I RACCONTI DI MALIA

Il sole scottava i volti e faceva splendere d’oro accecante le onde del mare. La lancia si avvicinava alla spiaggia bianca spinta da potenti colpi di remo.

La Gemma era ancorata al largo, per sicurezza, affidata alle cure del capitano Casaro. Furono solo in sei a scendere a terra in avanscoperta: Curieri, Egon, due marinai e due arcieri.

La lancia fu spinta avanti a forza di remi fino a che la chiglia non iniziò a strisciare sulla sabbia, poi gli uomini saltarono giù e la trascinarono in secco. Si avventurarono verso l’arida collina che sovrastava la riva. In breve furono in cima e ai loro occhi si presentò la visione di centinaia di ricche tende multicolori. Nell’accampamento si aggirava una folla di uomini e donne dalle vesti sporche di sabbia, ma carichi di monili preziosi di ogni tipo. Egon gridò qualcosa facendo gesti di saluto dalla cima del colle e i nomadi si fermarono a osservare gli ospiti inattesi.

“Scendiamo pure, è sicuro.” disse Egon.

Quegli uomini avevano volti rugosi color del deserto e occhi feroci, corpi secchi, disidratati, braccia magre piene di vene. Portavano alla cintura scimitarre e pugnali ricurvi. Egon ne abbracciò due o tre e cominciò a parlare con loro in un dialetto Sarras che il mercante capiva sì e no. Indicò Curieri e rispose a parecchie domande dei predoni. Intanto i Maliani senza accorgersene si erano raccolti in un gruppo compatto, quasi a difesa.

Alla fine Curieri sbottò:

“Allora, Egon, vuoi dirci per favore una parola comprensibile?”

Il Dosthan si girò:

“Poi vi farò da interprete, ma ora lasciatemi lavorare, per Thorr!”

“Non dico che debbano parlare Maliano, ma magari un Sarras comprensibile…”

“Questa è la loro lingua, mercante, che ti piaccia o no.”

“Selvaggi.” disse Curieri, col suo più bel sorriso rivolto ai nomadi.

Ma subito dopo Egon si avvide di un nomade che avanzava a grandi passi verso di lui. Appena i loro sguardi si incrociarono quel tizio cominciò a lanciare urla scomposte nella sua lingua, gesticolando contro il Dosthan. Egon si tirò indietro e gli rispose per le rime, davanti agli occhi stupefatti dei Maliani. Allora il predone fece per estrarre il coltello ricurvo che portava alla cintura. Altri si gettarono nel mezzo e lo trattennero, urlando come furie scatenate. Egon fece anche lui il gesto di portare la mano al pugnale, e anche lui fu trattenuto da una folla che si agitava strepitando.

“E’ andato tutto in malora, dannazione! Andrà bene se non ci fanno la pelle.” pensò Curieri. Anche lui e i suoi uomini poggiarono le destre sulle impugnature delle spade.

Ma, pure in mezzo a quella baraonda, Egon riuscì a fargli cenno di stare calmo.

A poco a poco l’ondata di caos rifluì e il tipo che aveva aggredito il mercenario se ne andò più furibondo di prima, seguito da alcuni nomadi. Altri se ne andarono per i fatti loro, altri ancora rimasero vicino a Egon, parlandogli animatamente.

Curieri gli si avvicinò cautamente.

“Allora, cosa succede? Abbiamo il permesso di vendere la merce?”

Il grosso Dosthan scosse la testa.

“Sì, su quello non ci sono mai stati problemi. Ma prima devo affrontare un duello con quello lì.”

“E perché mai?”

L’uomo si fece sfuggire un ghigno.

“Questi, caro mio, sono affari miei. L’unica cosa che mi preoccupa è che il combattimento sarà a cavallo. Il mio amico Yassin, qui, me ne presterà uno, ma sono io che a cavallo me la cavo il giusto, invece questi sono tutti dei veri diavoli, in sella. Avevo proposto un duello a piedi, ma non ne ha voluto sapere, e gli anziani gli hanno dato ragione: un vero uomo lotta a cavallo. Sono tutte puttanate, ma loro la pensano così. Ho detto che lo faremo qui e subito, così mi cavo il pensiero.”

“E noi?”

“Voi… voi se mi va male dovrete cercarvi un altro traduttore, e poi un altro capo degli arcieri. Tutto qui.”

Curieri cercò di non lasciar trasparire un certo sollievo.

Appena fuori dal campo si era radunata una folla biancovestita e vociante. Alcuni ne approfittavano per vendere bevande e dolcetti. I cinque Maliani si erano disposti nella zona dove stavano quelli favorevoli a Egon mentre dal lato opposto volavano incitamenti in favore dell’altro contendente. In mezzo c’erano i vecchi delle tribù, in qualità di giudici.

Nonostante le parole del mercenario, Curieri aveva la sensazione che senza di lui si sarebbe trovato del tutto perso, in balìa di quella gente.

L’uomo del deserto si era posizionato da una parte, a un centinaio di passi da Egon. Brandiva una lunga scimitarra e si pavoneggiava su un agile purosangue bianco: faceva evoluzioni, mulinava la lama e si alzava sulle staffe lanciando acute grida.

Egon invece se ne stava fermo. Sembrava più grosso lui che la sua cavalcatura, un esemplare altrettanto bello di quello montato dal nomade ma di color marrone scuro. Il Dosthan stava immobile, la spada in pugno. Andrea Curieri notò con preoccupazione che pareva piuttosto a disagio.

“Santi Dei, quello cavalca peggio di me.”

Un vecchio ossuto dalla lunga barba bianca si fece avanti e sventolò un drappo rosso. Il Sarras diede di sprone, fece impennare il corsiero e lo lanciò come un fulmine. I Maliani osservarono con stupore che l’uomo stava dritto sulle staffe, un modo del tutto diverso di galoppare. Dal canto suo Egon scalciava coi talloni come per battere un ciuco, e stava seduto saldo con le gambe stese come si usa nel Continente Settentrionale. Anche il suo cavallo partì, ma con poca convinzione. Quando fu vicino al nemico il mercenario alzò la spada, ma quello fece scartare il cavallo, evitò il contatto e gli girò intorno. Anche il Dosthan tentò di far girare il suo purosangue scuro, ma l’altro giocava con lui come con un bambino. Dopo qualche manovra il predone riuscì ad affiancarlo, in posizione di vantaggio con il lato destro contro il sinistro del Dosthan. Si scambiarono qualche colpo, ma Egon non era a misura per colpire, al contrario dell’uomo del deserto, e i suoi corti roversi non mordevano che l’aria secca e polverosa. Il mercenario parò un colpo, un altro, poi il Sarras trovò un varco e gli segò un taglio alla coscia. La lama recise il tessuto e la carne, facendo sgorgare un lungo rivolo rosso. Egon cercò di allontanarsi ma l’altro gli stava addosso. Quando il predone gli venne abbastanza vicino l’uomo del Nord spinse il cavallo verso di lui, gli bloccò la spada e gli si lanciò addosso. Caddero entrambi nella polvere, lottando. Era la cosa migliore che Egon potesse fare, rifletté Curieri: a cavallo era in inferiorità mentre nella lotta corpo a corpo poteva far valere la sua stazza. Il mercenario aveva lasciato andare la spada e afferrato il pugnale, e teneva il nemico bloccato a terra con il braccio sinistro. Anche il Sarras lasciò andare la scimitarra per fermare il colpo del Dosthan con entrambe le mani. I nomadi gridavano incitamenti, Parecchi si mangiavano le unghie o si spiegazzavano le vesti con le mani contratte, piegati in avanti per vedere meglio. I Maliani non erano certo meno nervosi. Il Sarras di botto lasciò andare il braccio di Egon con la mano destra e sguainò il coltello ricurvo, ma il mercenario fu lesto a bloccarlo. Adesso erano nella stessa posizione. Ma, a poco a poco, Egon guadagnò terreno. Affondò l’arma vincendo la resistenza del nemico con grande lentezza. Alla fine il nomade lanciò un grido di disperazione e cedette: la lama di Egon gli entrò in petto fino all’elsa.

Il mercenario lo tenne fermo mentre si dibatteva negli ultimi spasimi. Poi lo lasciò andare e si rialzò, barcollante e con le mani lorde di sangue. I predoni amici di Egon gli corsero attorno a festeggiarlo, altri portarono via il corpo del perdente o se ne andarono gesticolando e imprecando. Parecchie monete cambiarono di tasca in un istante. Andrea Curieri sospirò, sollevato.

Egon appena riuscì a sfuggire ai suoi ammiratori raggiunse i Maliani, sorrise loro di sbieco, fece spallucce e disse:

“Ragazzi, qui si usa così.”

Era iniziata la grande vendita del carico della Gemma, e Curieri dietro un improvvisato bancone contava il denaro e valutava oggetti preziosi, mentre gli uomini e soprattutto le donne del deserto si gettavano sulle raffinate vesti Maliane e sui migliori profumi e cosmetici delle Isole.

Un predone dal viso tanto cotto che pareva fatto di coccio mise da parte tre vesti per le sue mogli e gli chiese il prezzo.

“Per tutto questo il prezzo normale sarebbe settantacinque monete d’oro, ma posso farti uno sconto visto che è molta roba…”

“Facciamo trenta.”

“No, trenta non posso: posso farti sessanta.”

“Io ho solo trenta.”

Andrea prese la veste di gran lunga migliore e la rimosse dal mucchio.

“Per trenta al massimo posso darti queste due.”

“Per queste due ti darò venticinque.”

“Non se ne parla. Già con trenta non guadagno nulla.” mentì il Maliano.

“Non voglio che tu sia scontento, ti posso pagare ventotto.”

“Non è che così sia molto contento.”

“Ma con trenta sono scontento io. Va bene, allora accetto i trenta.”

“Molto bene…” concluse Curieri, iniziando a piegare le vesti.

“Trenta per tutti e tre i vestiti, s’intende. Compreso quello più bello che hai messo via.”

Curieri alzò gli occhi al cielo. Odiava quelle trattative per così dire circolari, che tornavano sempre indietro al punto di partenza. In quel momento però si fece avanti una donna, che quasi strappò di mano a quel falco del deserto la sua preda.

“Per trenta le prendo io, queste due.”

Il mercante volse lo sguardo al primo cliente, che però anche davanti alla sua occhiata interrogativa esitò e non disse nulla. Allora lui alzò le spalle e annuì.

“Affare fatto.”

Il ghigno di trionfo della donna scoprì una fila di piccoli denti candidi e fece indietreggiare il predone.

“Tirchio come sempre, vero, Mahdi? E ancora una volta le cose migliori ti sfuggono tra le mani.” disse quella, e se ne andò a culo dritto con le vesti sottobraccio.

Andrea Curieri alzò un sopracciglio, incuriosito dal sottinteso fra quei due che lui non poteva conoscere. Ma gli importava il giusto, finché i predoni del deserto si litigavano la merce e uno sabotava le strategie negoziali dell’altro.

Il mercante alla fine faceva quasi il prezzo che voleva, come aveva previsto, e gli brillavano gli occhi. Sembrava quasi commosso. Il suo fallimento si era trasformato in un trionfo: le casse di legno venivano svuotate e smerciate via via, una dopo l’altra, e un fiume d’oro scorreva in direzione contraria verso la stiva della sua nave.

Il capitano Casaro osservava soddisfatto in disparte, mentre il vento del deserto agitava la sua chioma brizzolata. Come ordinato da Curieri aveva portato la Gemma vicino alla spiaggia per rendere più agevole l’andirivieni delle lance che caricavano e scaricavano. Ora il suo compito era finito, e toccava al mercante. Andrea Curieri ancora una volta se la cavava egregiamente.

Egon, che chiacchierava con un capo predone, si accorse che Curieri aveva iniziato a scambiarsi sguardi con una donna nomade. La dama del deserto doveva avere forse dieci anni più del mercante Maliano, ma aveva occhi scuri brillanti e audaci e le forme che trasparivano dalle lunghe vesti sembravano appetitose. Egon gli si avvicinò e gli diede di gomito.

“Se parli Sarras lentamente lei ti capisce. E di sicuro sa farsi capire da te. E’ una vedova ricca, e può fare quello che vuole. Ma non guardare le altre, le sposate e soprattutto quelle giovani che devono essere date in spose. Almeno, non lo fare se ci tieni a risvegliarti vivo domani mattina.”

Andrea Curieri deglutì, poi sorrise alla vedova.

A poco a poco la notte calò sul mondo con un manto brillante di stelle, e si accesero fuochi da campo fra le tende. Il silenzio del deserto non riuscì a soffocare il canto dei nomadi ebbri, e gli uomini intonarono ancora una volta la loro malinconia antica, sempre diversa e sempre la stessa, come era stato da millenni. Il mormorio del mare vicino li accompagnava, il fruscio lieve di vecchie masse d’acqua scura e serena. Poco lontano, i fuochi e i canti degli altri uomini venuti dal mare, evocati dal triste calore del vino. E la fredda, stellata notte scese ancora su quei forti e fragili frammenti di umanità, induriti figli di antichi popoli, sopravvissuti di mille apocalissi. Dovunque, intorno, oltre il mare, dietro le colline, un’umanità vecchia e bambina, cinica e ingenua, piangeva in silenzio tormentata dai ricordi, crollava addormentata nel sonno dei giusti o godeva nel buio. Sotto il manto della notte.

La mercanzia della Gemma era quasi finita e il ricavato era al sicuro sulla nave. Curieri contrattava gli ultimi pezzi mentre Egon scherzava con un predone ridendo fragorosamente. Il mercante ebbe il sospetto che stessero malignando su di lui e la vedova, ma si guardò bene dal verificare. Il capitano Casaro se ne stava in disparte masticando una radice di liquirizia che aveva acquistato dai ragazzini del posto. Tutto accadde in un attimo. Un frenetico nomade a cavallo galoppò giù da una collina urlando alla disperata. Tutti tacquero, fissandolo e cercando di capire le sue parole concitate. Di scatto i nomadi lasciarono perdere tutto quello che stavano facendo e si misero a correre per il campo in preda al panico, chiamando a gran voce amici e familiari. Iniziarono a gettare in grossi sacchi le loro cose e abbatterono le tende senza andare tanto per il sottile.

“Per Thorr.” mormorò Egon mordendosi le labbra. L’equipaggio della Gemma non capiva, ed era paralizzato dalla sorpresa.

Curieri afferrò Egon per un braccio:

“Cosa succede?”

Sulle prime il gigante non rispose, allora il Maliano lo scosse.

“Parla, per gli Dei! Cosa c’è? Cosa dobbiamo fare?”

Finalmente il Dosthan si riprese.

“I cavalieri dello Sceriffo di Jehennah. Saranno qui fra poco. Bisogna darsela a gambe.”

Già i primi nomadi cominciavano ad allontanarsi dal campo, che nel fuggi-fuggi era stato ridotto a una devastazione.

Curieri esitò un istante, mentre rifletteva. Poi gridò:

“Uomini! A me!”

La ciurma si radunò attorno a lui all’istante, primo fra tutti Casaro.

“Maurizio!”

Si fece avanti un marinaio biondo, alto e dalle gambe lunghe.

“Corri su quella collina. Appena vedi dei soldati a cavallo che vengono verso di noi urla e corri alla spiaggia. Non venire da noi, vai direttamente alle spiaggia, e come se avessi le Furie alle calcagna. Il che non è del tutto falso. Vai!”

Il marinaio scattò.

“Noi invece facciamo finta di tornare alla nave.”

“Come facciamo finta?” chiese Casaro

“Prendete la nostra roba e caricatela sulle lance, poi dritti alla Gemma. Scaricate nella stiva ma lasciate le barche in acqua.”

“E’ una follia restare.” si oppose il capitano.

Andrea gli lanciò uno sguardo da canaglia.

“Vedremo.”

Corsero alla nave e caricarono tutto sulle scialuppe.

“Tu vai alla Gemma, Casaro, e preparati a salpare.”

“Saremo pronti, ma voi non tardate.” si raccomandò il lupo di mare.

Le lance si avviarono a forza di remi verso la nave. Invece Curieri insieme a Egon e parte degli uomini tornò di corsa all’accampamento. Lo trovarono ormai del tutto abbandonato. I predoni erano fuggiti a rotta di collo, lasciando indietro un bel po’ delle loro cose per essere più veloci.

“Sono andati. Ma noi non possiamo essere inseguiti in mare dai cavalieri Sarras, quindi ci basta salpare con un vantaggio minimo. Quindi cominciate a portare via questa roba, iniziando da quello che vi sembra più di valore. Se portiamo via tutto paga doppia!”

Detto ciò, si mise subito all’opera lui stesso mostrandosi un abile saccheggiatore.

I marinai arraffavano e correvano, correvano e caricavano, alla rinfusa. La corsa affannosa, frenetica, continuava sfruttando ogni prezioso attimo del tempo che fuggiva, fra grugniti, bestemmie e risate nervose. I saccheggiatori lanciavano gli oggetti a quelli sulle barche, e quelli facevano la spola tra la spiaggia e la Gemma e li lanciavano a loro volta a quelli a bordo, che li gettavano nella stiva sgomberando il ponte. Ma sempre nuove mercanzie si riversavano sulla nave.

Intanto Egon non perdeva di vista la figura allampanata del marinaio Maurizio, ritta sulla collina che sovrastava la scena del saccheggio come una solitaria sentinella.

Ormai la ciurma aveva portato via quasi tutto quando Maurizio si mise a correre giù sollevando piccole nuvole di sabbia e gridando.

“Arrivano! Arrivano!”

“Andiamo.” ordinò Andrea, balzando per primo verso la spiaggia. Per fortuna si girò, e vide che alcuni dei marinai lo seguivano con grande lentezza, schiacciati dal peso del bottino.

“Lasciate quella roba, idioti! Ve la darò lo stesso la paga doppia!”

I marinai buttarono a terra il loro carico e si misero tutti a correre. Le barche li attendevano, pronte a partire. Anche Maurizio era quasi arrivato, era poco più indietro di loro. Ma già si vedevano apparire sulla cima del colle i cavalieri dello Sceriffo, lanciati al galoppo con le lance puntate e splendenti nelle cotte di maglia di ferro.

Salirono sulle barche, ma Curieri le tenne ferme per aspettare Maurizio. Almeno fino a quando quello non si mise a urlare:

“Che aspetti, grullo? Vai, vai, Giunone bona, che ti raggiungo!”

Allora si misero ai remi, iniziando ad allontanarsi dalla riva.

Maurizio si lanciò in acqua a capofitto e si riunì a loro in poche bracciate. Lo issarono su grondante d’acqua di mare. Poi furono subito alla Gemma. I soldati Sarras erano giunti quasi al bagnasciuga, e stavano impugnando gli archi. Mentre gli ultimi marinai si stavano ancora arrampicando sulla nave Casaro fece levare l’ancora e spiegare le vele, e la caravella si allontanò rapidamente dalla costa. Solo una freccia la raggiunse: si conficcò a poppa con un rumore sordo appena sopra il pelo dell’acqua.

Gli uomini crollarono sul ponte esausti e felici, col sole in faccia che rallentava i battiti del cuore e nelle orecchie il rassicurante sciabordio delle onde. Uno a uno si alzarono e presero a ridere e parlare animatamente fra loro. Allora Curieri raggiunse Egon e il capitano, e strinse la mano a entrambi.

“E’ un piacere lavorare con voi, amici miei. Venite nella mia cabina. Sento che una certa bottiglia di vino spumante sta implorando stappami, stappami!, e sarebbe un peccato non accontentarla in un’occasione così! Voglio bere fino a cadere per terra privo di sensi.”

Stavano già allontanandosi quando un marinaio venne a chiedere:

“Capitano, dobbiamo toglierla, quella freccia, dalla poppa?”

Casaro alzò le spalle ma Curieri si fece avanti:

“Che nessuno si azzardi a toccarla. Quella freccia è proprio nella posizione adatta a ricordarmi il grosso peso che la nave porta. E quel peso, signori miei, è tutto denaro per le mie tasche!”

I marinai risero. La freccia restò dov’era, in ricordo del mercato fantasma.

 

Impero Sarras

 

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