Anch’io alla fine ieri ho visto il film “Barbie”. Mi sono divertito parecchio: il mondo rosa fintissimo e plasticoso è realizzato davvero bene, le battute sono spassose, le citazioni gustose, i personaggi simpatici… tranne la figlia della tipa che lavora alla Mattel e le sue amiche, assolutamente odiose. Il personaggio più simpatico invece è di gran lunga quel cretino di Ken. Cretino lo è sempre stato, anche prima di apparire sullo schermo, fin da quando era solo un bambolotto di plastica con un sorriso beota stampato in faccia. Non potrebbe essere diverso, perché è un uomo-accessorio in un mondo femminile ideale, e se Barbie è un’idealizzazione estrema e irreale della donna, sia fisicamente che a livello di vita sociale e realizzazione professionale, Ken invece è la parodia di un uomo. Incarna infatti il tizio che Barbie deve avere accanto da esporre alle feste, o come cavalier servente. A scelta della bambina di turno può essere il fidanzato perfetto e adorante oppure un vero e proprio “servo della gleba” eternamente “friendzonato” come nel film. La sua cifra è il glamour, professione: “spiaggia”. Qualcuno dei miei lettori maschi ha mai giocato con Ken, si è mai identificato con lui? Non credo. I Ken di mia sorella nei nostri giochi facevano la figura del salame proprio come nel film. Il glamour da “ragazzo dorato” da spiaggia non attira per niente i ragazzini veri, che cercano altro, e precisamente cercano azione. Barbie può essere tutto ciò che vuole, quindi può essere anche una donna d’azione, ma l’uomo d’azione non è Ken, è (era) invece Big Jim, che infatti la Mattel proponeva ai maschietti in divisa militare, in tenuta da karate, o come spia-killer in stile James Bond. Nel suo ridicolo tentativo di portare a Barbieland il patriarcato, Ken prova a reinventarsi uomo d’azione, diventandone ovviamente solo una parodia, dato che parodia era e parodia rimane, e la cosa risulta esilarante.
Parentesi seria, andando a guardare al di là della cortina di faceto: l’oppressione matriarcale che si vede all’inizio esercitata sui poveri Ken trova il suo uguale e contrario nel decerebrato patriarcato che Ken tenta di imporre. Ovviamente viene gabbato e battuto (no spoiler, era evidente fin dal primo minuto). Barbie però non pensa mai che ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo mondo, ha in mente sempre solo se stessa, chiede scusa a Ken solo tardivamente e molto parzialmente, lasciandolo peraltro nella sua condizione servile e di “homeless”. D’altra parte nemmeno Ken pensa per un solo istante di chiedere giustizia e uguaglianza, ma vuole solo insediarsi come nuovo oppressore. Non a caso Ken alla fine indossa una maglietta rivendicativa con la scritta “I am K-enough”, così come Barbie basta a se stessa.
Si tratta di comportamenti figli della filosofia, o filo-follia, vigente da quelle parti e contraria a quella delle “grandi storie”: un sogno di autorealizzazione egoistica, di empowerment solipsistico. Una ricerca del proprio potere, quando il potere è essenzialmente in se stesso sempre un male (“il Male”, se vogliamo), sebbene a volte sia un male necessario, ed è abbastanza chiaro che tipo di personaggi lo bramino, mentre i personaggi positivi lo vedono piuttosto come un pericoloso e doloroso fardello (vedi per esempio Aragorn in “Il Signore degli Anelli”).
Ma la specie umana, tanto per le donne quanto per gli uomini, è una specie politica, che vive in tribù nelle quali ognuno pensa anche agli altri, ama gli altri, addirittura a volte si sacrifica per gli altri, scende a compromessi cedendo un po’ dei propri sogni per far posto ai sogni degli altri. Le bambine e pure i bambini maschi per fortuna giocano non solo con Barbie e Big Jim, cosa che fanno da molti millenni prima di Barbie come si vede da questa immagine di una Barbie romana, ma qualche volta anche coi bambolotti neonati (io lo facevo piuttosto spesso giocando con mia sorella, magari “difendendoli dai cattivi”).
E nessuno, mai, è “enough” da solo, ma ognuno per vivere ha bisogno degli altri esseri umani mille volte al giorno, se vogliamo guardare in faccia la realtà invece che raccontarci scempiaggini.
Per fortuna, infatti, non esiste Barbieland come non esiste Kendom, e questo nostro mondo così imperfetto è molto migliore di entrambi, a dispetto di tutte le ideologie di plastica.
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