Il famoso romanzo breve di Ernst Junger “Sulle scogliere di marmo” si svolge in un paese immaginario sito nel centro di un continente che ricorda l’Europa. Le scogliere di marmo che danno il titolo all’opera si affacciano su un mare freddo e tempestoso a Nord del paese, che è uscito pochi anni prima da una grande guerra contro i suoi potenti vicini e rivali dell’Ovest. Non è difficile capire quanto tale paese “immaginario” abbia a che fare con la Germania, la patria di Junger. E in particolare con la Germania fra le due guerre.

Un sinistro personaggio, il Forestaro, spadroneggia su una vasta zona boschiva a Est e suscita segretamente dei disordini servendosi di bande prezzolate, al fine di impadronirsi del potere e stabilire una dittatura. Il protagonista, che appartiene a un misterioso e colto ordine cavalleresco, dapprima osserva con preoccupazione gli eventi e alla fine giunge perfino a prendere le armi contro l’aspirante tiranno, in una lunga notte di sangue e scontri. Userà il fucile da caccia per scontrarsi con le bande di facinorosi e i loro mastini, disdegnando di usare contro di loro la spada che lo ha servito in battaglia anni prima contro i “nobili cavalieri dell’Ovest”.

Non dirò qui come la vicenda termina, ma svelerò solo (a chi non ha avuto ancora la fortuna di leggere il romanzo) che non si avrà né un lieto fine né un’apocalisse totale, ma si rimane alla fine con in bocca un sapore dolce-amaro e con la premonizione che la vicenda non sia finita.

Il Forestaro può avere il volto di Hitler come di Stalin (i due che furono tirati in ballo allora), o di qualunque altro personaggio che aspiri alla dittatura e agisca nell’ombra per creare le condizioni utili ai suoi scopi. In qualunque epoca e luogo. Si noti però che il romanzo uscì nel periodo in cui era al potere il regime nazista e se Junger non fosse stato un noto eroe di guerra avrebbe potuto avere seri problemi (in seguito, durante la seconda guerra mondiale, il generale Ernst Junger rischiò la vita “scordandosi” di far esplodere i monumenti di Parigi che erano stati minati, prima della ritirata, e partecipò poi alla congiura di Rommel).

Naturalmente questo articoletto non può aspirare a costituire una disamina né tanto meno una critica di una novella complessa e importante come “Sulle scogliere di marmo”, e ancora meno dell’opera di Ernst Junger in generale. Mi propongo solamente di omaggiare il romanzo e lo scrittore e chiarire la loro influenza sul mio romanzo.

Junger non è stato certo il primo che ha collocato una vicenda in parte immaginaria (ma realistica) in un luogo immaginario (ma realistico) per poter dire cose importanti sul potere, sulla politica, sul destino e le caratteristiche di un popolo e sugli esseri umani in generale. Altri scrittori “non di genere” lo hanno seguito su questa linea, cito qui solo “La riva delle Sirti” di Julien Gracq, per nominare uno scrittore che apprezzava Junger pur essendone politicamente distante (il primo era un conservatore, il secondo militava a sinistra), o ancora si potrebbe citare “Il deserto dei tartari” del “nostro” Dino Buzzati o “Aspettando i barbari” di J. M. Coetzee.

Un’altra cosa che accomuna “Per la Corona d’Acciaio” e gli scritti di Junger (oltre al fatto che questi è uno della personalissima schiera dei miei scrittori preferiti) è l’attenzione per l’opera di Machiavelli.

Il “diabolico” italiano (che ha costituito l’ispirazione primaria per il nostro romanzo, e ne riparleremo) viene citato da Junger in “Il problema di Aladino”: appare infatti fra gli autori presenti nella biblioteca di un personaggio, particolare da cui il protagonista si fa una certa idea dell’uomo che ha di fronte.

Non a caso: uno dei temi tipici di Junger è quello dell’avanzata inarrestabile del nichilismo, che distrugge a poco a poco tutti gli antichi valori svelandone la mancanza di fondamento razionale, fino a portare l’umanità sulla linea del nulla morale. Nella corrispondenza con Heidegger dal titolo “Oltre la linea” Junger si chiede se vi sia spazio per immaginare l’emergere di qualcosa di nuovo dopo questa plurisecolare “pars destruens”, e se si possa trovare un rinnovamento alla fine, oltre la linea del nulla. L’opera di Machiavelli, in particolare, è una di quelle che hanno messo in moto il processo di distruzione dei valori tradizionali, mettendo sotto la lente d’ingrandimento della ragione (e della sapienza del mondo antico) tutti gli antichi trattati medievali denominati “Specula principis”, che indicavano ai regnanti come comportarsi secondo le regole di un buon principe cristiano. I comportamenti prescritti da tutta quella trattatistica moraleggiante, per il diplomatico toscano, portavano a effetti deleteri per lo Stato. Per esempio la generosità e liberalità richiesta al principe dalla letteratura tradizionale in materia, andrà a comportare inevitabilmente alla fine un aggravio dei costi dello Stato e quindi maggiori tasse per i poveri sudditi, quelli che saranno in ultima analisi chiamati a pagare per tale generosità. Quindi meglio un principe “misero”, ossia avaro, che uno generoso, in fin dei conti.

In realtà seguendo l’impostazione di Matteucci, uno dei più grandi studiosi di Machiavelli, sia i “fondatori di repubbliche” sia il Principe monarchico sono entrambi ben lontani dalla sia pur minima ombra di nichilismo, avvicinandosi invece a mio parere piuttosto a quel “pragmatismo umanitario” che si può spesso riscontrare nei trattati militari della tarda romanità. O addirittura questi personaggi possono assumere una connotazione quasi “cristica” nell’assumere su se stessi tutto il male che è necessario compiere per evitare le devastazioni che seguirebbero a un crollo dello Stato. Certo, a prima vista si può ben avere un’impressione diversa: se Machiavelli mai si sognò di dire che “il fine giustifica i mezzi” (cosa che troppe persone credono) molti suoi epigoni non si fecero alcuno scrupolo a sostenere questa tesi.

Ma qui il discorso si farebbe lungo, quindi torniamo al senso del nostro confronto/omaggio tra “Per la Corona d’Acciaio” e “Sulle scogliere di marmo”.

Un lettore si potrebbe chiedere: si tratta, in questo caso come in altri casi simili, di “fantasy”? O no?

Bene, per certi aspetti sì, a prescindere dal livello tecnologico delle società immaginate dall’autore. Niente vieta alla letteratura fantastica di usare luoghi e genti inesistenti per trattare temi complessi e importanti, a partire da “La Repubblica” di Platone fino ai “Viaggi di Gulliver” di Swift, e molto oltre. Certo però non è fantasy classico.

Ma soprattutto: cosa importa se sia fantasy o meno? Che senso ha questa domanda?

Secondo me quasi nessuno.

Nessuno se lo è chiesto nel caso nobile di “Sulle scogliere di marmo”, per cui qual è il motivo per cui un critico dovrebbe farsi questa domanda in altri casi? E’ ora di abbattere queste barriere, che non hanno altro effetto che quello di creare una specie di ghetto (un ghetto sempre più grande e rigoglioso, per ragioni che mi piacerebbe trattare prima o poi in un altro articolo, ma sempre ghetto). In questo modo la cosiddetta letteratura “seria” si può permettere ancora di ignorare quanto detto e scritto di importante da scrittori “fantasy”, o di qualche altro tipo di letteratura “di genere”, e di confinare i gusti, le idee e le aspirazioni di tanti lettori in un limbo intellettualmente e idealmente irrilevante. La letteratura fantasy – come quella horror o di fantascienza, o di viaggi, o quel che volete – può essere buona o cattiva letteratura, ma è comunque letteratura, punto. A meno che non siamo noi stessi, noi che amiamo le opere ambientate “altrove”, a ridurci in uno steccato edificato da noi stessi scrivendo cose superficiali e stereotipate, attenendoci a regole e paradigmi che – se non presi “cum grano salis” – ci possono spingere a vergare non più che gradevoli cloni di cose già scritte.

Ma se non è così, come per non lo è per Tolkien e tanti altri, quando sono gli altri a distinguere fra “vera letteratura” e “letteratura di genere”, in questo caso Omero e Virgilio e i tragici greci con Ariosto, Shakespeare e compagnia bella, insomma tutta l’epica fantastica dalle origini ad oggi, la togliamo dall’antologia “ufficiale” e la mettiamo nell’antologia “fantasy”. Poi vediamo se vale di più l’antologia “fantasy” o quella “ufficiale”.

Tornando a noi, “Per la Corona d’Acciaio” si prefigge quindi di contribuire a quest’opera di distruzione degli steccati, proponendo insieme temi importanti e azione, una cornice storico-fantasy che viene usata per trattare problemi eterni che riguardano l’umanità in genere… e tentare di parlare – perché no – anche della e alla nostra nazione in particolare.

Come ha fatto anche Ernst Junger con “Sulle scogliere di marmo”, insomma.

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