I RACCONTI DI MALIA

Il familiare rumore dell’acqua che si agita intorno ai moli e alle imbarcazioni, il legno e le corde che gemono sotto lo sforzo. Un porto brulicante di attività, di pericoli e di opportunità, come tutti i porti di questo mondo, e il cielo e il mare sterminati in attesa. L’energia del sole appena sorto animava il mondo quando i tre salirono a bordo della “Gemma”. Andrea Curieri aveva comprato la nave due anni prima e aveva finito di pagarla due mesi prima. Era una bella nave, una caravella veloce e maneggevole. Casaro radunò la ciurma e Curieri presentò Egon agli altri uomini come il nuovo capo degli arcieri. Dieci marinai erano muniti di arco e frecce, tutti giovani e robusti. Subito Egon li mise in fila sull’attenti sul ponte principale, e volle metterli alla prova facendoli tirare contro il paglione. Poté così verificare che erano precisi e rapidi nel tiro. Poi chiese di ispezionare le armi di bordo. L’armeria della Gemma conteneva spade corte e rotelle per tutti i marittimi, e un certo numero di spiedi, ronconi e partigiane. Solo Curieri aveva una spada lunga. Oltre a Egon, ora, naturalmente.
“Forse i Dosthan sono guerrieri migliori” bisbigliò Egon al mercante “ma io mi trovo meglio coi Maliani. Fanno quello che devono senza strafare, e non hanno manie religiose, per Thorr! Questi ragazzi poi mi vanno benissimo: li posso ancora plasmare come voglio io.”
Appena si fu allontanato Casaro si avvicinò a sua volta ad Andrea Curieri.
“Secondo voi, Curieri, quello lì fa tutta questa scena di preparazione militare solo per mettersi in mostra e farci vedere che vale la spesa, oppure ci sta portando a cacciarci in un guaio brutto?”
Il mercante alzò le spalle, senza rispondere. Sapeva che non c’era alternativa a rischiare il tutto per tutto, anche se era pericoloso. Casaro alzò un sopracciglio e si allontanò. Diede ordine di salpare e tutti scattarono ai loro posti, chi a sciogliere gli ormeggi e chi a manovrare le vele.
Quando furono in mare aperto Casaro andò di nuovo da Curieri e gli chiese:
“Che direzione?”
Andrea si voltò verso Egon, che rispose:
“Ovest. Seguendo la costa.”
Casaro scosse la testa:
“Ma non c’è niente per un bel pezzo a Ovest di Jehennah. Il nulla più assoluto fin quasi agli Stretti.”
Egon gli strizzò un occhio.
“Non c’è nessuna città, nessun porto, ma questo non vuol dire che non ci sia anima viva.”
“Andiamo, è deserto!” protestò Casaro “Ci sarà qualche tribù di nomadi, non di più. E’ assurdo.”
“Ecco, capitano, ci sei arrivato. I nomadi.”
Andrea Curieri fece una smorfia.
“Non voglio barattare il mio prezioso carico con formaggio di cammella, anche ammesso che i nomadi accettino lo scambio e non ci attacchino a vista, cosa di cui non sono affatto sicuro.”
“Quelli non sono solo pastori, sono soprattutto predoni e ladri…” iniziò Egon.
“Appunto!” lo interruppe Curieri.
“Allora, vi volete decidere?” sbottò Casaro “Da che parte devo mettere la prua? Se continuo ad andare al largo fra un po’ ci troveremo a Hesperios!”
Andrea Curieri esitò un istante, e poi cedette: “Vai a Ovest.”
Poi si rivolse a Egon:
“Ora andiamo nella mia cabina e parliamo.”
La cabina di Andrea Curieri era piccola, come quella di Casaro, e comprendeva una brandina, una sedia, una piccola cassapanca e un mobile scrivania pieno di cassetti e scomparti. La luce veniva da una stretta finestra, e c’era una lampada a olio spenta che pendeva dal soffitto.
“Siediti pure sul letto.” disse il mercante mentre apriva un cassetto. Evidentemente era quello sbagliato perché dentro c’erano solo un grosso vaso di miele e un paio di bottiglie, tra cui una di vino spumante. Andrea richiuse subito il cassetto, ne aprì un altro e ne estrasse una carta nautica.
“Allora, lasciamo perdere il fatto che vige la condanna a morte per tutti gli stranieri colti a commerciare in terre Sarras tranne che a Jehennah. Per il resto le questioni sono tre: come possiamo trovare dei nomadi senza esplorare tutto il deserto, cosa possono darci in cambio del nostro carico, e infine cosa possono farsene quei predoni di profumi e vesti femminili di lusso. Comincia a parlare.”
Egon trasse un sospiro e iniziò:
“Quei nomadi spesso assaltano i villaggi di fronte a Jehennah, razziando tutte le cose di valore che trovano. Inoltre vengono pagati dalle carovane degli schiavisti per avere un passaggio sicuro fino alla costa. Qualche mese fa poi hanno catturato un convoglio che portava alla fortezza di Qabar le paghe della guarnigione per l’anno a venire. Solo la guarnigione ammonta a quasi mille cavalieri, aggiungici i comandanti, i funzionari, i vari parassiti imperiali e cominci ad avere un’idea della cifra. Capisci, ora?”
Curieri si massaggiò la mandibola, interessato.
“La questione numero uno possiamo considerarla risolta. Passiamo alla numero due.”
Egon rimase interdetto.
“Qual’era, la numero due?”
“Non importa. Una qualunque delle due che restano.”
“Allora… passiamo a dire perché compreranno il nostro carico. Quelli sono ricchi come dei califfi, ma vivono da pecorai, e così le loro donne. Per comprare qualunque cosa dovrebbero andare nei villaggi e nelle città che sono soliti saccheggiare. E a Ovest, come avete detto voi, non c’è nulla per un bel po’. Ma appena i nomadi si azzardassero a mettere piede in qualche altra città, per non parlare di Jehennah, sarebbero accolti amichevolmente dagli sbirri e finirebbero appesi per i pollici.”
E qui Egon si fermò e strizzò un occhio a Curieri.
“Puoi quindi immaginare la fame di oggetti femminili che hanno le loro donne, e perfino un predone del deserto deve cedere alla sua donna. O alle sue donne, il che è anche peggio.”
“Ora dobbiamo solo trovarli, quindi.” sorrise Curieri.
Egon si rilassò all’indietro, incrociando le grosse braccia dietro la testa.
“Oh, questo non è un problema. Lo sarebbe stato, è vero, ma non in questo momento. Siamo fortunati, vecchio mio. Domani comincerà il grande raduno delle tribù, durante il quale tutti si ritrovano…” il gigante Dosthan si sporse in avanti e studiò un attimo la cartina “… qui! A poco più di cento passi dal mare, tra queste colline. Dalla costa non li si vede perché sono nascosti da un colle, ma sono già tutti lì, adesso. Oltre a rinnovare le alleanze e celebrare matrimoni fanno dei baratti fra loro, ma quest’anno creeremo per loro un’occasione di commercio ben più ghiotta. Almeno, per le dame del deserto sarà una festa.”
“Puoi scommetterci, mio capo degli arcieri! Per gli Dei, potrò fare i prezzi che voglio! E potrebbe diventare un appuntamento fisso anche per gli anni a venire. Selle, tessuti, armi… potrei vendere di tutto a quei nomadi. Basta che continuino a razziare le terre dello Sceriffo per potermi pagare. Splendido.”
Egon si grattò la barba.
“Sì però bisogna stare attenti a non offenderli durante le trattative. E’ gente permalosa e pericolosa, molto pericolosa. Avete bisogno di qualcuno che li conosca bene, qualcuno come… me!”
Curieri lanciò uno sguardo di sbieco al mercenario.
“Certamente. Ma come fai tu a sapere tutte queste cose e a conoscerli così bene?”
Il Dosthan tossicchiò, incerto.
“Bene, ecco, io…”
“Tu ti eri unito a loro, altro che storie! E scommetterei che hai anche partecipato all’assalto alla carovana di Qabar. Va bene, non mi importa. Ora però lavori per me e non sei più uno di loro. Questo deve essere chiaro. Non cercare di favorire i nomadi a scapito mio. Anch’io forse non sembra ma sono permaloso e pericoloso se cercano di fregarmi. Molto pericoloso. Siamo intesi?”
“Per Thorr, d’accordo, capo.”
“C’è sempre la possibilità che tu ci stia portando dai tuoi amici per depredarci… ma non credo proprio. Porteremo a terra la mercanzia un po’ alla volta. E inoltre tutti sanno cosa può fare l’equipaggio di una nave Maliana, se messo alle strette. Possiamo portarci nell’Ade diversi nomadi per ognuno dei nostri, e vorrei proprio vedere quanti ne resterebbero in piedi per godersi la nostra merce, dopo uno scontro.”
“In realtà spero di non trovarmi mai più in un carnaio simile.” disse il Dosthan, improvvisamente mesto.

“Mai più, dici?” chiese incuriosito Curieri “Racconta.”
“Ero sergente in una centuria di fanteria mercenaria dello Sceriffo, tempo fa, e molti erano Maliani. Solo il comandante era un Sarras. Un giorno, mentre eravamo in perlustrazione, vediamo un’orda di cavalieri nomadi che dalle montagne si avvicina a un villaggio. Un’incursione. Allora il nostro capitano decide di schierarsi fra i nemici e il villaggio. Scelse di prendere posizione sulla cima di una collina, in schieramento difensivo. Mentre il polverone sollevato da tutti quei cavalli e quei cammelli si avvicinava alcuni pregavano. Io no, io agli Dei non ci credo, per Thorr! Comunque eravamo lì, e quelli si avvicinavano. Quando furono appena al di là della gittata degli archi si fermarono, e noi serrammo le file. Allora il loro capotribù, un uomo grosso con un’enorme barba nera, ordinò di ignorarci, di girarci intorno e distruggere il villaggio. Lo sentimmo bene, da lassù. Noi non potevamo certo abbandonare la nostra postazione e corrergli dietro, così ci avrebbero massacrato come agnelli al macello. Mentre i predoni cominciavano a sfilare attorno alla nostra collina il capitano, che veniva proprio da quelle parti, diede di matto. In preda alla furia e alla disperazione cominciò a urlare, sfidandoli, insultandoli, chiamandoli vigliacchi, eunuchi e così via. E quelli guardavano incazzati ma andavano avanti. Alla fine, con la voce roca, gridò: “Uomini del deserto, i vostri figli hanno sete? Volete l’acqua? Prendetela, bevete questa!” e lì, davanti a tutti, si mise a pisciare giù dalla collina. A quel punto il barbuto, che ne aveva abbastanza, diede il segnale e l’orda si precipitò verso di noi, una massa di animali sellati e di uomini che brandivano scimitarre. Ma i loro cavalli salendo incespicavano e cadevano uno sull’altro. Diversi di loro si fracassarono ossa e denti contro la roccia. Le nostre frecce fecero dei bei vuoti fra le loro file mentre venivano su. Poi ci piombarono addosso, ma erano in svantaggio e non riuscirono a sfondare lo schieramento. Così cominciammo a lavorare di spada, tranciando carne e ossa come macellai. I nomadi non portano armatura, così fu peggio per loro. Ma erano molti per ognuno di noi, e vennero altre cariche, e alla fine non ci fu più uno schieramento ma solo una lotta all’ultimo sangue, schiena contro schiena, un caos senza pietà. Ti lanciavi contro un cavaliere bianco, e poi un altro e un altro ancora, e poi su uno caduto di sella, e uno che si era rialzato e lottava a piedi, e poi infierivi contro uno che ti aveva mancato con un colpo di sciabola, e l’unica cosa che contava era ammazzarli prima che ammazzassero te, tranciare quei pezzi di carne viva che ti assalivano e far zampillare il loro sangue da arterie recise, assordati da urla e nitriti…”
Lo sguardo di Egon si era perso nel nulla e si era fatto allucinato, sembrava quasi sul punto di rompere in pianto. Ma poi si scosse.
“Abbiamo fatto il nostro dovere, ben al di là della paga che lo Sceriffo ci dava. Non ci siamo tirati indietro, quel giorno, niente affatto. Lo abbiamo fatto fino in fondo il nostro dovere, e non si può chiedere di più a degli uomini, credetemi. Alla fine, quando ci siamo arresi, eravamo rimasti in diciannove, su cento che eravamo, e uno era pure senza una mano, senza contare i feriti più lievi. Non so quanti predoni rimasero per sempre lì, sulla collina, cibo per i corvi, ma certo erano molti di più di quelli che abbiamo perso noi. Visto che ci eravamo battuti così bene ci hanno dato una scelta: unirci a loro oppure la morte. Come vedi, io sono davanti a te, e respiro ancora.”
Andrea Curieri annuì, arrotolò la carta nautica e la lanciò nel cassetto. Poi prese la sua bottiglia personale di grappa e due bicchieri.

Continua qui:

IL MERCATO FANTASMA – Parte III

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