Per la Corona d'Acciaio - Per la Corona d'Acciaio
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GLI ULTIMI EROI DELL’ARENA – Parte IV

settembre 30, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

Prima della fine della notte Felitia era stata svegliata dalla ronda cittadina, che chiamava alle armi chiunque fosse in grado di portarle. Si era diretta all’anfiteatro, dove un soldato in pensione aveva ricevuto l’ingrato compito di inquadrare i gladiatori in un contingente che avesse una parvenza di ordine e di senso. Erano tutti combattenti di prima scelta, forse superiori anche ai migliori legionari, ma erano anche una banda di individualisti sfegatati, ognuno anche troppo conscio del proprio valore e della propria abilità personale e per niente disposto a condividerla con altri. Non erano lesti a obbedire agli ordini di chicchessia o a proteggere le spalle ai rivali di una vita.

Quando Felitia era giunta, il povero veterano stava già sbraitando, mentre alcuni litigavano per i primi posti nella formazione. Vide Drakos e Vitreus, il nero con le fasciature al braccio che si erano sporcate di sangue durante la notte. Gli si avvicinò.

“Tutto bene?”

Quello le rivolse un ampio sorriso ed esclamò:

“Ci puoi scommettere, bambina! Ho sbrodolato un po’ di rosso sul letto ma non più di quanto non facciate voialtre una volta al mese, sto benissimo. Pronto a spaccare in due un po’ di barbari.”

“Invidio il tuo ottimismo.” gli ribatté Drakos, quasi togliendole le parole di bocca. Ai reziari era stata data una lunga lancia, l’arma militare che poteva somigliare di più al tridente tipico della loro arte. Invece Vitreus brandiva un grande scutum e una spada. A lei come scudo avevano dato una parma rotonda, di medie dimensioni, e una spada. Armi non troppo diverse da quelle che usava di solito nell’arena. La differenza era che i Dosthan avrebbero fatto un muro di scudi o roba così, ci sarebbero stati arcieri a tirarle addosso, e di certo non poteva buttarsi di lato, saltare e aggirare l’uomo contro cui avrebbe combtattuto, se non voleva rischiare di farsi ammazzare da qualche compare del suo avversario, a cui si sarebbe trovata a girare le spalle. Non era il suo tipo di combattimento, quello, per niente. Se ne era resa conto nelle esercitazioni di gruppo che il loro comandante era riuscito a imporre. Era un’altra cosa, piuttosto diversa. E se le sue abilità di gladiatrice le avevano risparmiato diverse bastonate, nella mischia simulata degli addestramenti militari, non poche volte si era trovata senza fiato per un’imprevista botta alle spalle.

“Eccola!” esclamò qualcuno. Felitia si girò.

Edurne camminava tranquillamente in loro direzione, tutta spavalda e con le armi in mano. Teneva per mano una ragazzina. Si scambiarono un bacio a metà strada e poi la fanciulla corse via, mentre la gladiatrice raggiungeva il gruppo.

“Fatto buona caccia?” le chiese Drakos alzando un sopracciglio con una punta di acidità.

“Migliore della tua, credo. Invidioso?”

Il reziario scosse la testa: “Quella ragazza non sa cosa si perde, sprecare la sua ultima notte con te…”

Edurne gli strizzò un occhio.

“Decisamente invidioso, vedo. Attento a come parli: ormai quella ragazza è praticamente mia moglie.”

“Oh, scusami tanto. Congratulazioni allora: quando la lascerai incinta?”

L’Hesperiana sputò in terra e gli fece un gestaccio, poi rise:

“Perché, tu quante ne hai ingravidate? Forse è più facile che lo faccia io, in fin dei conti, dato che sono dieci volte più uomo di te!”

L’Isolano aprì la bocca per replicare, ma fu zittito dal vecchio decanus:

“Silentium! In colonna per due! Move!”

Si avviarono, con la colonna che a poco a poco, mentre avanzava, da una massa caotica si riduceva a una fila quasi ordinata. Felitia non se la sentiva di ridere insieme a quei due. Aveva la sensazione che nessuno si rendesse realmente conto di quel che si stava per rovesciare sopra la città. Si ritrovò sospinta dal decanus proprio accanto a Edurne.

Quella la guardò dall’alto in basso:

“Silenziosa, eh? Sei gelosa?”

Felitia scosse la testa.

“Preoccupata. Non capisco come facciate a scherzare così.”

“Siamo tutti abituati a guardare la morte in faccia. Credevo che lo fossi anche tu.”

“Nell’arena la morte è possibile ma non è l’esito certo. Se i barbari prendono le mura non ci sarà nessun arbiter a fermare il combattimento.”

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GLI ULTIMI EROI DELL’ARENA – Parte I

giugno 27, 2020 by Marco Rubboli Nessun commento

 

Uno schizzo di sangue cadde quasi sui piedi di Felitia. La gladiatrice fece un balzo indietro per non sporcarsi i calzari, così il liquido rosso andò a bagnare la sabbia dell’anfiteatro. Un boato risuonò sugli spalti, e il corpo della donna reagì con un fremito di eccitazione che le fece rizzare i capelli sulla nuca. Il ruggito del pubblico era per lei come il vino per un ubriacone, e si chiese come avrebbe fatto a vivere il resto della sua vita senza quelle emozioni. Il pubblico scandiva il nome del retiarius Isolano Drakos, che aveva ferito il suo avversario con un colpo da maestro. Anche il Console si era alzato in piedi, e applaudiva. Drakos correva intorno e si pavoneggiava agitando la rete come la ruota di un pavone, mentre Vitreus il secutor pisciava sangue dalla spalla sinistra. Vitreus aveva la pelle scura, e non si distingueva bene quanto fosse larga e profonda la lesione.

Drakos lo aveva attaccato sul lato destro, costringendolo a girarsi, e poi con un balzo felino si era gettato a sinistra sferrando una stoccata col tridente. L’arma aveva strisciato sul bordo dello scudo del combattente nero e gli aveva aperto la spalla.

La gladiatrice girò la testa per osservare meglio il ferito attraverso la grata dell’elmo. Sentiva il familiare rumore del suo proprio respiro reso metallico dalle pareti interne dell’elmo.

“Bah. Solo un graffio, tutto sommato. Drakos non dovrebbe esultare troppo.” giudicò con occhio esperto. Incrociò lo sguardo di Edurne, l’avversaria contro cui avrebbe combattuto fra poco, e intuì che anche lei stava pensando la stessa cosa.

“Vecchia volpe d’una lesbica Hesperiana, lo ha capito anche lei. Non avevo dubbi: non le sfugge niente. Fra un po’ ci divertiamo, io e lei.”

Vide gli occhi di Edurne brillare d’una luce d’intesa e immaginò i denti bianchi della provocatrix schiudersi in un ghigno inquietante. Non poteva scorgerlo, ovviamente: l’elmo d’acciaio le avvolgeva il capo e le nascondeva il viso. Ma poteva immaginarlo. La conosceva da una vita, d’altro canto, ed era da una vita che loro due si scambiavano coltellate.

Tornò a osservare i due uomini che combattevano.

L’arbitro si era avvicinato, aveva dato un’occhiata alla spalla del nero e aveva dato il permesso di andare avanti. Ora la folla se ne stava zitta, ammutolita dalla tensione. Gli spettatori avevano annusato il sangue, ma il verdetto finale non era stato ancora emesso.

Vitreus, che era uno tosto e non avrebbe rinunciato tanto facilmente a una vittoria, aveva ripreso ad avanzare verso il retiarius.

Drakos invece si teneva alla larga. Non è mai una brutta cosa che l’avversario perda sangue. A poco a poco gli sbollisce la rabbia, e col sangue perde anche le forze e il calore. Invece nei primi momenti dopo aver subito una ferita gli uomini diventano ancora più pericolosi, per il desiderio innato di vendetta. Gli uomini e anche le donne. Felitia ne aveva viste tante, entro quelle mura, e non era una che potesse commettere delle ingenuità come insuperbirsi per un graffio…

Però quel balletto non poteva durare molto, altrimenti la gente sulle gradinate si sarebbe incazzata. Volevano azione, mica tattica, quelli là.

E infatti Drakos, che tutto era meno che un pivello, rallentò e permise a Vitreus di avvicinarsi. Solo per fermare la sua avanzata a suon di botte sullo scudo. Le tre punte del tridente non permettevano a Vitreus di balzare di lato né a destra né a sinistra, bloccandolo lì dov’era.

Il guerriero dalla pelle scura però colse l’opportunità di gettarsi sotto la lunga arma del suo avversario, inclinando lo scudo in avanti e cacciandosi a testa bassa nel varco. Drakos si avvide subito del pericolo e scattò via, cercando di tirare indietro l’arma e recuperarla. Ma Vitreus lo incalzava senza dargli tregua: aveva trovato la sua occasione e non intendeva rinunciarvi.

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