LE CRONACHE DEI PRETORIANI NERI

Dopo la vittoria di Teutoburgo l’espansione dell’Impero non ebbe più limiti: con Germanico e gli Imperatori successivi il “limes” raggiunse gradualmente i monti Urali. Usammo poi i cavalieri germani per conquistare il regno dei Parti e ci spingemmo fino all’Arabia Felix e a Sud dell’Egitto. La guerra più dura che dovemmo affrontare tuttavia venne dall’interno: ai tempi dell’Insurrezione le Tenebre si sollevarono e reclamarono il dominio del mondo. I figli delle Tenebre non prevalsero, ma il prezzo da pagare fu alto. Oggi l’Impero si estende dall’India all’Hibernia, dagli altopiani d’Etiopia fino ai fiordi dell’Ultima Thule, però oltre i confini della sacra Italia il potere dell’Imperatore è limitato. A Lui restano poche armi per influenzare i Re che governano in suo nome: il denaro delle decime, le parole alate del Culto Imperiale, le coorti dei Pretoriani Aurei pronte a soccorrere i Regni minacciati. E noi, i Pretoriani Neri. Noi siamo l’Inquisizione, la mano sinistra dell’Imperatore, la lama nascosta degli Dei, la sentinella all’erta nel buio. Siamo i guardiani dei cancelli degli Inferi.”

Aurelius, XI Console Nero.

Regno di Britannia, Impero Romano

Anno 2241 ad Urbe Condita

“Odio la Britannia” ribadì ancora Maevis, imbronciata.

“Ma perché poi?” osservò Alara “Guarda che bella giornata!”

Il sole splendeva sulle colline in un meriggio placido denso di voli d’insetti e d’uccelli. In quell’angolo sperduto della Britannia meridionale c’eravamo solo noi sulla via, in quel momento.

“Ce ne sono poche di giornate così, mio caro Alara, e solo d’estate. Di solito piove o c’è la nebbia, ma non è per il clima che odio questa terra, quello è normale.” rispose la gladiatrice.

“Lo dici tu che la pioggia e la nebbia sono normali. A casa mia non lo sono affatto.” rimarcò il nubiano “E comunque sia, oggi si sta bene, e la gente che abbiamo incontrato è stata ospitale.”

“La birra era buonissima…” si leccò i baffi Suenus con espressione sognante.

Lei gli mostrò la lingua.

“Sono molto più ospitali da me, in Hibernia. E la nostra birra è migliore. Su quella scura poi non c’è partita.”

“Sono disposto a fare da giudice imparziale, ma me ne serve molta per capire bene.” gongolò il gigante nordico, beccandosi un astioso gestaccio dalla guerriera.

“C’è un odio tribale, fra Hiberni e Britanni.” spiegai, sospirando “Non è una cosa razionale, non ci si può fare nulla. Aspettatevi che Maevis rimanga così antipatica per tutto il tempo in cui resteremo da queste parti.”

Alara sbuffò.

“Odio quando Occhiverdi è incazzata.”

“Quando Lucrezio ci porterà in Hibernia scherzerò e berrò birra e ballerò e riderò. O a Roma, al limite. Qui no.”

Sentendomi tirato in ballo allargai le braccia e mi difesi:

“Io vi porto dove mi dicono. Siamo nell’Inquisizione, mica in gita di piacere.”

“Oh, basta! Il Tribuno ha ragione: mi sembrate giovani Patrizi intenti a fare il giro turistico della Grecia. Statevene un po’ più zitti per favore, che ci stiamo avvicinando.” li riprese il Centurione.

“E’ il prossimo villaggio.” confermai “E comunque il Tribuno, in quanto vostro superiore, ha sempre ragione!”

“… tranne quando ha torto.” si permise di puntualizzare Occhiverdi, attirandosi un’occhiataccia di rimprovero dal Centurione.

Alzai gli occhi al cielo.

“Non so perché le permetto di rispondermi così…” mormorai.

“Lo sai benissimo, invece, credo.” osservò il nubiano con sguardo malizioso.

Eh, questa volta era lui ad aver ragione. Quel che c’era fra me e Maevis non avrebbe mai dovuto accadere, lo avevamo pure giurato solennemente, di non farci distrarre da nessuna relazione ma dedicarci anima e corpo solo alla caccia ai Figli delle Tenebre. Eppure era capitato, purtroppo e per fortuna, e devo ammettere che tutto sommato mi andava bene così, anche se a volte era difficile.

Per fortuna arrivò Achillea, l’amazzone, che prese Maevis sottobraccio con fare allegro e se la portò via allungando il passo:

“Noi andiamo in avanscoperta, come al solito.” dichiarò con voce argentina.

Chissà perché quella sera non mi ero portato a letto lei, invece: l’amazzone era tanto una tipa tosta quanto una buona compagna: fedele e ferrea, di modi spartani ma sorridente. Inoltre, apprezzava anche le donne, il che poteva aprire a possibilità interessanti… però la verità è che per gli occhi di Maevis io avrei potuto uccidere qualcuno senza pensarci troppo, e da quando l’avevo vista la prima volta l’avevo desiderata.

L’Ispanico mi afferrò per un braccio.

“Achillea ha fatto benissimo a portarsela via. Finora ci siamo goduti la passeggiata, ma adesso bisogna iniziare a fare sul serio. Stiamo concentrati, Lucrezio. Questa può essere una missione di tutto riposo come anche un vero incubo, se si mette male.”

Annuii.

“E allora mettiamoci al lavoro seriamente, Centurione.”

Lasciammo la via e iniziammo a procedere al riparo del bosco che si estendeva a sinistra della pista. Le due provocatrici erano ormai così avanti che non le vedevamo più. Disposi Suenus il Geata a un lato e Alara all’altro, Siro l’arciere al centro mentre io lo seguivo da presso e l’Ispanico faceva da retroguardia. Quando sbucammo dall’altra parte della foresta, ci trovammo su un’estesa altura. Dal limitare della selva, acquattati fra gli alberi, potemmo scrutare la collinetta su cui sorgeva il villaggio. Un candido braccio alzato per un istante mi fece individuare la posizione delle due donne: si erano nascoste fra il torrente che divideva in due la vallata e un roveto. Aprii la mappa che mi era stata fornita dal Legato Musonio Rufo e la studiai comparandola con le casette britanniche che avevo davanti agli occhi.

“E’ quella lì” dissi, indicandone una che era ai margini dell’abitato, quasi isolata.

Il Centurione assentì: “Proprio quella”.

Suenus si grattò il testone leonino.

“Sembra del tutto inoffensiva.”

“E perché mai dovrebbe essere diverso?” commentò Siro “E’ inoffensiva, è solo una casa qualunque dove vive gente qualunque.”

“Per ora.” aggiunse Alara.

“Per ora.” concesse l’arciere.

“Ma ci possono essere cose di guardia. E qualcuno può venire a reclamarlo in ogni momento, adesso che sanno di lui. Con la nostra fortuna, poi, arriveremo noi e loro nello stesso momento.” ci avvertì l’Ispanico, ottimista come sempre.

Alzai un sopracciglio.

“Io ci spero, Ispanico. Così li ammazziamo.”

“Siamo qui per questo, no? Per ucciderli tutti.” ribadì Alara.

Sospirai:

“Ma non per lui. Lui non ha ancora deciso nulla e per lui nulla è deciso. Sono stato chiaro? Nessuno gli torcerà un capello fino a che non avrà fatto la sua scelta. Se poi fa quella sbagliata allora pago di tasca mia una botte di birra britanna a chi gli taglia la testa.”

Ora, chi conosce la mia storia personale potrà forse capire i miei scrupoli, e quanto ci tenessi a dare una possibilità a quel ragazzo: a un altro ragazzo, anni prima, non era stata data alcuna possibilità di decidere del proprio futuro, ma altri avevano agito secondo i loro terribili piani e poi io avevo dovuto – come dire – provvedere. Anche se era carne della mia carne. Ma questa è un’altra storia.

“Quindi andiamo?” chiese il nordico.

“No. Aspettiamo, per ora.” risposi.

“Ci muoviamo appena fa buio.” spiegò il Centurione “Sennò rischiamo di scatenare il panico nel villaggio, e se non il panico la curiosità di tutti i contadini dei dintorni, il che è pure peggio. Vogliamo parlare con il ragazzo e i suoi genitori adottivi, non con tutta la provincia.”

“Già Sono dei bei pettegoli da queste parti.” assentì Alara, che per il colore della sua pelle suscitava una certa curiosità, a cui si era dovuto abituare. Non a Londinium, intendiamoci, ma nella campagna profonda in cui ci eravamo inoltrati la gente lo guardava. Non che questa curiosità fosse sempre spiacevole: la sua robusta figura color ebano, resa ancor più esotica dalle armi da Pretoriano Nero, gli aveva attirato addosso parecchi sguardi interessati dalle ragazze del posto. E, per la stessa ragione, sguardi irritati dai contadinotti locali, che però per lui – abilissimo pugile – non erano certo una preoccupazione.

Attendemmo che un grande sole rossastro calasse dietro le colline. Appena l’ultimo barlume di fuoco si fu spento in cielo mi alzai finalmente in piedi, accingendomi a dare l’ordine di muoversi… solo per gelarmi sul posto, in preda al terrore. No, non ho ritegno nel dirvi che provai terrore: tutti lo proviamo, ogni volta che ci imbattiamo in qualcuno degli orrori a cui diamo la caccia. Sarei un bugiardo se non lo ammettessi. Non importa quanti ne incontri, non importa quanti ne uccidi, ogni volta che li vedi rischi di cagarti nel subligaculum. Però poi li ammazzi lo stesso.

Due esseri più neri della notte, teschi ghignanti e stridenti su mucchi macilenti di stracci oscuri, si erano levati nella brezza della sera. Venuti da chissà quale abisso, aleggiavano occhiuti sopra di noi e sul villaggio. Veleggiavano alla scarsa luce della luna nascente, che però sembrava scorrer loro addosso senza riuscire a illuminarli affatto, come divorata dalla loro profonda oscurità.

“Guardiani.” sussurrò il Centurione.

“Le provocatrici sono da sole, laggiù.” mi disse Siro, preoccupato.

“Lo so.” risposi, mordendomi il labbro.

“Anche noi siamo da soli quassù!” esclamò Suenus, senza staccare gli occhi dai due mostri.

Mi piegai, poggiando il ginocchio a terra.

“Questi esseri saranno stati posti a guardia del Principe, in attesa che vengano a prenderlo. State fermi e zitti, magari non ci vedono. Se assaltano Maevis e Achillea carichiamo, altrimenti non ci muoviamo. Siro, freccia d’argento incoccata.”

L’arciere non aveva atteso il mio ordine per prepararsi: era già pronto al tiro. E davvero non lo aveva fatto troppo presto: uno dei due mostri planò dritto sulle provocatrici! Ma non potemmo portare loro aiuto, perché l’altro piombò addosso a noi.

Mentre il primo atterrava proprio sopra le due donne, scatenando una battaglia notturna tanto furiosa quanto silente, il secondo fu accolto dalla freccia d’argento del nostro Siro. Il dardo passò il guardiano oscuro attraversandolo come se non avesse sostanza corporea… ma gli strappò un grido acuto, un grido che ci fece accapponare la pelle. Però aveva sentito l’argento della freccia, gli avevamo fatto male.

“Ancora!” ordinai. Nel momento in cui metteva piede a terra, il mostro fu accolto da un’altra freccia e quattro quadrelli di manubalista, tutte del candido metallo che i Figli delle Tenebre temono. Poi toccò alle spade.

“Non fatevi toccare! Non parate, schivate solo!” li avvertii.

“Eh, facile a dirsi, Tribuno!” rispose l’Ispanico, imprecando.

Nonostante non lo avessi toccato la mia destra divenne gelida quando il mio primo fendente attraversò quell’orrore alle spalle, nondimeno ne tirai un secondo e quello si inarcò. Piovevano colpi da tutte le parti, e quello si dibatteva, tirava altre strida, però non moriva, il bastardo. Poi il Guardiano si lanciò avanti e passò attraverso all’arciere. Siro non poté impedirsi di urlare, e cadde come morto.

“No!” gridammo all’unisono. Il nostro compagno era ancora vivo, ma il suo corpo era raggomitolato su se stesso, al suolo, e scosso da brividi forti come le convulsioni di un epilettico. Il suo viso era bianco come quello di un cadavere, e batteva i denti senza controllo.

L’entità che lo aveva ridotto così ora aleggiava a mezz’aria, con le nere cavità infossate che aveva al posto degli occhi rivolte verso di noi. Mi parve che avesse un ghigno beffardo, anche se sapevo che era impossibile. Quelle cose erano più simili a macchine che ad esseri viventi, e non provavano né paura né gioia, fosse pure la gioia crudele del trionfo su noi poveri umani. Quei quattro poveri umani tuttavia scaricarono di nuovo le loro manubalistae sul mostro e lo caricarono come cinghiali, facendolo a brani con spade di lega d’argento e d’acciaio. Un artiglio mi sfiorò la spalla, e mi parve che ci avessero conficcato dentro una punta di ghiaccio avvelenato. Pezzi di tenebra caddero ovunque all’intorno, staccati dalle nostre lame. Alla fine rimase solo il teschio. Lo fracassai contro un albero colpendolo di taglio con tutta la forza. Frammenti d’osso ricaddero ovunque.

Non mi concessi che un solo respiro:

“Ispanico, occupati di Siro! Suenus, Alara, con me!”

“Le provocatrici!” esclamò il nordico mentre mi seguiva a perdifiato giù per la collina.

Maevis e Achillea si erano rintanate dentro il ruscello, tenendosi basse e approfittando della protezione degli argini. Appena il guardiano si avvicinava lo colpivano senza esitare, ricacciandolo indietro. O, se non ci riuscivano, indietreggiavano quel tanto da sfuggire ai suoi artigli.

Mentre correvamo mi accorsi che i due alle mie spalle ricaricavano le manubalistae.

“No, non tirate: i dardi attraversano queste dannate cose e potremmo colpire Maevis e Achillea! Andremo solo di spada.”

“D’accordo!” disse Suenus. Alara non rispose, ma lo sentii riporre l’arma da getto.

Piombammo addosso al Guardiano, alle spalle: era concentrato sulle guerriere e ci percepì troppo tardi. Colpimmo con forza e senza pietà. Appena si girò verso di noi fu il turno di Achillea e Maevis di tirargli alla schiena. Un fendente di Suenus scagliò il teschio in basso fino a terra, aprendo a metà tutto il buio che si agitava al di sotto. Alara ne approfittò per passare la spada alla mano sinistra, piegarsi sulle ginocchia e schiacciarlo con un pugno a martello che lo infranse in mille pezzi. Quel pugno avrebbe avuto lo stesso effetto su un cranio umano, mi ritrovai a pensare con un brivido. Il nubiano però gridò di dolore, afferrandosi la mano con la sinistra, che aveva lasciato cadere l’arma.

Il pugile si piegò in due, su se stesso. Non so se un uomo di colore possa davvero impallidire, ma quella fu la sensazione che Alara mi diede. Il suo volto era madido di sudore, la sua destra era diventata violacea.

“Per gli Dei, vi avevo detto di non toccare quello schifo!”

“Mi… mi dispiace.” balbettò lui “Fa un male d’inferno.”

Le due donne uscirono dal ruscello e corsero verso di lui.

“Grazie, Alara, grazie…” gli disse Maevis, con un nodo alla gola, mentre Achillea lo abbracciava e gli dava pacche sulle spalle.

“Sei stato grande, Alara. Solo mi dispiace che tu debba aver provato il tocco di un Guardiano.”

Il nubiano riuscì a farmi un mezzo sorriso.

“A te era già successo?”

“Una volta. Qualche notte lo sogno ancora. D’ora in poi lo farai anche tu.”

Quello scosse la testa.

“Non ne dubito, mai provato un dolore così.”

Gli poggiai una mano sulla spalla.

“Ce la fai?”

Alara annuì.

“Sennò ti porto io, eh.” si offrì Suenus, che lo fissava con aria desolata.

“Grazie ma non importa Suenus: so ancora camminare.” rispose il pugile nero, sorridendogli.

Ci ritirammo su per la colline fino al limitare del bosco, dove erano gli altri due. Dovevamo raggrupparci, riprenderci e vedere il da farsi. Io anni prima una volta avevo afferrato un Guardiano con sinistra, tenendolo fermo il tempo necessario per distruggerlo, mentre Alara gli aveva tirato un pugno. Era qualcosa di insopportabile. Non volevo pensare a cosa stesse provando il povero Siro, attraversato per intero dallo spettro.

Sarebbe stato in grado di proseguire? Lo trovammo avvolto in una coperta, con l’Ispanico che lo abbracciava forte per dargli calore. Pareva un cencio, tremava e sudava al tempo stesso, ma riuscì in qualche modo a parlarci.

“Li…li avete uccisi?”

Annuii. Sorrise.

“Alara lo ha spappolato con un pugno.” spiegai.

Siro rivolse lo sguardo al nubiano. Vide che si teneva la mano, ancora piegato dal dolore.

“Sei proprio scemo.” gli disse l’arciere.

“Sì, quasi preferirei che me la avessero tagliata, questa mano. E tu?”

“Anch’io. Siamo tutti scemi, a stare qui e fare ‘ste cose.”

Si fissarono a vicenda a iniziarono a sghignazzare nervosamente.

Dovevo concedere un momento a quei due, e anche così non avrei potuto contare su di loro più di tanto per il resto della nottata. Si metteva piuttosto male.

“Riposiamo un po’. Poi si riparte.” annunciai.

Maevis sulle prime mi guardò male, poi si rassegnò. Non era ancora finita. Mi venne vicino e la accolsi fra le braccia.

“Non dovrebbero essercene altri. I Guardiani sono rari, e già trovarne due insieme non è frequente. In realtà non mi aspetto altre minacce, se riusciamo ad anticipare chi verrà a prenderlo.”

“Sarà meglio, perché la squadra non è proprio in forma, al momento.” disse la gladiatrice, e mi accorsi che anche lei aveva una striscia azzurrina sul braccio destro.

“Ha toccato anche te?” le chiesi, preoccupato.

Lei fece spallucce.

“Uno sfioro, niente di che. Fa un male porco, però.”

“Eh, dillo a me, Occhiverdi.”

Mi sarei strappato la spalla intera, per non sentire più quel bruciore così gelido. Ma la zona era coperta dall’armatura e non si vedeva, così lasciai che la mia donna pensasse che mi stessi riferendo a quell’episodio del passato, e che il sudore freddo sulla mia fronte fosse frutto solo della lotta e dello spavento.

Riprendemmo fiato per quasi un’ora, poi mi rassegnai a dare l’ordine di proseguire. Ormai la luna piena era alta nel cielo, e illuminava a giorno il prato che calava verso il villaggio. Ci incamminammo, Siro ancora avvolto nella coperta che camminava a stento e Alara che si teneva la mano.

La casa era una delle prime, venendo dalla nostra direzione, ai piedi della collinetta irta di capanne. Dalla finestra si vedeva filtrare la luce del camino all’interno. Stavano cenando.

Trattenni il respiro e bussai forte.

Venne ad aprire una donna bassa e grassa, dal viso antipatico, che spalancò gli occhi quando vide chi attendeva sulla sua soglia.

“In… Inquisiz…”

Bloccai la porta con la mano.

“Pretoriani Neri, o se preferite l’Inquisizione. Esattamente. Non vi preoccupate, mea domina, e fateci entrare.”

La contadina si scostò lasciando libero il passaggio. Entrai, e tutti i miei dopo di me.

Nella cucina sedevano a un tavolo di legno un uomo di mezza età e due ragazzi, davanti a ciotole di zuppa calda. Ovviamente, fissavano noi.

Non si vede tutti i giorni, nel culo profondo della Britannia, una compagnia così: un Tribuno Romano della sacra Italia bruno e alto e pieno di cicatrici, un colosso nordico biondobarbuto dalle gambe e le braccia come tronchi, un pugile nero forte come un toro, un ferrigno e solido Centurione Ispanico dalla mascella d’acciaio, un arciere siriano arcigno e letale – anche se momentaneamente tremebondo – insieme a una bellezza dell’Hibernia dagli occhi verdi e i capelli neri che è stata l’idolo delle arene di mezzo Impero e una statuaria donna guerriera del Mar Nero che passava i due contadini di tutta la testa.

L’uomo era anche lui grassottello e bruttoccio. Non riusciva a chiudere la bocca, da cui la zuppa gli stava colando di nuovo nella ciotola. Doveva essere il marito della donna, un personaggio poco rilevante. Uno dei due ragazzetti era lentigginoso e grasso e somigliava all’uomo. Non era lui.

Era l’altro fanciullo lo scopo della nostra missione. Enricus Vasarius. Un ragazzino di appena dieci anni, magrolino, tanto spaventato quanto eccitato alla nostra vista. Portava spessi oculi de vitro cum capsula, per correggere un grosso difetto di vista. Quei due dovevano aver speso un bel po’ per quell’apparecchio, piuttosto innovativo per terre tanto periferiche.

C’era una sedia libera. Mi sedetti senza chiedere il permesso – l’Inquisizione chiede permesso solo all’Imperatore – mentre la mia squadra si disponeva attorno a ventaglio. La donna fece come per offrirmi qualcosa ma la fermai con un gesto.

“No, grazie, signora. Non abbiamo bisogno di nulla, devo solo parlare con Enricus.”

La mandibola del ragazzo si abbassò di colpo e rimase pendula.

Mi sporsi verso di lui e lo fissai dritto negli occhi. Lui si ritrasse, incerto.

“Perché volete parlare con me?”

Mea domina, il ragazzo sa chi è?”

Silenzio.

“Ho chiesto se sa chi è.” insistetti.

“Ma come… lui è… è solo il figlio della mia defunta sorella.”

L’altro bambino interruppe:

“Mamma, sta a vedere che quel cretino di Enricus ci ha messo di nuovo nei guai!”

Lo guatai con il peggior cipiglio che riuscii ad assumere, cercando di ignorare il lato comico della situazione: “Zitto tu. Stiamo parlando.”

Quello fece una faccia offesa che quasi mi tentò di infierire un po’. Evidentemente la coppia aveva fatto qualche differenza fra il figlio e il nipote, non proprio un comportamento encomiabile. Meglio lasciar perdere. Lo ignorai.

“Signora, il ragazzo sa chi diamine era sua madre? E suo padre?”

La donna sospirò e si arrese.

“No. Non lo sa.”

La contadina esitò.

“Enricus è un combinaguai, ma non è un ragazzo cattivo. Non merita che…”

Non osò terminare la frase.

“Nessuno gli farà del male, almeno fino a che rimane un ragazzo come gli altri.”

“Publius, vai a letto.” ordinò il padre al ragazzo grassottello.

“Ma…”

“Vai.”

Quello si alzò e andò al piano di sopra, mesto.

Poi l’uomo si rivolse a me.

“Publius non c’entra. Lo lascerete in pace, vero? Voglio dire, anche se ci prenderete Enricus, Publius non corre pericolo, no?”

Scossi la testa. Mi girai. Maevis guardava l’uomo come se fosse stato un verme.

“Nessun pericolo. Ora taci e lasciami parlare con Enricus. Se volete potete andare anche voi due, qui non servite più.”

Ci pensarono per un attimo e poi sbaraccarono, l’uomo in tutta fretta, la zia di Enricus come trattenuta da qualche rimorso. Appena furono scomparsi oltre l’uscio delle scale, feci un cenno a Suenus, che si limitò a spostarsi di poco e appoggiare la schiena alla porta. Di lì non sarebbe riuscito più a entrare nemmeno il ciclope Polifemo, se Suenus non decideva di spostarsi.

“Allora, Enricus. Non avere paura di noi, come ho detto a tuo zio non ti faremo del male.”

Notai che al pronunciare le parole “tuo zio” l’espressione di Enricus era diventata non troppo benevola. Bella famiglia. Continuai.

“Ora sto per dirti delle verità che non saranno facili da accettare. Ma hai compiuto dieci anni e devi sapere chi sei veramente, anche se poi le cose non saranno mai più e stesse. Ma ciò avverrà comunque, in un modo o nell’altro . Mi vuoi ascoltare, dunque?”

Enricus annuì. Ragazzo coraggioso. Mi piaceva, tutto sommato. Mica era colpa sua.

“Allora, devi sapere che tua madre, la sorella di tua zia, era una maga, ahimè. E non una maga qualunque: era forse la più potente maga che si sia vista in questi ultimi tempi. Altrettanto potente era tuo padre. Erano due grandi maghi, e tanti tessitori di incantesimi li seguivano, per servirli e apprendere da loro. Erano in grado di fare grandi cose, cose miracolose, malie di potenza sconfinata.”

Il fanciullo si grattò la guancia.

“Ma la magia è illegale nell’Impero.”

Sorrisi amaro.

“Sì, sotto pena del rogo. E sai anche perché?”

Scosse la testa.

“E’ legata ai poteri delle tenebre, praticata dai seguaci di Ecate la ribelle che tentano di legare il nostro mondo all’Abisso. Ogni magia richiede un sacrificio, tanto più grande quanto è grande l’incantesimo. Quel sacrificio altro non è che la forza vitale di altre persone. Può essere il loro sangue, la loro carne, il loro spirito. I maghi lo sottraggono e se ne appropriano per usarne la forza a loro vantaggio. Sono tutti solo vampiri, in fondo. Per spostarsi in volo bevono il sangue di un bambino o di una vacca, per edificare una torre oscura rubano la vita a un villaggio intero. E ogni volta si aprono porte fra qui e laggiù, dove vivono i demoni, e qualche orrore può passare da questa parte pronto a ghermire qualcuno. Comprendi?”

“Sì.” rispose Enricus, pensieroso. Il momento era cruciale, eravamo sul filo della lama. O di qua o di là.

“Non lo possiamo permettere, ti è chiaro questo?”

“Lo capisco” disse lui abbassando la testa “Allora i miei genitori erano persone malvagie, stai dicendo.”

“Purtroppo sì. I Figli delle Tenebre dicono che questa è la loro natura, e loro si limitano a seguirla, ma fanno del male ogni volta che usano i loro poteri.”

Gli lasciai un attimo di tregua perché digerisse quella notizia terribile sulle sue origini.

Non aggiunse altro. Quindi dovetti sforzarmi di proseguire.

“Anche tu hai dentro di te gli stessi spaventosi poteri. Ma non sei obbligato a usarli, non c’è nessun destino già scritto per te. Chi viene morso da un vampiro può solo uccidersi subito o mutare, tu invece hai una scelta: puoi diventare un nemico dell’umanità ma puoi anche scegliere una vita normale.”

Annuì. Dannazione, non lasciava capire molto delle sue intenzioni. Potevo fidarmi o sarebbe stato meglio cacciargli subito una lama nel cuore, per sicurezza? Odiavo l’idea di ammazzare un bambino, ma se avesse fatto la scelta sbagliata poteva morire parecchia gente… noi sette compresi!

Oltretutto c’era poco tempo. Doveva venire con noi adesso, o potevano venire a prenderlo quegli altri in qualunque momento. Continuai.

“A te cosa piace fare, ti eri fatto qualche idea della tua vita futura?”

L’ombra di un sorriso gli sfiorò la bocca.

“Mi piacerebbe fare il mercante. I numeri mi piacciono, e poi vorrei viaggiare, anche lontano, anche per tutto l’Impero. Perfino oltre.”

Gli poggiai una mano sulla spalla.

“Non male, è una vita interessante. Puoi benissimo fare questa scelta, vedere il mondo e diventare ricco mentre lo fai. Non importa chi erano i tuoi genitori e cosa saresti in grado di fare, se ti rifiuti di farlo e rimani quel che sei. Devi solo rinunciare a esercitare la magia, a impossessarti della vita di altre persone. Non è una scelta difficile.”

“Quindi per me tutto rimarrà com’è ora?”

Scossi la testa, e ritirai la mano.

“No. Dovrai venire con noi a Roma. Ci sono persone che ora sanno di te, persone cattive che seguivano i tuoi genitori e che verranno a cercarti per fare di te un mostro come loro. L’Inquisizione può proteggerti, ma non qui. Dovrai dire addio alla tua famiglia.”

Enricus sogghignò: “Beh, questo non mi sarà troppo difficile.”

“Meglio così, per come stanno le cose. Vieni con noi e potrai studiare mercatura nelle migliori scuole della capitale, sotto l’ala protettiva dell’Imperatore. Nessuno dei Figli delle Tenebre potrà mai farti del male.”

Tutto vero. Ovviamente l’ala dell’Imperatore lo avrebbe anche tenuto sotto discreto ma stretto controllo, spiando ogni sua mossa, pronta a intervenire in maniera drastica se il giovane mago, in qualunque momento e sotto qualunque forma, fosse stato tentato di usare i suoi poteri. In quell’unico caso saremmo stati noi, a fargli del male.

Ma questo, ovviamente, non glielo dissi.

Ci pensò ancora su e poi se ne uscì così:

“Allora vado a fare i bagagli. Non ci metterò molto.”

Il povero orfano non vedeva l’ora di tagliare la corda da quella casa dove, evidentemente, lo consideravano solo un peso.

Non feci in tempo a tirare un soddisfatto sospiro di sollievo che all’esterno si levò un subitaneo turbine come di tempesta, ma che tempesta non poteva essere. Era ben di peggio.

“Merda!” gridò il Centurione “Sono già qui!”

“Nasconditi!” gridai al ragazzo, mentre la squadra si disponeva a difesa. Enricus non trovò di meglio che cacciarsi sotto al tavolo, con una sedia a fargli da scudo.

Il vento cessò di colpo. Temevo di aver capito di cosa si trattava. La porta si spalancò e un essere enorme avanzò a grandi passi nella stanza. Era un colosso dalla gran barba castana, coperto da un lungo mantello con cappuccio non dissimile da una paenula militare, ma di cuoio nero. Portava un lungo bastone nodoso, senz’altro un catalizzatore magico. Sette lame d’acciaio e argento brillarono alla luce del camino, tutt’intorno a lui. Quello allargò le braccia. Temendo che stesse per lanciare un incantesimo feci scattare la manubalista che portavo nascosta sul braccio. Il meccanismo scattò e mi trovai l’arma in mano, fu un attimo puntarla contro il mago. Anche Siro aveva incoccato ed era pronto a scoccare. Ma quello, invece, parlò, con voce roca e profonda.

“Davvero vogliamo combattere qui, Pretoriani? Vogliamo che questa casa crolli e che tutta questa brava gente muoia? O è possibile invece parlare, per Agricola di Britannia?”

Continuando a tenerlo sotto tiro risposi: “Non so cosa avremmo da dirci, mago!”

Lui mi squadrò severo.

“Cosa si dicono un leopardo e un bufalo? Non ci sono parole fra me e voi, è vero. Ma come voi stavate parlando col ragazzo, reclamo il diritto a fare lo stesso. Poi lui sceglierà quale sia la sua parte, e allora potremo regolare i conti fra di noi.”

Non era una proposta affatto conveniente per noi: se Enricus si fosse lasciato convincere da lui, il mago avrebbe potuto anche fargli capire come usare i suoi poteri, e allora ne avremmo avuti contro due, non uno. Per quanto il ragazzo fosse alle prime armi, la sua potenza innata doveva essere notevole.

Ma non volevo fare la parte di quello che cerca di impedire all’avversario di esprimere le sue ragioni, e quindi di colui che vuole nascondere a lui la verità: mi sarei danneggiato da solo, agli occhi di Enricus. Quella notte il fanciullo aveva scoperto molte cose, il suo mondo era stato stravolto, e non si sarebbe fidato di chi gli avrebbe dato l’impressione di non essere degno di fiducia.

“Parla, allora, dì quello che devi e sii breve. Poi te ne andrai per la tua strada – e devi essermi grato per questo – oppure dalle parole passeremo alle armi.”

La mia insolita benevolenza, con l’offerta di lasciarlo andare via vivo, era dovuta solo alle pessime condizioni in cui l’incontro coi Guardiani aveva lasciato la squadra. Inoltre sospettavo che fuori ci fosse qualcosa di grosso in attesa del mago, il che diminuiva ancora di più le nostre possibilità di uscire vivi da uno scontro.

Il gigante barbuto si portò le mani ai fianchi ed esclamò:

“E sia! Ragazzo, esci di lì e ascoltami.”

Enricus strisciò fuori da sotto la tavola, timoroso come un topolino. E chi non lo sarebbe stato, a quell’età, di fronte a un burbero colosso come quello? Il poveretto aveva appena iniziato ad avere un po’ meno paura di noi corvacci neri, che era sbucato dal nulla un individuo ancor più minaccioso. Tutto in una notte, per lui.

Agricola gli si piazzò davanti, mani sui fianchi, e lo misurò con lo sguardo. Poi si piegò verso di lui e si inchinò.

“Ti saluto, Principe dei Maghi. I tuoi genitori erano dei veri sovrani per noi, persone magnifiche che sapevano proteggere la loro stirpe e guidarla alla gloria. Purtroppo i Pretoriani Neri li hanno colti a tradimento e li hanno uccisi senza pietà.”

Il giovane Vasarius mi rivolse uno sguardo interrogativo.

“Non noi direttamente, ma è vero: sono stati i Pretoriani Neri a uccidere i tuoi genitori. Agricola tralascia soltanto di dire che in quel momento c’erano parecchie persone innocenti tenute in catene per essere spolpate dell’anima a tutti vantaggio dei sortilegi che quei due volevano compiere. I nostri volontari erano fra i prigionieri: si erano fatti catturare apposta, così riuscirono a sfuggire ai ceppi e a colpire, liberando tutti. Tu non hai colpa di quel che i tuoi genitori facevano, eri ancora in fasce. Ma loro sì che erano colpevoli, e semplicemente hanno pagato il fio delle loro malefatte. Poi tua zia ti ha reclamato, e l’Inquisizione ha accettato che ti prendesse con sé. Però adesso quella setta di maghi ha saputo di te, e abbiamo dovuto intervenire prima che ti rapissero.”

Non importava specificare che l’uomo che aveva trafitto con una bella daga d’argento il cuore della malefica coppia era il nostro Legato Musonio Rufo, lo stesso che ci aveva mandato lì, il nostro superiore diretto e quasi un secondo padre per il sottoscritto.

Agricola rise amaramente.

“Ma quali colpe? La colpa del contadino che cucina un pasticcio di pollo, nient’altro.”

Scattai: “Ma quali polli, quelli erano esseri umani, bestia!”

Il mago si chinò verso il ragazzo e gli prese il mento fra le dita enormi, fissandolo dritto negli occhi.

“Per noi, per me e per questo ragazzo, voi non siete più che pollame. Noi non siamo umani, Enricus, siamo molto, molto di più. Biasimarci da parte vostra, Tribuno, sarebbe come per la gazzella biasimare il leone che le dà la caccia. Fuggite alle nostre zanne, se potete, ma non prendetevela con noi e con la natura delle cose. Io e te, ragazzo, siamo destinati a cose più grandi: al potere e all’immortalità. Pensa a coloro che qui pretendevano di essere la tua famiglia: ti senti forse uguale a loro?”

Enricus scosse la testa.

“No. No, per niente.”

“No. Sei cresciuto con gli umani ma non sei come loro. Non ti hanno mai capito, non potrebbero. Troppo profondi i tuoi pensieri, troppo grande la tua mente. Ti deridono e ti temono, i tuoi zii e tuo cugino, gli abitanti ottusi di questo villaggio. E così farebbero a Roma. Noi invece siamo come te, ti proteggeremo e ti insegneremo a usare la tua forza, i tuoi poteri arcani, elevandoti sopra una vita banale per portarti a fare grandi cose, a realizzare tutto quello di cui sei capace.”

Maledetto. Era intelligente quanto convincente. Dovevo fermarlo.

“Per grandi cose intende grandi stragi e un fiume di sangue, un sangue di cui non riusciresti mai a lavarti le mani, Enricus. Nulla è gratuito, nella magia, quel che usi lo prendi a qualcun altro, tutta forza vitale che strappi a vittime innocenti, come un ladro o un parassita. Vuoi vivere come una dannata zecca o vuoi comportarti da uomo e costruire da solo il tuo cammino, con le tue mani? Sarà più dura, così, certo. Niente trucchetti, ma duro lavoro e spremuta di meningi, eppure ogni cosa sarà meritata, e lo puoi fare senza versare sangue.”

Il colosso si strinse nelle spalle.

“Sangue di esseri inferiori, di bestie. Animali effimeri che dopo pochi anni morirebbero comunque, dopo un breve periodo passato a trascinare esistenze grigie, fatte solo di fatiche e tribolazioni. Invece con noi godrai di una vita eterna e senza limiti, realizzando tutta la potenzialità che è in te. Dall’altra parte c’è solo mortificazione, sarebbe come incatenarti con le tue stesse mani e gettar via il dono che i tuoi genitori ti hanno lasciato.”

Il mago ci aveva paragonato a bufali: aveva ragione. I miei soldati scalpitavano e sbuffavano alle sue parole, pronti a caricare. Lo sguardo della mia Maevis avrebbe potuto fulminarlo sul posto. Chiunque fra loro, col passato che avevano alle spalle, avrebbe potuto scattare in qualunque momento.

“Dietro tutte queste belle parole si nasconde solo un lurido assassino, Agricola, filosofeggi come un sofista solo per giustificare il sangue sulle tue mani.” lo attaccai “Spero che tu davvero non voglia diventare un simile ipocrita omicida, Enricus. La vita eterna di cui questo mago parla consiste nel rubare gli anni a giovinetti come te, succhiando loro la vita per prolungare la propria innaturale esistenza. Vorresti diventare un vecchio rapace assassino come lui?”

Mi faceva pena, Enricus. Il povero ragazzetto occhialuto si girava di qua e di là ad ascoltare me e il mago intenti a subissarlo di discorsi, cercando ognuno di tirarlo dalla sua parte. Al suo posto anch’io non ci avrei capito più nulla. E infatti crollò su una sedia.

“Io… io non lo so, non so niente. Fino a oggi i miei genitori erano contadini annegati nel fiume, e io un orfano appena tollerato in questa casa, e adesso… ho bisogno di tempo, di pensare.”

Comprensibile. Purtroppo per lui non c’era tempo.

“Vieni con me. Ti porterò dove potremo insegnarti, e allora capirai tutto. Noi siamo gli amici della tua famiglia.” insinuò il grosso mago “Non ti fidare di queste persone, che non sono come te e non faranno il tuo bene: sono gli assassini dei tuoi genitori, come loro stessi hanno ammesso.”

“Ma brutta specie di grosso porco, noi Pretoriani Neri non è che ci godiamo ad ammazzare la gente! Ciò che i nostri hanno fatto è stato salvare tutti i poveracci a cui quei due criminali volevano succhiare via l’anima, per Thorr!” saltò su Suenus, che non sopportava più tutte quelle ciarle. Era uomo d’azione, il nostro Geata! Naturalmente accompagnò le parole con un minaccioso movimento della lama e uno spostamento in avanti. Non era sua intenzione attaccare, ma devo ammettere che anch’io mi sarei spaventato, se fossi stato nei panni del mago.

Agricola si gettò di lato e alzò il bastone verso il guerriero nordico. Una luce nera si sprigionò dalla sua mano protesa, una luce che si mutò in una sorta di liquido vischioso. Quella cosa avvolse il braccio del nostro amico e lo tirò giù, verso terra. Alara menò un fendente, liberando il Geata, ma dal troncone sorsero altri due tentacoli, che presero a minacciare i due muovendosi come una coppia di cobra incazzati. Siro scoccò, ma uno schermo di luce oscura si frappose. La punta d’argento però lo bucò, e Agricola dovette schivare di lato. Il mio dardo lo parò con il bastone, muovendosi con velocità e precisione impossibili. Doveva aver lanciato su di sé un incantesimo, per riuscire in un’impresa simile. Enricus si gettò a terra, io estrassi la spada e mi misi a scudo davanti a lui. Alzai una mano per chiedere di fermare lo scontro ma non feci in tempo a profferir verbo che un grido lancinante venne dal piano di sopra.

“Publius! No! Per amor degli Dei, no!”

Solo allora notai un sottile filo di fumo grigiastro che pareva affluire dal soffitto entrando nel corpo del mago. Ma certo. Per compiere le sue magie doveva avere attinto a una fonte di energia vitale.

La contadina scese le scale con in braccio il brutto ragazzo grasso, esanime. Il suo volto era come marmo bianco: latteo ma striato di nero, e la bava che gli colava dall’angolo della bocca era rossa, la pelle subitamente avvizzita. Dietro la donna veniva il marito, impietrito dall’impotenza.

Enricus li guardava con grandi occhi pieni di terrore.

“E’…”

“E’ morto!” strillò sua zia “Hanno ucciso mio figlio!”

“Brutto figlio di puttana!” esclamò Maevis, lanciandosi contro il mago.

Quello la proiettò a stamparsi sulla parete con un getto d’ombra emanato dal bastone. La gladiatrice ricadde al suolo come un pupazzo rotto. Il cuore mi si fermò. No, si muoveva, respirava e imprecava ancora come un marinaio, grazie agli Dei. Ma non per molto, se non fermavamo Agricola.

“Fermo! Assassino!”

Era la voce di Enricus, alle mie spalle.

Il fanciullo si era alzato in piedi e fissava il mago con odio. Un’onda nera iniziò a sommergere il bianco dei suoi occhi.

Mi girai verso di lui e lo presi per la spalle, scuotendolo.

“No, non lo fare, Enricus! Stai per imitare lo stesso crimine che ha compiuto lui: senza volerlo per combatterlo prosciugheresti qualcuno. I tuoi zii, qualcuno dei miei… non hai controllo. E saresti dannato agli occhi degli Dei e degli uomini. Non ti rovinare, ti prego.”

L’ondata oscura recedette dai suoi occhi, e potei respirare di nuovo.

Agricola, che aveva percepito cosa stava per accadere, per sicurezza aveva pensato bene di prendere la porta e fuggire. Sapeva che se il ragazzo avesse ottenuto pieno accesso ai suoi poteri, arrabbiato com’era, avrebbe potuto spezzarlo come un giunco o sparpagliare i suoi brani per tutta la stanza.

“Lascia fare a noi.” dissi.

“Prendetelo.” rispose lui, serio.

“Pretoriani Neri, per L’Imperatore!”

“Plus ultra!” risposero i miei guerrieri a una sola voce.

Ci gettammo fuori in massa.

Là ci attendeva non solo il mago, ma anche la sua cavalcatura. Proprio quella che avevo indovinato, e che temevo. Un grifone dorato, enorme, il becco – tanto grande da poter contenere un uomo intero – rinforzato da una placca d’acciaio brunito. Portava una grande sella in cuoio rosso atta a contenere un bruto gigantesco come Agricola e un’altra persona ancora, non troppo grande. Un fanciullo dell’età di Enricus, per esempio. Ma questo non sarebbe accaduto, non fino a quando uno di noi fosse stato ancora in grado di respirare. Il grifone a un cenno di Agricola ci rivolse uno sguardo famelico.

“E qui sono cazzi.” mormorò il Centurione.

“Il solito inguaribile ottimista.” gli risposi.

Poi si scatenò l’inferno.

Il grifone balzò in mezzo a noi, colpendo Achillea con una zampata che la mandò a gambe all’aria dieci passi più in là. Suenus gli ferì l’ala con un fendente che avrebbe abbattuto una quercia. Alara balzò in sella e prese a menare colpi con la spada, fino a che non fu sbattuto via. Maevis aggirò il pennuto e lo assalì alle spalle, mentre l’Ispanico lo distraeva muovendosi coperto dallo scudo avanti e indietro a di lato in un gioco a rimpiattino con quel becco gigante che di più pericolosi non saprei immaginarne. Siro finse di prendere di mira il grifone e all’ultimo cambiò bersaglio piantando un dardo nella spalla del mago. Quello girò a mezzo su se stesso per l’urto, con un grugnito. Così mi vide. Avevo sperato di prenderlo di sorpresa correndo intorno per assalirlo su un fianco. Niente, piano fallito. Un tentacolo d’ombra frustò l’aria, mi gettai per terra rotolando e ci passai sotto, proiettato senza fermarmi verso la mia preda. Vedevo solo lui, del tutto concentrato, pregustando l’impatto. Grave errore. Il grifone, vedendo il suo padrone in pericolo, si gettò su di me. Me ne accorsi solo quando l’ombra della sua testa enorme mi sovrastò. Ruotai e mi lanciai a terra, evitando per un soffio la morte. Agricola sorrise e alzò il bastone verso di me. Siro si piegò sulle gambe per riuscire a vedere il mago attraverso le zampe del grifone che si era messo in mezzo. Tirò. La freccia passò sotto il ventre della belva ed entrò dritta nella fronte del mago, che crollò disteso all’indietro. Centro. Finalmente se ne sarebbe rimasto muto, per sempre. Il grifone si girò verso l’arciere, e Siro vide la propria morte negli occhi furiosi della bestia. Poi ci disse che aveva pensato: “Ho ucciso il suo padrone, ora lui ucciderà me. Nessuna via di scampo, finisce qui. Bello come ultimo colpo, però.”

Invece, mentre quell’animale fantastico si lanciava contro il siriano, una figura alta e snella corse come un lampo con due spade in mano, brandite sopramano come fossero pugnali. Poggiò un piede sulla spalla dell’arciere e saltò proprio davanti al muso del mostro, in alto come non avrei creduto possibile.

“Crepa, pollo troppo cresciuto!”

Achillea gli conficcò le spade negli occhi, tanto in profondità che raggiunsero il cervello.

Fu sbalzata via, e tutti scappammo in ogni direzione mentre il grifone saltabeccava moribondo menando artigliate a caso. Alla fine crollò, e restò a terra scosso da spasimi che parevano terremoti.

Ci rialzammo sputando via polvere e sangue, increduli di essere ancora tutti vivi.

Lui era là, in piedi. Ci fissava e si torceva le mani, diviso fra terrore e sollievo.

Enricus Vasarius. Colui che avrebbe potuto essere il Principe dei Maghi.

Ma così il Destino, gli Dei e l’Imperatore non avevano voluto.

Il giorno dopo lasciammo il villaggio parecchio malconci, zoppicando e con le mani ognuno sulle proprie ferite.

Ma non malconci quanto i nostri avversari, per fortuna. Il corpo del mago fu bruciato dagli abitanti del villaggio dove era caduto, senza che nessuno osasse toccarlo. Il grifone pure finì sulle fiamme, ma solo quel tanto che bastava per arrostirlo. Non sia mai che i contadini sprechino qualcosa, ottima carne bianca poi giammai. Il povero Publius invece fu cremato presso il locale tempio di Vesta.

Enricus aveva preso poche cose dalla casa dei suoi zii, che a mala pena ebbero voglia di salutarlo.

Poveretto.

Però, mentre ci allontanavamo da quelle poche case che fino a quel momento erano state tutto il suo mondo, allungò la mano a prendere la mia. Quel contatto, quella manina così piccola e morbida, mi causò una tempesta dentro, tanto che feci fatica a ricacciare le lacrime. Si girò a guardarmi e mi sorrise. Aveva gli oculi de vitro appannati. Quel fanciullo, almeno, lo avevo potuto salvare. Per ora. Adesso toccata a lui rigare dritto. L’Inquisizione lo avrebbe sempre sorvegliato, ma se si teneva lontano dalla magia poteva dormire tranquillo.

Inghiottii la commozione.

“Che c’è? Cosa stai pensando Enricus?” gli chiesi.

Lui si strinse nelle spalle mingherline.

“Guardo avanti. Non ho mai vistato Londinium, sono curioso. Poi andremo a Roma, a quella scuola che mi dicevi, e poi… chissà. Ho intenzione di studiare duro e farmi strada, sai, Lucrezio. E un giorno sarò il Principe dei Mercanti!”

NOTA

Questo racconto come risulta evidente è prima di tutto un omaggio un po’ scherzoso alla celeberrima saga di Harry Potter di J. K. Rowling. Alcuni personaggi di Rowling, in una loro incarnazione Imperiale Romana ucronica, vengono messi a confronto con il Tribuno Lucrezio e i suoi Pretoriani Neri, che notoriamente soffrono di una certa intolleranza alla magia. Ovviamente qualcuno (peraltro un mago a me particolarmente simpatico) ne fa le spese e si fa male.

Se provaste a tradurre dall’inglese al latino il nome del famoso maghetto, in effetti, otterreste quello dell’eroe del racconto.

Questo “confronto” con Enricus Vasarius mi ha dato la possibilità di esplicitare al lettore quale sia la magia presente nel mondo dei Pretoriani Neri: si tratta di una magia oscura, di natura vampirica e necromantica. Non a caso, infatti, l’aristocrazia dei Figli delle Tenebre è composta da maghi neri, necromanti e, appunto, vampiri. La magia oscura da essi operata sottrae energia vitale ad altri esseri viventi e la usa per compiere incantesimi, imprese miracolose, riportare al mondo esseri defunti e prolungare la vita (dei maghi ancora vivi) o la non-vita (dei non-morti di vario tipo). Si tratta di una forma di parassitismo, che funziona sottraendo alla vittima il sangue o la pura energia vitale. Questo aspetto “vampirico” della magia deve qualcosa alla serie anime “The Dragon Prince”, in cui una simile magia oscura era l’unica possibile per gli umani, privi invece della magia “naturale” di cui erano capaci le altre specie intelligenti.

Anche nel mondo classico la magia è contraria all’ordine naturale delle cose, va contro le leggi divine degli Dei dell’Olimpo che regolano l’universo. Introduce quindi nel “Kosmos”, l’universo regolato dalle leggi di natura stabilite dagli Dei in cui ogni creatura ha il suo posto, il “Chaos”, in cui ogni confine e ordine (ed etica) cessa di esistere.

Questa visione della magia come sfida agli Dei, solo nera e solo maligna, è quella che ci deriva dal mondo mediterraneo antico, tramandata poi attraverso la visione cristiana ma ad essa precedente. Nell’Impero Romano – quello vero, storico – la pena per l’esercizio della magia infatti era la morte (e il povero Apuleio corse il rischio di finire sul rogo per il suo “Asino d’oro”). Ogni tentativo di rompere l’ordine naturale a cui gli Dei presiedevano non poteva essere tollerato. Se qualcuno ricorda come le streghe della Tessaglia vengono descritte in “La guerra civile” di Lucano ha un’idea di quale fosse il pericolo di sovvertimento del mondo fin dalle radici costituito dalla stregoneria, e può capire come non potesse essere in alcun modo tollerata.

Nel mondo celtico e nordico troviamo invece una magia del tutto diversa, non necessariamente malvagia ma legata invece proprio alla natura, agli elementi, alle piante e agli animali.

Spesso la magia che troviamo nel Fantasy è di questo secondo tipo, almeno per i personaggi non malvagi. Più complesso è il discorso per Tolkien, ma rimando al relativo capitolo nel mio “Guerra nella Terra di Mezzo”.

Nel mondo dei Pretoriani Neri esiste solo la magia oscura, predatoria e contraria alle leggi del cosmo.

Naturalmente questa idea tanto terribile della magia è del tutto diversa da quella piuttosto originale che troviamo nel mondo di Rowling, dove è il risultato di una sorta di “superpoteri” innati in alcuni individui e passati (forse) di generazione in generazione, con diverse discipline di studio miranti a perfezionarne e aumentarne la portata e la precisione, e quindi un incontro fra predisposizione naturale e formazione intellettuale.

Il racconto che avete letto nasce proprio da questo cortocircuito: cosa sarebbe successo al piccolo Harry in un mondo in cui la magia fosse solo quella descritta con tanto orrore dal mondo classico?

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