I RACCONTI DI MALIA
Mario era partito tre giorni fa da Poggio
merlato. Solo, povero, affamato e con la testa ancora dolorante dopo la sua ultima disavventura. Durante il primo giorno di marcia aveva riempito la pancia solo con delle minuscole fragoline di bosco e dei mirtilli, che aveva colto lungo la pista. C’erano anche funghi ma, nel dubbio, non aveva osato prenderli. Nonostante viaggiasse con l’arco in mano e una freccia incoccata non aveva mai avuto selvaggina a portata di tiro. Inoltre viaggiare in quel modo sulla strada poteva spaventare gli altri viandanti, con il rischio di prendersi lui stesso un dardo in corpo. Così, dopo una notte in cui l’unica cosa a fargli compagnia era stato il rumore sordo del suo proprio stomaco, aveva deciso di procedere nel bosco. Si sarebbe mosso a una distanza tale dal sentiero che gli permettesse di non perdere di vista la via ma che al tempo stesso gli consentisse di provare a cacciare.
Una decisione giusta, perché a metà pomeriggio si vide sbucare davanti una fagiana. Tirò, e la freccia le trafisse un’ala. Però quando Mario, già con l’acquolina in bocca, corse a prenderla, la fagiana volò via con un volo tutto storto. Cadde a poca distanza in mezzo a una macchia molto fitta. Mario si mise a cercarla lì intorno. Dopo un po’ l’animale spiccò un altro breve volo. Lui si lanciò dietro alla preda: non aveva la minima intenzione di lasciarsi sfuggire quel pennuto. Già lo vedeva sfrigolante sullo spiedo, figurarsi! Ma durante il terzo o quarto volo la fagiana sbandò e finì contro il tronco di un pino. Cadde giù in verticale. Già il giovane cacciatore sperava che quella che ormai considerava la sua cena si fosse rotto il cranio contro quel legno duro e nodoso. Ciò che trovò invece fu la freccia, che era caduta. La fagiana invece la vide con la coda dell’occhio, mentre quella tentava di squagliarsela correndo.
“Eh, no, bella mia, il tuo posto stasera è nella mia pancia!”
La rincorse, ma quella filava via come uno stallone lanciato al galoppo, anche se perdeva qualche goccia di sangue. Mario saltò cespugli, si lanciò in mezzo ad arbusti, scese dirupi a rotta di collo e si sbucciò le ginocchia su una pietraia. La fagiana era sempre un passo avanti a lui, starnazzante. Alla fine la ebbe a tiro, sguainò la spada e con un ampio roverso le staccò la testa di netto. L’uccello decapitato fece ancora alcuni passi, poi stramazzò in terra. Mentre Mario si chinava a raccogliere il suo premio, affannato, ebbe a pensare che quella era la sua prima vittima, la prima uccisione della sua carriera di avventuriero.
“Bah, meglio far finta di niente, facciamo che non conta. Non è epico. Direi quasi che non è nemmeno dignitoso.”
Aveva tirato un bel roverso, però, pulito e preciso. Tenne la fagiana per un po’ per le zampe a testa in giù, per far scolare il sangue, poi la legò allo zaino. A quel punto si guardò intorno e si rese conto di non avere più la minima idea di dove si trovasse la pista… e nemmeno di dove si trovasse lui stesso!
“Ma porca…”