LE CRONACHE DEI PRETORIANI NERI

7 – Il racconto del Questore: Bizzarri crimini in uno strano villaggio

Vi ho riferito, a questo punto, tutto ciò che mi raccontò Mathos della sua avventura nella Foresta Nera. Potete immaginare come io sia stato lieto del fatto che la sua opinione sui popoli del nord, pur senza diventare proprio positiva, si fosse sfumata vivendo e combattendo al fianco di alcuni di loro. Perché in verità c’è gente brava come ci sono mascalzoni in seno a qualunque popolo, e in particolar modo io, amico di un Geata e amante di una donna dell’Hibernia, non potevo approvare un tale pregiudizio.

Ma la storia non finisce qui, non del tutto, in quanto – come ho scoperto in seguito – c’era ancora un capitolo da scrivere.

In seguito, dopo che i compagni di Mathos giunsero nella casa occulta in cui ci trovavamo per unirsi a lui, e tutti insieme ripartirono per destinazione ignota, noi andammo a ovest per occuparci del cosiddetto Principe dei Maghi. E poi al confine fra le Britannia e le terre dei Pitti per fronteggiare il necromante conosciuto come il Re della Notte, e ancora subito dopo in Dacia, dove perdemmo diversi compagni in quella lotta furibonda e senza esclusione di colpi e ancora nel remotissimo Impero alleato di Nippon. Insomma, io di nuovo persi di vista Mathos. Molti mesi dopo, però, ci capitò di essere spediti pure noi in Germania, non lontano dalle terre visitate dal Numida durante la missione che mi aveva raccontato. Dato che dovevamo attendere che certi eventi si verificassero, per una volta ci trovammo con un po’ di tempo da perdere, quindi decisi di svolgere qualche ricerca per conto mio. Ebbi così accesso, tramite i canali privilegiati dell’Inquisizione, al rapporto stilato dal Questore del Principe dei Cheruschi sui fatti accaduti in un certo qual villaggio della Foresta Nera, che ricopio qui per intero a maggior completezza del racconto delle avventure di Mathos e dei suoi contubernali.

“Al Perfettissimo Principe dei Cheruschi.

Io, Settimo Vercingetor Severus, Questore, ti riferisco con riverenza quanto segue apponendo il mio giuramento sulla veridicità del racconto e di tutto quanto vi è contenuto, per assurdo e incomprensibile che esso possa essere.

Su urgente richiesta degli anziani del villaggio di Grünrute, situato all’interno della regione boschiva detta “la Foresta Nera”, mi recai sul posto a investigare accompagnato da un contubernium di soldati a cavallo. Arrivati al limitare della grande selva vi ci siamo addentrati e dopo un giorno di viaggio siamo finalmente giunti al villaggio, che si presenta fortificato: è costituito da casette di legno circondate da una palizzata. Tale precauzione, che oggigiorno nelle nostre terre potrebbe sembrare inutile, viene laggiù mantenuta perché da quelle parti ancora si trovano a volte bande di briganti, e i branchi di lupi possono rivelarsi pericolosi, in particolare per i bambini, i cani e gli animali da cortile.

Venimmo accolti da una turma di abitanti agitati e decisamente logorroici, tutti ansiosi di spiegarci quel che loro stessi non riuscivano a spiegarsi. Ci trascinarono all’interno del paesino. Le due torrette di legno ai lati dell’ingresso erano presidiate da un paio di arcieri, il che mi parve strano all’inizio, fino a che non compresi quanta agitazione si fosse impadronita dei poveri villici. Ci dissero poi, infatti, che prima di allora non era loro costume da molti anni presidiare quelle torrette, ma a partire dal giorno del fattaccio avevano ripreso a farlo. O, per meglio dire, dalla notte del fattaccio.

Ora, io confesso che non sono del tutto in grado di distinguere la realtà dall’inganno, in questa storia, anche dato che successivamente alcuni degli abitanti sono stati processati e giustiziati dall’Inquisizione Imperiale come membri di un culto proibito, compreso il capo villaggio che al momento della mia indagine era assente. Eppure, per lo più, le persone con le quali ho parlato parevano tanto sincere quanto perplesse.

Mi fecero entrare nella grande capanna usata come magazzino comune, dove c’era il cadavere seminudo di un ragazzo, che mi dissero essere il figlio del capovillaggio, un tale Hildegard. Sul petto aveva un’ampia ferita, proprio sul cuore, chiaramente causata da un grosso pugnale. Non sembrava opera di uno scrasamax come quelli locali: esaminando la ferita mi parve di capire che si trattasse di una lama curva come taluni usano in Africa o in Oriente. Pare che dal magazzino mancasse un sacco pieno di pane con alcuni formaggi e salumi: poca roba, però ipotizzai comunque un furto. Almeno, all’inizio. Inoltre, pareva che fosse sparita la cintura del giovane ucciso, un accessorio molto pregiato con placche in argento sbalzato. C’era, infine una testimone, una ragazza del posto. Se ne stava in un angolo con espressione piena di vergogna, e aveva cinque dita rosse ben visibili su una guancia. Opera del padre, mi dissero. Sospirai, chiedendomi il motivo del ceffone, e se dovessi comminare una multa al genitore troppo impulsivo o fosse il caso di soprassedere, date le circostanze più gravi di cui dovevo occuparmi. Alla fine la multa gliela feci, ma non subito: me ne ricordai solo poco prima di partire. Infatti il racconto della fanciulla mi incuriosì al punto da farmi scordare tutto il resto.

Si chiamava Herkenhild. La interrogai lì, sul posto, in modo che potesse ben segnalarmi ogni spostamento. Lo feci alla presenza di parecchie persone, praticamente tutti gli abitanti del villaggio, e ciò risultò essere sia un vantaggio che uno svantaggio per l’indagine: appresi molte cose, ma si creò anche una gran confusione.

“Sono uscita di soppiatto da casa mia di notte, per vedere Hildegard. Ci eravamo accordati per incontrarci qui dopo la mezzanotte.”

A quelle parole un giovanotto dall’aria imbronciata vicino a Herkenhild sbuffò e pestò i piedi. Chiesi chi fosse e mi fu risposto che era il fidanzato della fanciulla. Dato l’appuntamento notturno della sua fidanzata con l’aitante Hildegard, il malumore del ragazzo era comprensibile, ed era condiviso anche da tutto il suo clan, che lo spalleggiava pieno di indignazione: madre, padre, zii, nonni e lontani parenti.

Ma non erano gli unici ad avere l’aria seccata. C’era anche un’altra giovane che dava segni palesi di insofferenza, nonostante tentasse – invano – di nasconderli.

La famiglia di Herkenhild, invece, dal canto suo sembrava in grande imbarazzo.

La poveretta si fece forza malgrado tutto e continuò:

“Quando sono entrata ho visto subito il povero Hildegard…” fece una pausa, superando a stento la voglia di piangere, e non osò alzare gli occhi sul fidanzato, che in cambio la guardò come per incenerirla.

“Era già morto, là abbandonato, proprio com’è adesso. Adesso però puzza, bisognerebbe metterlo sulla pira, vi prego.”

“Fra non molto sarà fatto, non ti preoccupare.” la rassicurai “E tu dove ti trovavi esattamente?”

Andò vicino all’entrata: “Proprio qui. E da lì mi è saltato addosso quell’uomo nero.”

Aggrottai le sopracciglia, pentendomene subito quando vidi che lei si era spaventata, scambiando la mia perplessità per uno sguardo severo.

“In che senso un Uomo Nero? Intendi dire un Troll, o qualcosa del genere?”

“No, no, macché, niente Troll, altrimenti se lo sarebbe mangiato il povero Hildegard, e poi è da secoli che non se ne vedono più da queste parti, così a sud. Era un uomo, ma nero. Di pelle nera, voglio dire, oltre che vestito di nero. E con una gran barba nera. Un uomo spaventosissimo!”

“Mmmmh, capisco. E cosa ha fatto quell’uomo così spaventoso?”

“E’ presto detto, mio signore: mi ha dato una botta in testa tale che ho perso i sensi all’istante. Quando mi sono risvegliata ero tutta legata e non potevo muovermi né gridare, perché avevo una corda enorme che mi passava nella bocca.”

“Altro che corda ti saresti ritrovata in bocca, se Hildegard fosse stato ancora vivo!” ridacchiò una vecchia sguaiata.

L’altra ragazza, quella che scalpitava insofferente, cacciò un grido e fece due passi avanti:

“Ma cosa dici, stupida troia? Non c’era nessun uomo nero qui dentro, te lo dico io!”

“E tu come fai a saperlo, Helga, che non c’eri?” ribatté Herkenhild, offesa.

L’altra incrociò le braccia sul petto con aria di sfida, ma decise di non rispondere:

“Lo so e basta, non è affar tuo!”

Questa giovane poteva benissimo non rispondere a Herkenhild, ma con il sottoscritto era cosa ben diversa:

“Non è affar suo ma mio sì, in nome del Principe!” le intimai.

Quella impallidì e fece un passo indietro.

“E forse è anche affar mio!” esclamò un altro giovanotto del posto, saltando fuori dalla folla.

“E quello chi è?” chiesi a uno dei vecchi del villaggio, in un orecchio .

“Eric, il fidanzato di Helga.” mi venne risposto dal vecchio. Sospirai. La faccenda si faceva intricata. Mi toccava insistere.

“Dunque: come fai tu a sapere, Helga, che non c’era alcun uomo nero?”

La ragazza fece un gesto come per scacciare una mosca.

“Per me lo ha ucciso lei, che era gelosa, e ora si inventa delle cose incredibili per tentare di scagionarsi.”

“Come gelosa? Ma cosa dici?” la interruppe il fidanzato dell’altra, tutto rosso. Ma Helga non si diede per vinta:

“Sì, era gelosa e l’ha voluto uccidere, il povero Hildegard!”

Si notava che anche Helga stava per piangere.

“E di chi doveva essere gelosa, eh? Sentiamo…”

Era stato Eric, il fidanzato di Helga a intervenire in questo modo.

“Io… io non lo so. Però si diceva fra noi ragazze che Herkenhild avesse una tresca con Hildegard e che lei fosse molto gelosa…”

“E magari che Hildegard ne avesse una anche con te, di tresca?” insistette il ragazzo, furibondo.

“Ma no, cosa vai a pensare…” fece lei tutta rossa

Dovevo riprendere le redini di quella cosa o avrebbe potuto durare all’infinito.

“Insomma, silenzio!” gridai. Poi fissai Helga con severità: “Devi dire la verità, o quant’è vero Giove ti faccio sbattere nella segreta più profonda del castello del Principe in attesa di essere interrogata, e ti faccio restare lì per un paio d’anni prima di trovare il tempo di venire a farti delle domande. E non sto scherzando. E tu, giovanotto, zitto o ti faccio tagliare la lingua. Non me ne importa nulla delle tue corna o non corna!”

“Corna, corna, altroché…” sibilò la vecchietta di prima guardando Helga di sbieco, velenosa quanto invidiosa.

“Io… io ero lì, prima di lei. E non c’era nessun uomo nero!” si sbottonò finalmente Helga.

“Ma brutta porca!” ruggì Herkenhild alla sua volta.

Metà delle donne presenti spalancarono la bocca e se la tapparono con le mani, qualcuna gridò, che fosse per lo scandalo o per una gioia maligna. Eric perse i sensi e fu preso al volo da sua madre prima che cadesse per terra. Ci mancava solo che qualcun altro si facesse del male.

Una volta depositato il ragazzo al suolo – mi premurai che lo lasciassero pure svenuto, per la pace e la tranquillità di tutti – ripresi il filo dell’indagine.

“Qui, gente, si cerca il colpevole di un assassinio: al Principe importa poco di come i vostri giovinastri e le vostre pulzelle passino le nottate, ma state sicuri che farà impiccare il delinquente omicida che si è macchiato di questo crimine. Quindi vi prego di fare silenzio, o di andarvene.”

Un minaccioso passo avanti dei miei soldati mi aiutò nel compito, ed ebbi il silenzio di cui avevo bisogno.

“Quindi, Helga, tu eri venuta in questo stesso luogo prima della tua “amica” Herkenhild per… avere un colloquio con Hildegard.”

Tutta vergognosa, la fanciulla annuì.

“Era venuta, altroché se era venuta, conoscendo Hildegard!” sghignazzò una donna a bassa voce, subito fulminata dall’occhiataccia del marito.

“E non hai visto niente di strano.” continuai.

“Niente uomini neri, signore. C’eravamo solo io e lui.”

“Uomo nero, non uomini neri: era solo uno.” la corresse Herkenhild.

“Per me l’ha ucciso lei, altro che uomo nero!” insistette Helga, esasperata, additando Herkenhild.

“Hai prove concrete a supporto di quello che affermi?” le chiesi, e lei candidamente ammise: “No. Ma me lo sento dentro.”

Mi resi conto che quello era un vicolo cieco. Helga era maledettamente gelosa di Herkenhild, e probabilmente avrebbe dovuto esserlo anche nei confronti della metà delle donne del villaggio, ma non c’era alcuna sensatezza nelle sue affermazioni. L’unica utilità della sua testimonianza era ai fini della comprensione delle dinamiche amorose degli abitanti del villaggio, cosa di cui, fino a prova contraria, poteva importarmi ben poco. Torturandomi la barba, decisi di affrontare la vicenda sotto un altro punto di vista, quello del furto.

“E la cintura di Hildegard, è stata ritrovata o dobbiamo supporre che l’abbia tenuta il ladro?”

Uno degli anziani si schiarì la voce.

“In realtà la cintura è stata ritrovata, ma non sappiamo se l’abbia presa il ladro oppure no.”

Lo squadrai con aria interrogativa. Le sue parole non sembravano avere alcun senso.

“Cosa intendi dire?”

“Che l’abbiamo trovata indossata da un uomo nudo senza testa, trovato nella foresta. Ma non è nero, lui.”

Un paio dei miei soldati non riuscirono a trattenersi e scoppiarono a ridere. Però poi, presi a spintoni dal loro decanus, si ripresero.

Mi grattai la testa, pensieroso.

“Qualcuno è riuscito a riconoscerlo, quel tipo, magari da qualche segno distintivo?”

Il vecchio scuote la testa.

“No, macché. Non è uno del nostro villaggio. Aveva un tatuaggio su un braccio: un lupo nero, ma nessuno ricorda di averlo mai visto. Però, sapete, senza la testa si fa fatica a dire.”

“Ma… a Hildegard piacevano solo le donne, o anche gli uomini? E’ possibile che abbia avuto un incontro anche con quel tipo, nella stessa notte, e gli abbia donato la cintura come… pegno d’amore?” chiesi.

In quel caso, il tizio senza testa avrebbe potuto essere stato a sua volta rapinato e ucciso nel bosco… ma perché l’uomo nero – se era stato lui, poi – gli aveva lasciato la cintura, allora? Proprio l’oggetto più prezioso! E perché quello lì se ne era andato via dal villaggio ancora nudo, nella neve? Non si spiegava. Nulla di tutto ciò aveva senso!

Il fidanzato di Herkenhild sbottò: “Tre in una notte? E uno era un uomo? Ma era malato, quell’Hildegard!”

“Ce ne fossero, di malati così!” ridacchiò la vecchia.

Quello fra gli anziani che mi aveva risposto prima la liquidò con un gesto e disse:

“Che io sappia, andava solo con le donne, ma chi può dirlo?”

Mi rivolsi alla piccola folla dentro il magazzino:

“Qualcuno lo sa per certo?”

Qualcuno tossicchiò, qualcuno scosse la testa, qualcuno fece un passo indietro, e mi resi conto che non l’avrei mai saputo.

Poi il vecchio di prima proseguì: “E poi c’era anche quell’altro, nel bosco, il tizio anziano con la faccia spaccata.”

Sospirai forte. Le sorprese sembravano non finire mai.

“Quale tizio anziano?”

“Quello con la faccia spaccata, signore!” ripose lui.

“Andiamo a vedere.”

Ci recammo tutti insieme nel bosco, andando prima nel luogo dove era stato ritrovato il cadavere nudo decapitato. La neve aveva cancellato ogni orma, ma io e i soldati riuscimmo a trovare schegge di legno e cuoio che avevano tutta l’aria di essere pezzi di scudo, e tracce di sangue su diversi alberi. Pareva che si fosse svolta in quel luogo una piccola battaglia. L’uomo nudo senza testa l’avevano seppellito, ma lo feci tirare fuori. Il freddo l’aveva ben preservato. Era senz’altro di stirpe germanica, non un nero. Robusto, con parecchi segni di ferite sul corpo. Sotto le unghie aveva segni di carne e sangue. I piedi erano sporchi di terra, e mi confermarono che erano già così quando era stato trovato: probabilmente si era spostato nel bosco a piedi nudi. Una bella resistenza al freddo, di sicuro!

“Qui hanno combattuto.” dissi.

Epperò non avevo idea di chi avesse combattuto chi. Il famoso uomo nero? Altre persone? Due gruppi in lotta, magari? Questo forse poteva spiegare anche l’altro cadavere.

Il “tizio anziano con la faccia spaccata” era distante da lì ma non poi troppo e lo raggiungemmo con una buona camminata, tutti in processione dietro al vecchio che faceva da guida.

Anche quello l’avevano sepolto, e anche lui lo feci tirare fuori.

Indossava una strana veste grigia, aveva capelli e barba anch’essi grigi e in effetti aveva la faccia spaccata. Le ossa facciali gli erano rientrate nel cranio e il viso era del tutto distrutto: nemmeno sua madre avrebbe potuto riconoscerlo. Trovai subito dei segni ai polsi: prima di morire era stato legato senza troppi riguardi. Poi, su un pietrone vicino, trovammo una macchia di sangue e cervella bella grossa, e anche frammenti di osso. Gli avevano frantumato la faccia contro quella pietra.

Mi alzai, sbuffando.

“Qualcuno ha idea di chi potesse essere quest’uomo?”

“Non era del nostro villaggio.” dichiarò il vecchio.

“Nè nessuno che avessimo mai visto, per quanto possiamo dire.” aggiunse un altro degli anziani.

“Mai visto.” concluse la vecchia di prima, quella spiritosona che si augurava di avere più uomini come Hildegard in circolazione.

“Se non l’ha mai visto lei, allora non l’ha mai visto nessuno: Brunhild sa tutto e vede tutto.” sbottò Helga.

“Una veggente?” chiesi.

“Una gran pettegola!” ribatté la giovane.

Più apprendevo dettagli sulla faccenda, meno ci capivo, devo ammetterlo.

Forse quell’Hildenbrand aveva avuto un incontro amoroso con quel tipo senza testa (ma allora la testa doveva averla) prima che con Herkenhild e poi Helga. A lui poteva aver donato la propria cintura. Ma perché quello si era mosso già nudo per andare a trovare il suo ganzo? Nudo nel bosco, sulla neve: una follia! Comunque, se ne era andato nudo come era venuto ma con la cintura del ragazzo indosso, e lì aveva fatto un brutto incontro. O forse era lui stesso l’uomo nero: avrebbe potuto usare della tintura. In quel caso aveva colpito Hildegard per rubargli la cintura, aveva steso Herkenhild, che lo aveva sorpreso prima che potesse squagliarsela, e poi, lavatosi della pittura nera non so come, se n’era andato nudo nella foresta… e i vestiti? Dove li aveva messi? E perché se ne era liberato? O forse era venuto dipinto di nero e già nudo? Ma che senso avrebbe avuto? Oppure… oppure lui era stato con Hildegard nel breve tempo fra i due appuntamenti con le ragazze, avevano litigato e così lui aveva ucciso Hildegard, poi si era liberato della seconda fanciulla, che lo aveva visto, ed era fuggito nudo e dipinto di nero nella foresta, ma con la cintura. Allora… perché mai si era dipinto di nero? Forse uno strano gioco erotico tra lui e Hildegard? La gente è bizzarra, a volte, in camera da letto… o in un magazzino di notte!

Mi sorse una domanda, e mi rivolsi a Helga:

“Il tipo senza testa poteva essere il nero? Magari si era dipinto. Ed era nudo, l’uomo nero che ti ha aggredito?”

“Nudo? No! Per gli Dei, così sarebbe stato tutto ancora più spaventoso! Ho già detto che era vestito di nero, no? E non saprei dire dalla corporatura se poteva essere il tipo senza testa: era buio, io sono stata presa alla sprovvista… era robusto, certo, e anche questo lo era. Ma non mi è sembrato che fosse un bianco dipinto, per me era proprio nero di suo, quell’energumeno nel magazzino.”

Accidenti. Inoltre, non avevamo trovato alcun residuo di pittura nera, né nel magazzino né sul decapitato. Come avrebbe potuto liberarsi così bene della vernice, lì nella foresta e con così poco tempo a disposizione? No, l’ipotesi non reggeva.

Dovevo ricominciare da capo. Mi venne in mente un’altra domanda:

“Herkenhild, Helga, chiedo a voi: Hildegard aveva con sé la sua cintura quando lo avete visto nel magazzino?”

Herkenhild arrossì:

“All’inizio l’aveva indosso poi l’ha posata… gettata da un canto. E lì è rimasta.”

Helga dal canto suo si massaggiò il mento riflettendo.

“Era nudo, là, già bello che morto, poverino. Quindi la cintura non l’aveva. Però credo di averla vista nel mucchio dei vestiti che aveva accanto, prima che fossi aggredita.”

Quindi l’aveva presa l’uomo nero dopo l’aggressione. Allora il decapitato doveva essere per forza un suo complice, e il nero gliel’aveva consegnata. Quello l’aveva indossata, ma… sul proprio corpo nudo? Perché mai quel bandito era nudo, tranne che per la cintura della vittima? Poi forse erano stati aggrediti da altri, un diverso gruppo di briganti: avevano combattuto, il tizio nudo era stato decapitato, il vecchio in grigio si era dato alla fuga ma l’avevano raggiunto spaccandogli il cranio contro la pietra, il nero invece era riuscito a squagliarsela.

Tutto quel massacro per un sacco di pane, due formaggi, quattro salsicce e una cintura?

A meno che…

“Vi risultano per caso delle dicerie sulla cintura di Hildegard?”

“Dicerie?” chiese l’anziano che ci aveva guidati nel bosco.

“Non è che magari le eccezionali doti amatorie di Hildegard erano attribuite alla sua cintura?”

In quel caso, si poteva spiegare perché mai qualcuno, meno o per nulla dotato dalla natura, potesse bramare tanto quella cintura, e forse il brigante senza testa era il capo dell’uomo nero e si era denudato mettendosi la cintura per provarne subito i poteri! Poi un altro capo bandito impotente era giunto sul posto coi suoi sodali, ed era scoppiata la battaglia per appropriarsi del potente talismano.

“No, niente affatto. Mai sentito dire qualcosa del genere. Era solo una bella cintura, tutto qui. E poi mica lui la indossava, quando…” mormora Herkenhild.

Ipotesi stupida, in effetti. E poi, due capi briganti tutti e due impotenti e disposti a uccidere per avere un presunto talismano di cui comunque nessuno sa nulla…

Decisi in ogni caso di requisire la cintura del ragazzo assassinato e poi, esclusivamente per scrupolo, la provai in seguito quando tornai a casa, con mia moglie. Ammetto di non aver notato nessuna differenza rispetto al solito, confermandomi nell’opinione che quell’idea fosse da scartare.

A quel punto, però, avevo esaurito la fantasia. Anche durante il viaggio di ritorno continuai a pensarci, ma senza risultati.

Poi l’indagine fu cancellata, perché l’Inquisizione Imperiale iniziò proprio in quei giorni la campagna di purificazione che divenne poi nota come la “Grande Purga della Foresta Nera” e, come si dice, “ubi maior, minor cessat”.

Questo pertanto è il mio rapporto finale sulla questione, mio Principe, e ad oggi il colpevole o i colpevoli rimangono sconosciuti, così come i loro motivi per aver compiuto questa serie bizzarra di delitti e di furti, così come ignoriamo chi fosse questo famigerato uomo nero e se sia mai esistito, così come anche l’identità dell’uomo nudo senza testa che indossava la cintura del ragazzo, e del vecchio con la faccia spaccata. Non posso che dichiararmi desolato per il fatto che questi misteriosi eventi avvenuti sulle tue terre e contro i tuoi sudditi, bravi cittadini romani, rimangano impuniti e senza alcuna ragionevole spiegazione.

Tibi salutem dicit,

Settimo Vercingetor Severus, Questore”

Così si chiude il rapporto del povero, perplesso Questore.

E non posso che ammettere che tutto il nostro contubernium si fece grasse risate alle spalle sue e dei villici del villaggio, avendo saputo la verità dalle labbra del “misterioso uomo nero” in persona!

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