ordini di remi, la forza marittima dei Maravoy virò con decisione controvento, verso Settentrione.
I tamburi rimbombavano a un ritmo frenetico, e i rematori davano tutto quel che avevano in corpo, sudando e stringendo i denti.
I balestrieri presero di mira i legni degli oppressori.
I cavalieri estrassero le lame e si chiusero dietro gli scudi.
I Dosthan, colti di sorpresa, cercarono di virare per presentare le prue ai vascelli di Castelbrun.
Troppo tardi.”
«Hai vinto» ammise Vindice, intento nel suo lavoro. «E per quanto riguarda Orso, è ancora con il Re» concluse alzando la spada e osservandone con attenzione il filo.
La lama lucente, perfetta simmetria di bellezza e di morte, brillava rinnovata tra i suoi occhi fissi e ipnotizzati.
Quanta bellezza, quanto orrore in un pezzo di metallo.
Quella era la vera magia, senza alcun dubbio. Ne aveva sentito il tocco gelido in passato, nella carne, quando era stato ferito durante la campagna degli Ampioporto e degli altri Duchi ribelli contro gli Alesiadi.
Quasi non si sentiva, all’inizio: solo un brivido di orrore che gelava la schiena e le viscere. Poi il bruciore, feroce, e il pulsare. Come tamburi di fuoco senza fine, per notti insonni tormentate in cui l’alba pareva non giungere mai.
La Corona d’Acciaio di Malia è una semplice fascia d’acciaio damascato ricavata dalla spada spezzata di Valerius, Primo Imperatore Mitoien.
La spada rimase spezzata nelle mani dell’Ultimo Imperatore Julius durante l’invasione Dosthan che distrusse Fortia-che-fu, e in seguito fu riforgiata in Corona durante la guerra civile fra gli Altarocca e gli Alesiadi.
Al centro ostenta il più grande brillante conosciuto al mondo e ai lati due zaffiri poco più piccoli.
“Era una fascia del migliore acciaio antico temprato, damascato, con al centro un enorme brillante – il più grande del mondo, si diceva – e ai lati due zaffiri purissimi.
La leggenda voleva che la Corona fosse stata forgiata dalla spada di Valerius, il primo Imperatore degli antichi Mitoien.
Quando l’Impero Mitoien era caduto, secoli dopo, quella spada era stata spezzata nelle mani dell’ultimo Imperatore Giulius.
I due tronconi della spada per sfuggire al saccheggio e alla distruzione della capitale imperiale, Fortia che fu, erano stati portati in gran segreto ad Alesia, in attesa di un erede della famiglia imperiale che non era mai più apparso.
Gli Alesiadi li avevano nascosti e poi li avevano usati per forgiare la Corona, incastonandoci le loro gemme più preziose.
La Corona era rimasta nascosta nel tempio della città lacustre per generazioni.
Solo quando la dinastia Alesiade aveva ottenuto il potere su tutta penisola Maliana l’aveva mostrata, reclamando pubblicamente l’eredità dei Mitoien.”