Mario era solo, senza soldi, in una città di cui a volte stentava a capire il dialetto. Aveva appena finito il suo ultimo tozzo di pane e si trascinava per i vicoli bui cercando un angolo dove poter gettare lo zaino e accoccolarsi a dormire. All’indomani avrebbe dovuto assolutamente andarsene. Contava di fare a piedi la strada per le Colline Occidentali attraverso i boschi, procurandosi il cibo giorno per giorno con l’arco e un po’ di fortuna. Una volta arrivato là, in una regione più prospera rispetto a quell’Altopiano dimenticato dagli Dei e dagli uomini, avrebbe trovato qualcosa da fare. Se non come mercenario… qualsiasi cosa. Dal facchino al marinaio all’apprendista in qualche bottega: gli sarebbe andato bene tutto pur di riuscire a sfamarsi. Dopo essere giunto a Poggiomerlato con Valerio, il mercante di smeraldi, aveva incassato la paga che gli spettava e si era congedato, in attesa che scoppiasse la guerra tra il Ducato e Biancacava. Si era proposto alla milizia del Duca, e là un sergente aveva segnato il suo nome promettendogli che in caso di conflitto sarebbe stato arruolato senz’altro. Invece che dichiararsi subito guerra, però, il Duca di Poggiomerlato e il Senato di Biancacava avevano intavolato lunghe trattative, durante le quali Mario era rimasto in trepida attesa e aveva consumato tutte le sue risorse. Alla fine il Duca e la Città avevano trovato un accomodamento pacifico. E lui era rimasto fregato. Perfino le sue vecchie scarpe da città aveva dovuto vendere, tenendosi solo gli stivali.
Si stese sotto un portico, con solo la sua coperta a separarlo dalla fredda pietra, e tentò di addormentarsi. C’era quasi riuscito quando fu risvegliato dallo sferragliare di una carrozza nobiliare, che si fermò a poca distanza dal suo giaciglio improvvisato. Un servo basso e grassottello saltò giù, con un’aria piuttosto intimorita. Un uomo si sporse verso di lui senza scendere. Era un giovane gentiluomo dalla veste elegante. Mario sporse la testa da sotto la coperta che lo ricopriva interamente, per osservare meglio.
“Queste sono trenta monete d’oro per madonna Altera. Portaglieli tu e torna subito indietro. Io ti aspetterò qui.” ordinò il cicisbeo.

Il povero servitore non sembrava troppo contento di doversi avventurare da solo di notte in quelle viuzze dove le carrozze non riuscivano a passare, ma si cacciò il sacchetto di monete sotto il mantello e si avviò comunque, scrutando nel buio con apprensione.
Mario ci pensò su un momento.
“Trenta monete!”
Mal guadagnate da una qualche avvenente donzella, pareva.
Si alzò in silenzio, per non farsi scorgere dalla carrozza, cacciò la coperta nello zaino e seguì l’ometto nascondendosi nell’ombra.
Guadagnava terreno a poco a poco, e intanto si stupiva di se stesso.
“Davvero ho intenzione di rapinarlo?”
Non aveva ancora deciso. Rammentò il ladro che lo aveva rincorso e spaventato non troppo tempo fa, la notte prima della sua partenza da Selenia. Adesso poteva essersi trasformato lui stesso in un inquietante predatore notturno, proprio come quell’uomo. Il pensiero non era piacevole, ma sentiva anche i brontolii imperiosi del proprio stomaco.
Mentre camminava spedito e indugiava in questi dubbi, dalla tenebra più nera emerse uno straccione alto e magro che saltò addosso al servo, nella mano un lampeggiare di coltello.
Il rapinatore punzecchiò il malcapitato attraverso le vesti e senza profferir verbo gli strappò di mano il sacchetto coi soldi. Senza perdere d’occhio il terrorizzato omiciattolo indietreggiò e, sempre tenendo puntato il coltello verso di lui, sparì.
Mario gli scivolò dietro mentre la vittima della rapina rimaneva immobile, tremante.
Ora il giovane avventuriero non doveva più combattere coi suoi scrupoli, doveva solo stare attento a non perdere di vista lo spilungone.
Era una notte senza luna, e il cielo sereno era tanto scuro che si faceva fatica a vedere le pozzanghere davanti ai propri piedi prima di caderci dentro.
Mario sguainò la spada e si avvicinò al ladro, però quello se ne accorse e si girò a fronteggiarlo brandendo il coltello, mentre stringeva il malloppo con la sinistra.


Ora il buio non era più un vantaggio ma un pericolo, e non permetteva a Mario di sfruttare al meglio il vantaggio di un’arma più lunga… vantaggio che comunque era quasi compensato dalla statura dell’avversario. Lo spilungone si mise a sferrare fendenti a vuoto per tenere Mario lontano.
Un grave errore. Mario fece scattare la sua lama e gli ferì il braccio destro. Quello arretrò, inciampò e finì in terra, con le chiappe nel fango. Mario gli puntò la propria arma alla gola.
“Il denaro.” disse. L’uomo sputò per terra e lanciò la borsa verso di lui. Mario si chinò a raccoglierla senza staccare gli occhi dal nemico. Anche se non lo vedeva poteva intuire il suo sguardo minaccioso e pieno di livore. Forse gli stava togliendo il pane di bocca, pensò, forse anche lui aveva fame. Ma rubare a un ladro non poteva certo essere un crimine.
Gli ringhiò contro: “Non ti muovere di lì, o ti faccio secco!”
Corse per un bel pezzo col cuore in gola e la mente in subbuglio, svoltando nei vicoli più oscuri per far perdere le proprie tracce. Poi si fermò, si appoggiò con la schiena a un muro e riprese fiato.
Mise una mano nel sacchetto. Tirò fuori alcune monete esaminandole al tatto, dato che non si vedeva quasi nulla. Proprio belle monete d’oro sonanti. Ora poteva partire tranquillamente per le Colline Occidentali, lasciare quei paraggi desolati viaggiando comodamente. Si sentiva improvvisamente ricco. Si legò il sacchetto alla cintura e si diresse verso la zona dei nobili, dove si potevano trovare parecchi palazzi dotati di un portico. Avrebbe dovuto trovare un posto tranquillo per passare la notte all’addiaccio: le locande erano già chiuse a quell’ora. Ma sarebbe stata l’ultima notte passata come un barbone, almeno. All’indomani avrebbe fatto una lauta colazione, e alla sera avrebbe finalmente dormito in un letto. Poi via, verso le Colline Occidentali come previsto. Però altro che procurarsi il cibo con la caccia: avrebbe potuto viaggiare a suo bell’agio. Girò un angolo e… una botta feroce lo colpì in piena fronte. Volò disteso per terra, stordito. Tentò di rialzarsi ma fu colto da un capogiro e sentì i sensi che lo abbandonavano. L’ultima cosa che vide fu il servo grassottello con un bastone in mano, che si chinava su di lui.
“Mi dispiace, ragazzo, ma il mio padrone mi punirebbe se…”
Quando Mario riprese i sensi non c’era nessuno attorno a lui e ovviamente il denaro era sparito. Stava iniziando ad albeggiare. Controllò rapidamente le sue poche cose, in preda all’ansia, ma non mancava niente. Le armi erano al loro posto, e anche lo zaino. Quel piccolo bastardo doveva averlo seguito per tutto il tempo. Bene, le monete erano tornate a chi di dovere, forse era giusto così. Si massaggiò la fronte dolorante. Sarebbe partito subito, appena il sole fosse sorto del tutto. Senza fare affatto colazione, senza un soldo e con una fame da lupo, la schiena dolorante per aver dormito scomposto in mezzo alla strada bagnata e la testa che pareva scoppiare. Un bel bernoccolo, grosso come una noce, gli stava spuntando dalla fronte.

 

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GORGOVERDE – Per la Corona d’Acciaio (lacoronadacciaio.it)

 

Per l’inizio della saga di Mario:

MARIO L’AVVENTURIERO – Per la Corona d’Acciaio (lacoronadacciaio.it)

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